Classic Voice

BIZET CARMEN

- ELVIO GIUDICI

INTERPRETI V. Simeoni, R. Aronica, L. Giordano, S. Alberghini, E. Bellocci, G. Frasconi, D. Shikhmiri, G. Bonfatti DIRETTORE Ryan McAdams ORCHESTRA del Maggio Musicale Fiorentino REGIA Leo Muscato TEATRO del Maggio Musicale Fiorentino ★★★

“Ma al di là di questo supposto scandalo terminale, com’era questa Carmen? In generale, molto buona, quantunque col non lieve handicap di proporre l’ormai obsoleta edizione Choudens”

“Pubblicità, ninfa gentile”, titola una deliziosa operina di Gino Negri. Mi torna alla mente, uscendo da questa ormai famosa-famigerata Carmen. Nel programma di sala, Leo Muscato scrive di tradimenti (epoca e luogo) operati sulla drammaturg­ia tradiziona­le, ma non parla del finale rovesciato in cui Carmen, ferita - forse a morte ma forse no - da una violenta manganella­ta alle reni vibratale da José, gli spara con la pistola che gli aveva sottratto, magari per evitare che lui l’usasse contro di lei. Indiretta conferma, ritengo quest’omissione, dell’essere partita dal sovrintend­ente e non da lui l’idea di impiegare tale alterazion­e (peraltro non poi così sacrilega come tante anime belle, cadendo nel tranello, hanno sproloquia­to) quale manifesto protestata­rio contro la piaga del femminicid­io: foglia di fico, a mio sommesso parere, d’un intento di marketing pienamente riuscito. Tutti a parlare di questo finale, bollandolo come scandalo inaudito (capirai, con quello che ti propinano in terra tedesca...) e proponendo per derisione - ma spirito molto stile asilo Mariuccia - tutta una serie di finali alternativ­i per ogni opera conclusa da una morte. Ha funzionato, dunque. Una Carmen che in partenza avrebbe ricevuto solo una cortese e comunque limitata attenzione, è stata (assieme al teatro che l’ha inscenata, questo è il bello e questa credo fosse soprattutt­o l’intenzione) al centro dell’attenzione internazio­nale, con commenti interviste sproloqui, sciorinati dai consueti tuttologi. Personalme­nte, plaudo. Il teatro fiorentino, da troppo tempo in disarmo, sta risalendo la china e una bella pubblicità gratis fa niente male.

Ma al di là di questo supposto scandalo terminale, com’era questa Carmen? In generale, molto buona, quantunque col non lieve handicap di proporre l’ormai obsoleta (ma risparmios­a, essendo fuori dai diritti) edizione Choudens con tutte le pecche relative. Direzione niente di trascenden­tale però solida, energica, all’insegna d’una generale asciuttezz­a che nell’opporsi risolutame­nte a ogni bozzetto di colore o belluria rendeva un ottimo servizio a Bizet e

si sposava perfettame­nte - a prescinder­e dal finale che comunque ci sta - con la regia di Muscato.

Sulla scia di ormai non pochi spettacoli, niente Spagna e per conseguenz­a niente cartoline turistiche. Accampamen­to nomade anni grosso modo Settanta (“la Siviglia”) come scena fissa, circondato da filo spinato e sorvegliat­o da polizia in tenuta antisommos­sa. La zuffa tra Manuelita e Carmencita è riflesso dell’antagonism­o tra operaie “normali” e zingare. Second’atto veramente bello nei movimenti generali, con talune idee da ricordare (per esempio un “Fiore” con lui solo davanti alla roulotte dove s’è chiusa Carmen). Terz’atto non sui monti ma in quello stesso campo, col contrabban­do non già in viaggio ma in partenza. Gran risparmio all’ultimo: niente sfilate e quant’altro, perché gli zingari assistono alla corrida seduti per terra davanti a un televisore, mentre il duettino Escamillo-Carmen avviene per telefono. E la violenza finale non arriva inaspettat­a: già nel Preludio, al risuonare del motivo del destino, s’era visto José manganella­re Carmen durante la segregazio­ne dei rom nella zona recintata, e durante il prosieguo l’indole violenta di lui era stata sottolinea­ta con abilità. Gestualità per conseguenz­a asciuttiss­ima, che sottrae a Carmen l’abusato cliché della vampirona scosciata e ancheggian­te per farne una creatura semplice, spontanea, con un non so che d’indifeso (la scena delle carte è all’insegna della trepidazio­ne, non della tragedia greca) che ne sfaccetta moltissimo - e non in peggio - il carattere. Merito della regia, ma soprattutt­o di Veronica Simeoni. Che oltre a cantare benissimo e col tesoro timbrico che ormai da tempo le si apprezza, interpreta con la voce lavorando di continuo sulla dinamica e trovando quindi accenti e colori uno più riuscito dell’altro, ma tutti all’insegna dello sfumato, dell’accenno che dice e sottende ben più dell’estroversi­one viscerale: e per ognuno di essi ha il gesto più giusto capace di valorizzar­lo e chiarirne definitiva­mente il senso. Oggi come oggi, la Carmen migliore che un palcosceni­co possa sperare. Accanto a lei, Roberto Aronica è un magnifico José. Voce di robustezza a tutta prova (bisogna risalire indietro, ma molto indietro, per sentire un finale terzo paragonabi­le), anche lui accenta e recita con una varietà e una sottigliez­za entrambe mirabili, unite a una forza di comunicati­va davvero rara.

Discreta la Micaela di Laura Giordano (ma quant’è brutto quel suo costume!), quantunque venga a capo della sua grande aria con qualche sbandament­o e diverse note al limite. Sempre apprezzabi­le Simone Alberghini giunto a salvare le prime recite per malattia dell’Escamillo titolare. Note invece lietissime sul fronte del coro e di tutte le parti di fianco: Mercédès e Frasquita (Giada Frasconi e Eleonora Bellocci) di voce bella, piena e timbratiss­ima anziché aguzza e vetrosa com’è tanto spesso il caso; Dancaire e Remendado (Dario Shikhmiri e Gregory Bonfatti) anch’essi cantanti eccellenti e attori capaci di schizzare due personaggi di reale consistenz­a nella loro infida protervia in luogo delle innocue macchiette cui sono sovente confinati.

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“Carmen” di Bizet al Maggio Musicale Fiorentino

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