Maschere o mutazioni?
Carnevale quindi travestimenti musicali. Una selezione, s’intende: il repertorio è sterminato ed è realisticamente difficile rubricare le “maschere” secondo criteri indiscutibili, tecnicamente distinti. Sono parafrasi, parodie, fantasie, trascrizioni...oppure? Per cavarcela usiamo un criterio d’autore (molto drastico e selettivo nel caso di autori, Liszt per citarne uno, che ci avrebbero inflazionato la pagina, in altri casi libero e personale), e sostanzialmente ristretto a trascrizioni e mutamenti di strumento/azione; lavori musicali che danno conto del magistero dei “secondi autori” ma anche del loro rispetto assoluto. Molte di tali “nuove” pagine nascono da un gesto di venerazione, quindi di deferenza e ossequio. Altre da occasioni più mondane, o per arricchire le destinazioni esecutive. Quasi tutti hanno legittimazione pedagogica e nascono dal desiderio di far conoscere le musiche dei “primi autori”: sono gesti di divulgazione, comunicazione e proselitismo stilistico in stagioni musicali in cui l’editoria non era globale e la discografia parca. Far conoscere il repertorio “antico” fu alla base delle trascrizioni moderne del/dal barocco. Sono celeberrime, anche per il traino della disneyana Fantasia (1940) che utilizzò la Toccata e Fuga in Re minore le orchestrazioni bachiane di Leopold Stokowski (che però mascherò a misura superorchestrale-e-direttoriale anche altri autori). Meno praticate esecutivamente - ma abbastanza spesso proposte negli anni Sessanta-Settanta - erano le sofisticate strumentazioni di Bruno Maderna. Un caso a parte è rappresentato da Respighi che ridiede vita concertistica a intavolature e altri brani musicali rinascimental-barocchi nelle tre suite di Antiche danze e arie per liuto trascritte rispettivamente nel 1917, 1924 e 1932. Erano gli anni del recupero pre-autarchico della letteratura musicale nazionale (sue furono anche le prime importanti strumentazioni di Monteverdi), e non si fece pregare, nel 1919, a ridurre - anzi sviluppare - a balletto i quasi ignoti tardi pezzi pianistici di Rossini per La Boutique fantasque, il balletto creato da Léonide Massine (che firmò coreografia e libretto) per i Ballets russes.
L’autore più trascritto - una sorta di contrappasso per la sua passione di trascrittore (pensiamo alle rivisitazioni per tastiere varie dei concerti italiani, Vivaldi anzitutto) - fu certamente Johann Sebastian Bach. La musica del Kantor continua a suscitare passioni riscrittorie: l’intero arco strumental-costituzionale, dall’accordéon all’elettronica (ma con applicazioni firmate, come quella di Webern, ch’è un doppio capolavoro e non una trasformazione d’uso; esattamente come lo sono i travestimenti per organico da camera dei valzer di Strauss fatti insieme ai suoi sodali musicali viennesi) l’ha in repertorio. “Per rialzare la natura della trascrizione a dignità d’arte, basta fare il nome di J.S. Bach”, scriveva Busoni nel 1910, “da lui imparai a riconoscere una verità: che una musica buona, grande, ‘universale’, resta la stessa qualunque sia il mezzo attraverso cui si faccia sentire [e] che mezzi diversi hanno un linguaggio diverso (loro peculiare) col quale comunicano questa musica in modo sempre un po’ differente”. Quasi un terzo del catalogo busoniano è fatto di trascrizioni (da Mozart a Schoenberg); Bach fa la parte del leone e l’esito più celebre è la Ciaccona che, come scrisse Sergio Sablich “non è né una parafrasi del testo bachiano né una fantasia, ma l’ideale prolungamento delle virtualità stilistiche in esso latenti, amplificate e approfondite nel passaggio dal violino al pianoforte: non intende dunque tradurre l’originale, ma ricomporlo su nuove, autonome basi”. Ragionamento che, parzialmente, possiamo “trascrivere” e sottoscrivere ricordando la personalità non meno autoriale degli omologhi lavori di Liszt.