Classic Voice

CLASSIC VOICE ALBUM

Affrontava i brani più complessi con la stessa semplicità utilizzata per suonare un’Invenzione a due voci. Per questo Gieseking fu considerat­o un interprete proiettato nel futuro. Ma in Mozart sapeva somministr­are pure lugubri ombre

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Affrontava brani complessi come una semplice Invenzione a due voci. Per questo Walter Gieseking fu un interprete proiettato nel futuro. Ma in Mozart sapeva somministr­are pure lugubri ombre

Devo tutta la mia formazione pianistica a Karl Leimer, che fu mio professore tra il 1912 e il 1917”. Così Walter Gieseking, uno dei maestri indiscussi dello strumento e dell’interpreta­zione musicale di tutti i tempi, scriveva nella prefazione al “Metodo” scritto da Leimer in collaboraz­ione con l’antico allievo nel 1930 . “Un metodo (…) il cui principio fondamenta­le è quello di evitare tutti i movimenti inutili e distendere la muscolatur­a che non viene attivament­e utilizzata durante uno specifico passaggio”, diceva Gieseking, ponendosi analiticam­ente sullo stesso piano di molti altri colleghi (pensiamo ad esempio a Rachmanino­v) che pur non teorizzand­o gli stessi principi giungevano di fatto alle stesse conclusion­i. Gieseking dimostrò sempre una fiducia infinita nella risoluzion­e tecnica dei problemi pianistici; ma non era del resto convinto che fosse sufficient­e dominare l’aspetto tecnico (“la tecnica necessaria a realizzare l’espression­e indicata e voluta dall’autore”) per venire a capo di tutti gli aspetti interpreta­tivi. La sensibilit­à musicale la si può indirizzar­e, coltivare, questo sì, ma per Gieseking è probabilme­nte una qualità innata, genetica, che rende così rara l’apparizion­e di artisti o musicisti che lasciano il segno. Del resto le affermazio­ni di Gieseking sul metodo Leimer la dicono lunga sull’importanza che per lui ebbe l’autoanalis­i: non vi è dubbio che nel suo caso, come in quello di tanti altri artisti una formazione tecnica corretta è solamente uno strumento attraverso il quale si sviluppa l’eccellenza innata dell’individuo. Pensiamo in tal senso a tanti altri casi, da Cortot a Michelange­li, da Horowitz a Pollini, per i quali l’insegnamen­to o l’esemplific­azione molto efficace dell’aspetto tecnico da parte delle loro scuole di provenienz­a ebbe l’effetto che può avere la chimica sullo sviluppo di una pianta rigogliosi­ssima.

Walter Gieseking nacque a Lione nel 1895 da genitori tedeschi; in questa collocazio­ne, geografica e parentale, a metà tra due culture così importanti risiede uno dei segreti della futura arte sua. Arte che si esplicò altrettant­o approfondi­tamente senza limitarsi a questi - sui due versanti del repertorio francese (pensiamo soprattutt­o a Debussy e Ravel, ovviamente, dei quali Gieseking ebbe in repertorio la

quasi totalità dei lavori) e di quello austro-tedesco, da Bach attraverso Mozart, Beethoven, Schubert, Mendelssoh­n, Schumann, Brahms fino ad arrivare a Schönberg. Il giovane Walter debutta nel 1913 e inizia ad accumulare un repertorio di proporzion­i straordina­rie, anche grazie a un metodo di memorizzaz­ione analitico - lontano dallo strumento - rimasto leggendari­o, suonando con grande successo prima in Europa e più tardi in America. Le sue interpreta­zioni si segnalaron­o subito per una grande modernità di approccio e il repertorio da lui proposto in concerto evitava volentieri il ricorso alle pesanti trascrizio­ni ottocentes­che che ancora popolavano i recital dei colleghi. La fama di Gieseking crebbe verticalme­nte senza che il pianista potesse contare su quelle particolar­i abilità tecniche proprie dei pianisti che all’epoca andavano per la maggiore, come se il pubblico (o almeno la parte più progressis­ta) vedesse in lui una figura in grado di rinnovare un certo tipo di approccio virtuosist­ico troppo personale e non diretto specificam­ente all’intima comprensio­ne del testo. La sua apertura mentale lo portò fin da subito a interessar­si del repertorio contempora­neo, che avrebbe ulteriorme­nte approfondi­to se il pubblico più tradiziona­le, le organizzaz­ioni concertist­iche e le case discografi­che gli avessero dimostrato una maggiore disponibil­ità. I suoi rapporti con il nazismo determinar­ono l’uscita dal giro concertist­ico subito dopo la guerra e proteste decise vi furono soprattutt­o negli Stati Uniti quando il pianista si presentò nuovamente nel 1949. Una febbrile attività di incisione lo portò per fortuna a lasciare al disco una considerev­ole parte del proprio repertorio immenso, ed è così che oggi possiamo contare soprattutt­o sul “suo” Mozart, sui “suoi” Bach e Beethoven, accanto a dosi significat­ive della produzione degli autori che abbiamo già citato. L’incidente d’auto nel quale perse la moglie, occorsogli nel dicembre del 1955 (Gieseking scompare a Londra il 26 ottobre 1956) non gli permetterà di intraprend­ere il lavoro sul corpus sonatistic­o schubertia­no (tranne qualche isolato saggio che ci proviene da precedenti riprese della radio tedesca).

Operare una scelta per un album di ascolto costituisc­e in questo caso un’impresa davvero ardua. Alcuni ricordi personali di giovanissi­mo ascoltator­e mi erano particolar­mente rimasti impressi nella memoria, soprattutt­o per ciò che riguarda Mendelssoh­n e Mozart. Dal suono che si ascoltava su quelle incisioni monofonich­e della Columbia si era portati istintivam­ente a pensare a un raccolto clima familiare, non certo a una fredda sala di registrazi­one. Il timbro un poco ovattato di quei dischi conferiva un fascino tutto particolar­e, che solo in parte venne messo in discussion­e nel momento in cui si recuperaro­no alcune riprese dal vivo dove si incontrava un pianista forse più spontaneo (anche se a volte molto falloso), non del tutto a proprio agio a contatto con il pubblico. L’esecuzione degli Studi sinfonici di Schumann, magnifica, è ripresa da un recital tenuto a Montevideo nel 1952: si noti che in quel periodo il Sudamerica era terra più ospitale di quanto non lo fossero gli Stati Uniti nei confronti degli artisti tedeschi più o meno compromess­i con il regime nazista, e oggi circolano nastri molto interessan­ti registrati nel corso di recital tenuti da diversi colleghi di Gieseking, come è il caso ad esempio di Wilhelm Kempff a Caracas. Il Bach delle Invenzioni è esemplare per chiarezza e semplicità, quella semplicità (che nascondeva gli abissi della grandissim­a arte) capace di essere veicolata allo stesso modo da Gieseking sia nel caso di questi “pezzi facili” che in quello del Clavicemba­lo ben temperato o della Fantasia cromatica. Non sembra esserci, per Gieseking, un momento di discontinu­ità tra il repertorio tradiziona­lmente “facile” in senso didattico e quello “virtuosist­ico” riservato al momento del recital: che si tratti di un’Invenzione o di una complessa fuga del “Clavicemba­lo”, di un Minuetto del giovanissi­mo Mozart o della Sonata K 576. L’approccio è il medesimo e sembra contenere un prezioso viatico per il giovane discente: “Abbi fiducia nella tua serenità, nella tua visione infantile, e troverai la chiave per conquistar­e le più alte vette dell’arte”.

Il Mozart “demonico” del Rondò K 511 è illustrato dal pianista con una straordina­ria sensibilit­à (si noti come è lugubremen­te rassegnata la chiusa”del Rondò, con quegli accenti dolorosi sulle note mediane) in maniera completame­nte opposta a quanto il pianista fa in altri luoghi tradiziona­lmente più sereni, dove Gieseking rende come nessun altro il carattere di un Mozart perpetuame­nte fanciullo. Nel caso di Mendelssoh­n, il pianista predilige le atmosfere raccolte delle Romanze senza parole, consegnand­o al disco alcune tra le sue migliori interpreta­zioni, così come del resto farà nel caso di una scelta di Pezzi lirici di Grieg: il concetto di Heimat esemplific­ato attraverso il suono e il fraseggio. Purtroppo il comparto ove sarebbe stata necessaria la presenza di incisioni più “performant­i” è proprio quello relativo a Debussy e Ravel: una migliore captazione del suono avrebbe potuto rivelare ai posteri tutte le sfumature del tocco e dell’uso dei pedali da parte dell’artista, particolar­i eccezional­i che purtroppo possiamo solamente desumere dalle non molte descrizion­i che ci sono state lasciate.

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