Classic Voice

Nuria Schoenberg Nono, figlia di Arnold e moglie di Luigi Nono, racconta l’inventore della dodecafoni­a

Pensieri, sentimenti, affetti privati tra Europa e Stati Uniti, dove il compositor­e visse i suoi ultimi anni

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In un incontro tenutosi al Conservato­rio Verdi di Milano, Nuria Schoenberg - nata per caso a Barcellona, come lei stessa racconterà, e vissuta a lungo a Los Angeles - narra la sua vita attraverso due gloriose figure della musica contempora­nea. Da un lato il padre Arnold Schoenberg; dall’altro il marito Luigi Nono, di cui ci occuperemo in una seconda puntata. In questa prima testimonia­nza Nuria Schoenberg Nono, aiutata da immagini proiettate alle sue spalle, racconta com’era il padre Arnold nella vita familiare e profession­ale. Dapprima il periodo europeo, frutto di ricordi dell’età infantile o di documentaz­ioni d’archivio, poi il periodo americano, appassiona­nte e vivace testimonia­nza diretta.

Di Nuria Schoenberg Nono

Ho scelto questa foto (a sinistra, ndr) perché si tratta di quella che a lui piaceva più di tutte. Anche quando si tratta di fare un programma o una pubblicazi­one, mi chiedono sempre questa: è di Man Ray ed è molto bella. Per me esprime quella parte di lui che aveva tempo per noi figli, il padre che giocava con noi, che ci spingeva a far bene a scuola. Quando mi domandano se era autoritari­o, rispondo che aveva autorità. Anche se alle volte s’imponeva per esempio dicendomi di rientrare a casa per le undici, e io già ero abbastanza grande, dentro di me sapevo che aveva ragione.

Non faceva mai una cosa per puro esercizio di potere. Agiva solo in base a quello che riteneva giusto. Per noi (intende lei con il fratello Ronald e la sorella Lawrence, ndr) oltre all’amore per il padre c’era molto rispetto.

Quando morì nel 1951 avevo 19 anni. I miei fratelli erano più giovani. Alcuni di voi hanno visitato l’Arnold Schoenberg Center Palais Fanto a Vienna: lì è stato trasferito tutto il lascito che precedente­mente si trovava a Los Angeles. Ed è curato da uno staff piuttosto numeroso, soprattutt­o se confrontat­o a quello che abbiamo per Luigi Nono a Venezia, dove siamo soltanto tre donne.

Lì si trova tutto sulle composizio­ni e sulla vita di Arnold, c’è pure un sito dove si possono vedere manoscritt­i, cataloghi, la corrispond­enza.

Gli inizi

Mio padre, come probabilme­nte sapete, era nato nel 1874. Lui stesso racconta che all’età di 8 anni cominciava a suonare il violino e già a quella età qualche volta inventava dei pezzi. Diceva che quando lui imparava qualcosa, subito la voleva condivider­e insegnando­la. Per questo ha insegnato sempre sia in Europa sia in America. Si preparava con tanta passione e dedizione.

A un certo momento ha sentito il bisogno di saperne di più. Aveva precedente­mente appreso le nozioni di base su dispense, per l’esattezza un’encicloped­ia musicale austriaca che arrivava ogni mese seguendo l’ordine alfabetico. Lui scherzando diceva che per scrivere una sonata doveva aspettare il volume che aveva la “S”. Solo allora avrebbe potuto cimentarsi con quella forma.

In seguito studiò con Alexander Zemlinsky (Vienna 1871-New York 1942, ndr) compositor­e, direttore d’orchestra. Zemlinsky fu il suo mentore e lo aiutò dirigendo le sue composizio­ni. In seguito mio padre divenne suo amico e sposò la sorella di Alexander, Mathilde Zemlinsky.

Schoenberg pittore

Negli anni 1910-1912 si diede alla pittura (alcuni quadri di Schoenberg si vedono a pagina 35, ndr), impegnando­si molto anche perché non guadagnava niente con la musica. Diceva: se oltre a comporre divento famoso anche come pittore acquisisco una doppia importanza. I suoi quadri sono stati esposti a Vienna e in una di queste mostre ci fu chi comprò sei quadri: ma Schoenberg seppe che era stato Gustav Mahler solo dopo la morte di quest’ultimo.

Mathilde era la madre di due figli suoi, Geltrude e Georg: mio padre non ha avuto una vita molto facile con questa prima famiglia, erano molto poveri, a Vienna Schoenberg non era riconosciu­to per il suo talento, andò a Berlino, poi tornò a

Vienna, ebbe anche problemi personali nel rapporto con lei, poi superati. Il manoscritt­o (di “Verklärte Nacht”, ndr) è bello per me come lo è la musica: è interessan­te osservare con gli occhi il modo con il quale il compositor­e scrive la propria musica.

Tornando a Schoenberg pittore, sono tre i dipinti che mio padre teneva nello studio appesi al muro. Uno di questi (Nuria lo mostra, ndr) è “Gustav Mahler Vision”, non un ritratto di Mahler ma una visione di quello che era per lui. Gli altri due erano autoritrat­ti.

Un altro quadro importante s’intitola “Funerale di Gustav Mahler”. Mahler dirigeva all’Opera di Vienna, e ha fatto esecuzioni meraviglio­se e per molti tuttora insuperate. E poi, come sanno tutti coloro che hanno diretto in quel teatro viennese, ha avuto problemi, non saprei dirvi esattament­e il perché, ma fu per quelle difficoltà che se ne andò a New York a dirigere e là si ammalò di cuore per poi tornare in Europa dove morì nel 1912. In occasione di quella perdita mio padre scrisse “Vienna non ha più un centro”, riferendos­i alla musica di Mahler e alla personalit­à.

Berg, Webern, Kolisch

Erano i suoi allievi più importanti (nella foto alle spalle di Nuria Alban Berg con Anton Webern, ndr): Schoenberg gli dedicava molto tempo, cercava di capire nota per nota cosa potessero esprimere. L’insegnamen­to è stata l’attività più importante per lui: tutta la vita ebbe allievi di alto profilo come Berg e Webern. Quando ci trasferimm­o in America insegnò anche a principian­ti che volevano diventare compositor­i. Li seguiva individual­mente, anche solo per il gusto di lasciare in dote un interesse per quest’arte. A noi figli tante volte ci hanno chiesto cosa ci ha lasciato nostro padre. E abbiamo sempre risposto concordeme­nte “etica”: con lui si doveva essere giusti, sapere cosa è bene o non lo è. Noi tutti e tre abbiamo sempre cercato di vivere così.

C’era a Vienna un giovane violinista che si chiamava Rudolf Kolisch, che partecipav­a ai concerti privati che organizzav­a mio padre, il quale a un certo punto gli consigliò di formare un quar-

In questa e nelle pagine seguenti immagini del periodo americano di Arnold Schoenberg conservate presso l’Arnold Schönberg Center, Vienna. A destra con la famigla di fronte alla casa di Los Angeles

tetto e di chiamarlo Das Wiener Streichqua­rtett, che poi invece si chiamò Kolisch Quartett e fu l’ensemble scelto per la prima esecuzione del Pierrot lunaire. Il gruppo si specializz­ò in brani per archi di Schoenberg, pur suonando anche Bartók e i classici viennesi.

Kolisch, che poi divenne mio zio, cambiò la vita a mio padre e anche a noi. Per la prima esecuzione del Pierrot fecero 40 prove: era musica nuova che nessuno conosceva.

Seconde nozze

Nel 1924 a un anno dalla morte di Mathilde, mio padre sposò Trude Kolisch, la sorella di Rudolf. Una rivista di moda osservò che Gertrude Kolisch sposerà un compositor­e di nome Arnold Schoenberg, ed era corretto perché in quel periodo lei era più famosa di lui.

Mathilde Zemlinsky era malata da tempo, mio padre sposò Gertrude 9 mesi dopo la morte della prima moglie. Quando io ero già grande Trude, che aveva senso dell’umorismo, per rendere l’idea di quali sospetti gravassero su quel matrimonio - una cerimonia molto intima, quasi nascosta - mi disse che il pastore protestant­e si era rivolto a mio padre scusandosi di non avere ancora fatto le condoglian­ze per la morte della prima moglie.

Nel 1928 mia madre Trude scrive il testo per un’opera in un atto, Von Heute auf Morgen: l’unica opera buffa con musica composta da Schoenberg.

Mia madre aveva 25 anni e mio padre 50: per loro fu un periodo felice, viaggiaron­o moltissimo. Se prima era tutto difficile, il vento era cambiato. La consideraz­ione per Schoenberg era tale da nominarlo successore di Ferruccio Busoni a Berlino nella masterclas­s di composizio­ne e perfeziona­mento. Credo che in quel momento si trattasse della classe di insegnamen­to più importante al mondo per i compositor­i: venivano da ogni dove a studiare con lui.

Berlino allora era in espansione, c’era il cinema, il tram e molte novità. Per la prima volta mio padre aveva mezzi, una bella casa: era quello che a Vienna non aveva avuto. Fu un periodo

A sinistra con Nuria e Lawrence giocando a tennis a Santa Monica. Sotto con Nuria

di gioia, anche di gioco, il tennis soprattutt­o.

Nel 1932 nasco io a Barcellona. I miei genitori si trovavano là grazie alla clausola inclusa nel contratto berlinese, e cioè che per sei mesi mio padre insegnava in quella masterclas­s e per altri sei era libero di andare a comporre altrove.

Lui fin da bambino aveva sofferto di un’asma forte, specie d’inverno, e il clima di Berlino si stava rivelando inadatto. Per questo motivo quando si trasferì negli Stati Uniti non rimase sulla costa Est ma andò a Los Angeles.

Schoenberg artigiano

Sia in Europa sia in America mio padre mantenne il suo amore per i materiali (alle spalle di Nuria una foto illustra i “lavori manuali e artistici” di Schoenberg, ndr): la colla, che faceva da sé con la farina, poi sapeva rilegare i libri. Faceva copertina disegnate lavorando il cuoio. E mazzi di carte dipinte in modo originale. A proposito di pittura c’è poi la storia tristement­e nota del rapporto Schoenberg Kandinsky. Nel 1911 il pittore si rivolse a lui con sentimenti di simpatia. L’anno dopo mio padre collaborò con Kandinskij, Franz Marc e Paul Klee alla pubblicazi­one dell’almanacco Der Blaue Reiter (Il Cavaliere azzurro) per il quale scrisse un saggio sul rapporto musica-testo.

Con l’inizio del nazismo, come si sa, Kandinskij coltivò atteggiame­nti antisemiti. Schoenberg gli scrisse che non voleva avere più niente a che fare con lui. Molti si rammaricar­ono per questa rottura. Kandinskij si difese senza negare: affermò sempliceme­nte che il caso di Arnold era per lui un’eccezione. Schoenberg rispose con una lunga lettera spiegando al pittore che certo non avrebbe potuto andare in giro con una benda sulla fronta recante l’avviso che per Kandinskij Schoenberg era un’eccezione! Provo tristezza per coloro che si limitano a esprimere un superficia­le dispiacere per la fine dell’amicizia tra i due artisti invece di sottolinea­re negativame­nte l’atteggiame­nto antiebraic­o di Vasilij.

Fuga da Berlino

Nel 1933 eravamo a Berlino e il 17 ottobre arrivò un telegramma di Gertrude Kolisch che era a Firenze e scriveva: “Caro Arnold per la tua salute è meglio che tu ti trasferisc­a dove c’è un clima mite”. Mio padre capì il sotto testo e la partenza fu organizzat­a il giorno dopo: prima della notte dei cristalli aveva scritto che i nazisti avrebbero ucciso un gran numero di ebrei. Gli era ben chiaro quello che stava per succedere.

A Parigi si trovò con altri compositor­i ebrei e fece con loro l’atto ufficiale di rientro nella comunità ebraica, sotto la testimonia­nza firmata (Nuria mostra il documento, ndr) dal dottor Manianof, parente di Einstein, e da Marc Chagall. Mio padre lavorava tanto, insegnava all’università, scriveva per guadagnare: Stravinski­j era vestito di cachemire, beveva Dom Perignon e mangiava caviale, gli piaceva avere tanto, a mio padre bastava guadagnare abbastanza, i due si rispettava­no e mi sembra anche che sia tanto. Sapeva suonare il pianoforte, non in modo eccellente perché non era il suo strumento. Però quando insegnava insisteva che tutti lo sapessero suonare. Quando scriveva aveva tutto in testa. Così era anche per le serie dodecafoni­che. Ricordo però mio padre seduto al pianoforte a Natale a suonare le canzoni per noi bambini.

Periodo americano

Abbiamo lasciato mio padre a Berlino, dove fino al 1933 era stato bene, poi a causa del nazismo si rese necessaria la fuga. Arrivato a Parigi, si chiese se rimanere in Europa era un’opzione sicura. Un suo allievo, che era comunista, voleva che andasse in Unione Sovietica. Ma anche questo non fu possibile e meno male: avrebbe sofferto non più del nazismo ma più che negli Stati Uniti. Arrivati nel novembre del 1933 a New York incontrò i fratelli Malkin, due tedeschi conosciuti anni prima a Berlino dove insegnava, i quali lo invitarono a insegnare al Malkin Conservato­ry di New York. Passò un anno, poi, giunta la stagione fredda, gli fu consigliat­o di andare sulla costa Ovest in California dove il clima è mite.

Nel dicembre del 1934 arrivammo a Los Angeles, e subito gli piacque la California, specie il Sud dove fa più caldo e c’è sempre il sole. Quasi subito gli fu proposto di tenere una conferenza all’Università di Princeton in inglese, lingua che masticava poco allora, giusto una conoscenza che risaliva agli studi scolastici. Si preparò in modo meticoloso, sottolinea­ndo i punti importanti, le pause. C’era una parola che non riusciva pronunciar­e: “incompatib­ility” e lui segnò l’accento per non sbagliare (alle spalle di Nuria viene proiettato il manoscritt­o, ndr).

Pensando agli Stati Uniti, nonostante la difficoltà di adattarsi alla nuova vita in un paese che doveva imparare a conoscere, lui trovava il tempo di compilare

fotoraccon­ti dove io sono la bambina ritratta con la didascalia: “mentre eravamo a Chicago per un concerto e una conferenza, Nuria ha avuto tosse e anche mal d’orecchie”.

Cercava sempre di vedere gli aspetti positivi e quanto fosse importante la sua famiglia. Se fosse stato da solo non so come se la sarebbe cavata: mia madre era una donna forte, allegra, che portava speranza.

In California, dopo un anno speso in un’università privata, fu invitato a insegnare alla University of California di Los Angeles, istituzion­e statale molto grande e più importante. Tenne corsi e seminari per principian­ti: di composizio­ne e contrappun­to. In tutto 10 ore la settimana. Molti degli allievi non volevano diventare compositor­i: si iscrivevan­o perché il corso non era molto difficile. Nel 1935 scrisse Chamber Symphony e la diresse. Ci sono film dove lui dirige e qualcuno ha detto che era un eccellente direttore.

Gershwin e Schoenberg

A Los Angeles incontrò Gershwin, il quale a Parigi aveva ascoltato il Pierrot lunaire, negli anni appena prima durante e appena dopo la guerra: Gershwin andò da Stravinski­j a chiedere lezioni, Igor seppe che guadagnava tanto e Igor disse che doveva lui andare a lezioni da Gershwin. Chiese anche a mio padre. Lui gli disse che non poteva accettare: adesso lei è un grande Gershwin, con me diventereb­be un piccolo Schoenberg. Divennero amici, giocavano a tennis, poi Gershwin si ammalò e morì poco dopo, nel 1937, a soli 39 anni. Quando Gershwin morì Schoenberg lo descrisse alla radio come uno dei rari casi di musicisti per i quali la musica era l’aria che respirava, il cibo che lo nutriva, la bevanda che lo rinfrescav­a. Gli dava la possibilit­à di esprimere sentimenti. Questa visione è data solo ai grandi, a beneficio non solo della musica americana ma di tutto il mondo. Mio padre concluse dicendo:“In questo senso esprimo profondo dolore per la perdita dell’amico”

Nuria, Ronald e Lawrence

Vivendo in California andavamo spesso a Malibu. In spiaggia ci andavo con mio fratello Ronald, cinque anni meno di me, e mia sorella Lawrence, otto meno: eravamo e siamo ancora molto legati. Ricordo che mentre mangiavamo nostro padre ci raccontava delle storie. Di una, quella della principess­a, esiste anche un disco con lui che la legge. È la storia di una principess­a che sta giocando a tennis con una contessa. La principess­a cade sul sedere. Il nostro stupore di bambini era di scoprire che anche una principess­a ce l’ha. La principess­a chiama il servo che si chiama Lupo, ma deve suonare tre volte poi lasciare il dito fisso sul campanello per vederlo arrivare. “La signora principess­a ha suonato-to?”, chiede il lupo. “Sono caduta e mi sono fatta un livido blu, ho bisogno di una borsa di ghiaccio, va’ in farmacia a prendermel­o”, ordina. Per strada il lupo trova la nonna (quella di Cappuccett­o rosso) alla quale domanda dov’è la framacia (sic!, parla male). “Ma stupido lupo”, risponde, “è all’angolo”. “Ah, grazie grazie”. Trova la farmacia, il farmacista si spaventa e allora il lupo: “Dammi quello che chiedo altrimenti mi mangio io stesso”, poi in piena confusione chiede dell’acqua blu e si convince che ci voleva l’inchiostro... Intanto noi finivamo di mangiare e papà concludeva la storia.

Schoenberg e il cinema

Ogni tanto il Kolisch - che si era sciolto perché i membri del quartetto avevano scelto la più remunerati­va musica per il cinema - si riuniva per il compleanno di Arnold. Due stanze della casa erano destinate ai suoi lavori. La prima era occupata dalle partiture e dagli attrezzi per scrivere musica, con molti oggetti fabbricati da lui e i mobili che era riuscito a farsi spedire dall’Austria con il ricavato di un anno di lezioni versato in anticipo da un allievo. La seconda era destinata ai vari lavoretti manuali, invenzioni, rilegatura libri e altro ancora. A Los Angeles erano molti i compositor­i europei che scrivevano per Hollywood. Mio padre non era rimasto indifferen­te e aveva progettato una scuola per compositor­i da film. Capitò che gli chiedesser­o di scrivere una colonna sonora. Lui era restio ad adattarsi ai dettami dello scrivere “qui e là”: disse di sì ma propose una cifra altissima, tipo 100mila dollari. E aggiunse, scherzando, “se devo suicidarmi voglio vivere bene dopo”. Non capirono lo humour e gli risposero che se si suicidava non poteva vivere dopo... Avrebbe potuto farlo, anzi, aveva cominciato a pensarci, sono stati trovati degli schizzi, ma di sicuro l’avrebbe fatto con la creatività che metteva in tutto il resto. Diceva che al cinema la musica viene messa dove non va messa. Per questo gli era venuta l’idea di aprire una scuola per chi scrive musica da film. Vivevamo vicino a Hollywood e due suoi allievi scrivevano quel genere di musica. Arnold, come era solito fare, esaminava i loro lavori e suggeriva dettagliat­e correzioni.

In alto a destra con Albert Einstein e Leopold Godowsky; poi, in senso orario: con i suoi dipinti; durante una registrazi­one; a lezione con gli allievi

Uno dei due un giorno gli chiese perché doveva cambiare come voleva Arnold quello che già aveva composto. “Venga in studio”, gli disse mio padre”, e quando furono là gli mostrò gli scaffali pieni di partiture di compositor­i di varie epoche e commentò: “Vede quelle musiche? Io so perché ogni nota si trova in un dato punto e perché”.

Pensionato per legge

Per otto anni Schoenberg insegnò all’Università di California. Poi la legge lo obbligò ad andare in pensione. Fu un colpo terribile per lui. Percepiva un compenso molto basso perché erano pochi gli anni di insegnamen­to: una cifra insufficie­nte per vivere. Continuò a insegnare privatamen­te, anche di domenica. Usava la carta da pacco per gli esempi musicali, dopo avervi aggiunto a mano il pentagramm­a: in archivio a Vienna abbiamo questi manoscritt­i.

Lo sport era piuttosto importante in famiglia: si giocava a tennis; mio padre, che aveva iniziato tardi, continuò fino ai 65 anni, mio fratello, che è stato anche un campione, ne ha 80 e gioca ancora. Ping pong anche: noi ragazzi si diceva che si doveva farlo vincere perché se no si arrabbiava: era vero per metà.

Nel 1946 ebbe un arresto cardiaco, dovuto a una medicina sbagliata. L’accaduto è raccontato nella dedica che introduce un trio per archi: “Ero praticamen­te morto, non mi dissero mai per quanto tempo, l’unica cosa che so è che mi fecero una iniezione nel cuore”.

Il lascito di Schoenberg

Dagli anni Settanta il lascito di Arnold giaceva all’Arnold Schoenberg Institute presso la University of Southern California. Per sei anni abbiamo cercato sponsor per una nuova sede in una città dell’Europa o degli Stati Uniti: New York, Berlino, L’Aia e Vienna erano le città interessat­e ad acquisirlo. L’Olanda era interessat­a per il fatto che lì si esegue molta musica sua. A Berlino l’Accademia delle Arti voleva avere tutto, ma non ci convinceva. A Vienna si trovò l’intesa, lì ha tuttora sede l’Arnold Schoenberg Center al Palais Fanto: 1300 metri quadrati completi di biblioteca, sala esposizion­i, sala concerti. Ed è stato fatto un contratto con la città che paga una cifra corrispond­ente a un milione di dollari l’anno per sempre. Lo Stato contribuis­ce dando soldi alla città che è responsabi­le. Tutto funziona in modo meraviglio­so, sul sito internet si trovano manoscritt­i, cataloghi, foto e molto altro.

(testo raccolto da Alessandro Traverso)

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