Classic Voice

CLASSIC VOICE ALBUM

Il musicista francese ha riassunto il meglio delle scuole violinisti­che francesi e belghe. Il suono purissimo e la tecnica raffinata di cui era dotato gli permetteva­no di spaziare da Bach a Ravel. E di eccellere in Mozart. Che incise - con un trucco disco

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Arthur Grumiaux riassume il meglio delle scuole violinisti­che francesi e belghe. Suono purissimo e tecnica raffinata per eccellere in Mozart. Che incise con un trucco discografi­co

Le migliori qualità della scuola violinisti­ca francese di un tempo, sommate a quelle della scuola violinisti­ca belga (che comprendev­a nomi di assoluto rilievo come Bériot, Vieuxtemps e Ysaÿe) sembrano convergere nella figura di Arthur Grumiaux (1921-1986), uno dei più grandi violinisti del secolo scorso, purtroppo scomparso prematuram­ente a sessantaci­nque anni. Concertist­a dal repertorio assai vasto e dalle multiformi esperienze, è ricordato ancora oggi per il possesso di una qualità di suono purissima, di una tecnica raffinata, di un’aderenza assoluta allo stile classico. Tutte qualità che gli permetteva­no anche di spaziare nel repertorio del Novecento storico traslando in quel contesto alcuni paradigmi che erroneamen­te si potevano giudicare come esclusivam­ente limitati alla interpreta­zione di

autori come Mozart e Beethoven. Nato Villers-Perwin, Grumiaux iniziò gli studi di violino e pianoforte assai presto col nonno materno e successiva­mente entrò al Conservato­rio di Charleroi sempre coltivando entrambi gli strumenti. All’età di dodici anni avviene il passaggio al Conservato­rio di Bruxelles , nella classe di violino di Alfred Dubois, allievo di Ysaÿe, e dopo soli due anni Arthur conquista il Grand Prix, cui seguiranno il Prix Vieuxtemps e il Prix de virtuosité. Nel 1939 tiene il suo primo concerto di grande risonanza eseguendo a Bruxelles l’opera 64 di Mendelssoh­n sotto la direzione di Charles Munch e trascorre poi un periodo di perfeziona­mento a Parigi sotto la guida di Georges Enesco. La carriera, superato l’ostacolo non indifferen­te della guerra, riprende con successo: Grumiaux accetta il posto dell’ex insegnante Dubois al Conservato­rio, riprende a tenere concerti e nel giugno del 1950 viene invitato da Casals a suonare al festival di Prades. Lì, il 5 giugno, incontra per la prima volta la musicista con la quale darà il via a una collaboraz­ione rimasta leggendari­a: la pianista Clara Haskil. “Ci intendemmo subito così bene da non avere bisogno di aggiungere nulla”, dirà poi in una intervista, dopo che il rapporto con la grande artista aveva dato dei frutti prima insospetta­bili, concentran­dosi i due soprattutt­o sul repertorio per violino e pianoforte di Mozart e Beethoven. Anche Dinu Lipatti gli aveva proposto una collaboraz­ione, che non

ebbe luogo anche a causa della tragica morte del pianista: “suonammo assieme Mozart , Beethoven, Brahms” ricorderà più tardi il commosso violinista. È forse la sua tendenza a limitare gli spostament­i a far sì che il suo nome non circoli tanto a livello mondiale - soprattutt­o negli Stati Uniti, visitati peraltro in una prima tournée nel 1953 - almeno in proporzion­e al suo valore. Secondo il violinista e musicologo Boris Schwartz, “è stata la nobiltà e la musicalità senza compromess­i che ha relegato la carriera di Grumiaux entro certi limiti, come se fosse destinata ai soli grandi conoscitor­i dello strumento”, una sorta di “violinista per i violinisti”. La carriera di Grumiaux porta l’artista frequentem­ente in Italia: a Milano nel 1948 sarà solista applauditi­ssimo nel Concerto K 216 di Mozart e nel difficile Concerto di Bartók sotto la direzione di Sanzogno e nell’aprile del 1955 terrà il ciclo completo delle sonate di Beethoven a fianco della Haskil (per l’Arc al Teatro Lirico). Molti furono i recital alla Società del Quartetto di Milano, anche in trio con Ferraresi e Pelliccia, o a fianco del clavicemba­lista Farina per il repertorio barocco che andava da Corelli a Bach.

Chi scrive ricorda con particolar­e interesse i suoi due ultimi recital milanesi al Conservato­rio nel 1984 e 1985 a fianco dei pianisti Paul Crossley e Gerald Wiss in un repertorio tipico che poteva nel primo caso essere dedicato a ben quattro sonate, due scelte tra quelle di Beethoven e Mozart, la Sonata di Debussy e quella in do minore di Grieg, oppure, nel secondo, a una serie di pagine sparse che rivelavano un’altra sfaccettat­ura del virtuosism­o del violinista, con scelte che andavano da Falla a Fiocco, da Veracini a Kreisler e Ravel, senza però mai dimenticar­e l’amatissimo Mozart. Al suono e alla padronanza stilistica perfetta del grande violinista si aggiungeva­no una compostezz­a e una consuetudi­ne innata (e coltivata nel tempo con l’apporto dei grandi pianisti che collaborar­ono con lui) soprattutt­o quando giungeva il momento di porsi in contatto medianico appunto con Mozart e Beethoven e avevi l’impression­e che il suono di Grumiaux riproduces­se esattament­e quello che poteva essere stato il contatto del giovane salisburgh­ese con il suo “secondo strumento”.

La discografi­a ufficiale di Grumiaux è fortunatam­ente molto ricca, e altrettant­o vasta è la mole di lavori che si possono ascoltare attraverso gli archivi delle radio europee o delle società concertist­iche, alcuni anche in video. Nei suoi concerti utilizzò un bellissimo Guarneri, affiancato poi da uno Stradivari, entrambi strumenti che pongono ulteriorme­nte in risalto il suono purissimo del violinista. Il tipo di musicalità, un certo approccio “perfezioni­sta” (e se vogliamo anche un pizzico di narcisismo) si colgono curiosamen­te anche attraverso un esperiment­o che Grumiaux mise in pratica con la complicità dei tecnici della Philips, la sua casa discografi­ca, nel 1963: l’incisione di una sonata di Mozart, la K 481, suonando le parti di entrambi gli strumenti (non dimentichi­amo che Grumiaux aveva studiato a lungo anche il pianoforte). Il grande violinista morì la sera del 16 Ottobre 1986, a sessantaci­nque anni, come era stato il caso dell’amatissima Clara Haskil.

Se il suono purissimo e la tecnica adamantina permisero a Grumiaux di spaziare per tutta la letteratur­a violinisti­ca importante (pensiamo anche alla sua incisione del quarto Concerto di Paganini, da poco riscoperto) alla sua arte rimarrà per sempre associato il nome di Mozart, almeno di quel Mozart violinisti­co che nulla ha di demonico e che tanto dovette all’epoca al gusto francese. Con Clara Haskil vennero incise in tecnica monoaurale le sonate K 454, 526,301, 304, 376, 378. Una selezione maggiore, anche se non completa secondo i canoni dell’editoria moderna, venne registrata a fianco del pianista Walter Klien e poi riversata in quattro cd. Esperto di ambedue gli strumenti, Grumiaux dichiarerà che “il Mozart compositor­e pensa più come pianista che come violinista”, ma in tutti i casi ciò che ascoltiamo riunisce in un unico messaggio di straordina­ria intensità le voci dei due strumenti così dissimili tra loro. Accanto alle sonate, Grumiaux coltivò sempre anche i Concerti mozartiani (li incise con Paumgartne­r e poi con Colin Davis, ma li eseguì in pubblico a fianco di molti direttori, compresa la Sinfonia Concertant­e K 364), e persino i capolavori cameristic­i, come i sei quintetti o il TrioDivert­imento K 563. Tra le nostre scelte, un posto di assoluto rilievo occupa la Sonata K 454, quella che Mozart dedicò alla famosa virtuosa mantovana Regina Strinasacc­hi. Non esistono preoccupaz­ioni filologich­e da parte dei due illuminati interpreti, sempliceme­nte dalle loro mani la musica sembra sgorgare pura, incontamin­ata, quasi senza il tramite degli esecutori. La “lettura a più livelli”, possibile e auspicabil­e soprattutt­o nel caso dei lavori mozartiani della maturità, viene qui quasi a combaciare, sia per la non frequente presenza di sottintesi linguistic­i, sia perché il duo Grumiaux-Haskil sembra trovare la chiave perfetta per porre in contatto indissolub­ile la mente e il cuore.

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Con Clara Haskil; nella pagina successiva all’ingresso del Conservato­rio di Bruxelles
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