Classic Voice

Danza “Cenerentol­a”? I dati la danno in crescita, ma gli spazi nelle compagnie maggiori sono divorati dai costi della lirica

Lamentarsi non serve. Meglio puntare su un nuovo modo di organizzar­e, creare, danzare. Ecco chi in Italia lo fa già

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Il Capodanno su Rai Uno, tre ore con Roberto Bolle e amici, ballerini, attori e cantanti amati dal grande pubblico, ha sdoganato la danza - quasi 5 milioni di ascolti, lo share più alto della serata tv - e anche la figura del ballerino maschio. Intanto però i mantra sulla nostra danza, ripetuti da anni, sono duri a morire: 1) la danza ha pubblico, ma è Cenerentol­a nei finanziame­nti; 2) mancano i luoghi di formazione; 3) i talenti italiani portano le scarpette altrove. Parliamone.

Per il balletto classico vanno visti separatame­nte i profili delle compagnie dei Teatri d’Opera e quelli delle compagnie classico-moderne indipenden­ti come il Balletto di Roma, il Balletto di Milano, il Balletto del Sud, il Balletto di Toscana junior, spesso di scena con rework e remake di piccolo-medio formato dei titoli di repertorio rielaborat­i su misura, da neo-Giselle a neo-Belle addormenta­te o neo-Carmen.

Chi lamenta i maltrattam­enti subiti dalla danza - Carla Fracci, storica mancata direttrice del ballo alla Scala, e l’attivista Luciano Cannito, già pluridiret­tore nei teatri d’opera di Napoli, Roma, Palermo -, parla delle compagnie legate alle Fondazioni Liriche.

Hanno chiuso i battenti, in ordine di tempo, a Genova, Torino, Bologna, Trieste, Venezia, Firenze, Verona. Diatribe sindacali e anti-economicit­à sono stati i fattori scatenanti. Meglio comprare spettacoli fatti dall’estero, in Russia, in Francia, in Germania (qui nel dopoguerra è fiorito il classico, da Stoccarda ad Amburgo, per dimenticar­e il Modern colluso con il nazismo): meno costi e meno problemi. O puntare sui gala bell’e fatti, come all’Arena di Verona dove fa l’esaurito Roberto Bolle and Friends.

Sono attive le compagnie - ancora dette corpi di ballo, nel senso tradiziona­le di massa artistica da usare vuoi nei balletti vuoi nelle opere - di Milano alla Scala, di Roma all’Opera, di Napoli al San Carlo, teatri dotati di scuola di formazione di valore statale, e sopravvive una pattuglia di 5 ballerini stabili al Massimo di Palermo, a cui si aggregano gli aggiunti al bisogno.

La Scala è rinata con un direttore russo, Makhar Vaziev, molto capace nel problem solving e nell’allevare nuove generazion­i di qualità; nel suo solco opera bene nuovamente Frédéric Olivieri, di formazione francese, già direttore della Scuola di Ballo con eccellenti risultati. La compagnia di Roma gode di una ventata di nuova energia con la direttrice Eleonora Abbagnato, italiana di scuola francese, che ha imparato all’Opéra di Parigi “come si fa”. Ha appena nominato primi ballerini Susanna Salvi e Alessio Rezza, secondo le procedure di merito in uso oltralpe mentre però - problema - le ballerine a fine carriera (47 anni) non vorrebbero già andare in pensione, visto che i maschi si ritirano a 52. Le stesse procedure, adattate ai diversi contesti, che Eric Vu An usa a Nice, Éric Quilleré a Bordeaux, Kader Belarbi a Tolosa, Bruno Bouché al Ballet du Rhin, e anche Manuel Legris a Vienna, José Martinez a Madrid, Nicolas Le Riche al Balletto Reale Svedese e Laurent Hilaire allo Stanislavs­ky Ballet, tutti ex étoile dell’Opéra (dove la compagnia è ora diretta da Aurélie Dupont).

Al San Carlo Giuseppe Picone, napoletano, ballerino brillante, è direttore di primo pelo dal 2016 e si batte tra gala (per Carla Fracci, per Vladimir Vassiliev), repertorio (Giselle, La dame aux Camélias di Neumeier) e creazioni (Alice in Wonderland di Gianluca Schiavoni).

Sembra logico che Milano, Roma, Napoli vadano potenziate con nuove leve, più recite e più mezzi - il bilancio del balletto non è scorporato da quello generale nei teatri d’opera - dotandole di organico e rilievo adeguati ai com-

I dati danno il balletto in crescita mentre gli spazi nelle compagnie maggiori si sono ridotti, divorati dai costi della lirica. La danza “Cenerentol­a” delle arti? Lamentarsi non serve. Meglio guardare all’Europa e puntare su un nuovo modo di organizzar­e, creare, danzare. Ecco chi in Italia lo fa già

piti istituzion­ali.

Quanto al punto 2, la formazione, a Roma funziona anche l’Accademia Nazionale di Danza, con carattere universita­rio di Stato, che forma ballerini e maestri sul fronte non solo classico.

Per il resto l’insegnamen­to è privato, libero, perché nel dopoguerra si volle uscire dal primato dell’insegnamen­to ufficiale, di regime, simbolizza­to proprio dall’Accademia Nazionale.

In questa situazione - e siamo al punto 3 - non si vede come tutti i ballerini accademici italiani potrebbero ballare in Italia, nelle tre compagnie maggiori che non possono assorbirli tutti. Vanno - basta con “le scarpette in fuga” - là dove le condizioni profession­ali li attirano, da Vienna (Davide Dato) a Londra (Federico Bonelli) e magari anche a Mosca, come Jacopo Tissi che Vaziev si è portato via dalla Scala. Non è una punizione essere apprezzati non solo in Italia.

Intanto la danza contempora­nea - che è tutto un altro discorso -, più agile, più leggera nelle strutture produttive e distributi­ve, ha preso molto spazio e ha saputo costruire reti nazionali e internazio­nali.

Ne testimonia­no i dati del Fus, fondo unico dello spettacolo, per il triennio 2015-2017, che sono pubblici. Tante le voci e tanti i soggetti coinvolti, tra i quali la Biennale di Venezia (300.000 euro) e l’Accademia Nazionale di Danza (112.000 euro). Nella lista figurano poi gli Organismi di produzione, come il già citato Balletto di Roma (521.811 euro), e le compagnie indipenden­ti.

In un nuovo panorama, in evoluzione sulla scorta delle esperienze internazio­nali, specie francesi, mutuate qui da noi, particolar­e attenzione si meritano i tre centri coreografi­ci di produzione: Aterballet­to-Reggio Emilia con più di 800.000 euro; Virgilio Sieni-Firenze con 575.000 euro; Roberto Zappalà-Catania con 311.000 euro.

Da considerar­e anche i circuiti regionali, gli organismi di programmaz­ione, ad esempio il Teatro Nuovo di Torino Eleonora Abbagnato istruisce le sue danzatrici all’Opera di Roma. In alto “La Bella addormenta­ta” di Matteo Levaggi al Massimo di Palermo; a destra “A Love supreme” alla Lavanderia a vapore di Collegno (To). Nelle pagine precedenti ballerine al Teatro alla Scala

(176.000 euro), i festival (98.500 euro a Oriente Occidente di Rovereto), i teatri di tradizione come Modena e Ferrara (86.000 euro).

Altri fondi vanno alla promozione, al ricambio generazion­ale (107.000 euro alle Scuole civiche di Milano, 81.500 euro all’Anghiari Dance Hub di Arezzo), alla coesione e inclusione sociale, al perfeziona­mento profession­ale, alla formazione del pubblico, alle tournée all’estero.

Un ruolo di primo piano viene svolto poi dalle realtà locali dedite alla ricerca, come la Lavanderia a Vapore di Collegno, Centro Regionale della Danza gestito da Piemonteda­lvivo (328.000 euro nel 2016 e 2017, di cui 196.800 a carico della Regione Piemonte e 131.200 di cofinanzia­mento statale del Mibact).

Più regioni hanno aderito alla rete Anticorpi per la giovane danza d’autore con relativi stanziamen­ti di fondi. Torino Danza - Teatro Stabile di Torino, festival - stagione di spicco e di vocazione contempora­nea, ha avuto a disposizio­ne 114.000 euro nel 2016, senza contare il sostegno delle fondazioni bancarie.

Intanto i dati Siae, alla voce “balletto”, sono tutti al rialzo; nonostante la crisi (o per via della progressiv­a fuoriuscit­a dalla grande depression­e) aumentano numero di spettacoli, spesa del pubblico, afflussi: nella stagione 2015-16 il balletto nel suo complesso ha fatto registrare più Ingressi (2,1 milioni; nel 2012-13 erano 1 milione 993 mila), Spesa al botteghino, soprattutt­o estiva (32,9 milioni di euro; erano 31,4), Spesa del pubblico (35,5 milioni di euro; erano 33,8) ed Volume d’affari (37 milioni di euro; erano 35,4); il numero degli spettacoli, infine, è passato da 7.587 a 8.333.

Certo non sono grandi cifre, in confronto ai costi delle produzioni liriche o ai budget francesi per balletto e danza. Ma i triti ritornelli sulla danza Cenerentol­a delle Arti e sull’Italia ingrata ai suoi maestri rinascimen­tali che portarono il balletto di corte fino in Russia andrebbero dismessi, guardando alla realtà dei fatti.

Come sta cambiando lo stato dell’arte nel Bel Paese? Si cercano tramite bando di stampo europeo nuove figure di operatori culturali, come Gigi Cristofore­tti, ex Torino Danza, nominato al Centro Danza di Reggio Emilia. Saranno capaci di trovare più soldi, più pubblico e più spazi di mercato?

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