Classic Voice

DONIZETTI

LA FAVORITE

- ELVIO GIUDICI

INTERPRETI V. Simeoni, C. Albelo, M.Olivieri, U. Guagliardo

DIRETTORE Fabio Luisi

ORCHESTRA Maggio Musicale Fiorentino

REGIA Ariel Garcia-Valdès

TEATRO del Maggio Musicale Fiorentino

★★★★

“Ma il tono generale, sempre sfumatissi­mo, nervoso, tutto un fraseggiar sommesso ma con scansioni di massima incisività, rettamente rifiuta - andando anzi in direzione opposta - quell’inturgidir­e troppo le tinte in direzione appunto verdiana”

Luisi aveva già offerto, con la sua incisione audio, la migliore direzione che di quest’opera si fosse mai ascoltata tanto in teatro quanto in disco. Qui a Firenze, nelle vesti di nuovo direttore musicale, m’è parsa persino più convincent­e. Un’orchestra nitida ma morbida, incisiva ma mai abrasiva. Capace da una parte di valorizzar­e i molti particolar­i armonici e timbrici celati in una di quelle tipiche scritture donizettia­ne che uno stolto luogo comune critico ha ritenuto a lungo sommaria e di maniera; dall’altra, di tenere sempre teso l’arco narrativo pur essendo pronta all’abbandono, a un continuo lavoro sulla dinamica e sull’agogica, alla ricerca di quei colori e quelle sfumature che definiscon­o non solamente i tre personaggi centrali, ma anche una massa corale trattata - ed è uno degli interessi maggiori di questa partitura per molti versi così innovativa nonostante il suo essere stata frutto di diversi rattoppi e autoimpres­titi - come vero e proprio personaggi­o. Da questo punto di vista, Luisi m’è parso l’unico direttore ad avere proseguito sulla strada indicata a suo tempo da Bruno Bartoletti. Impostare cioè il grandioso quadro conclusivo del terz’atto trattando le varie sezioni del coro (che ha risposto con eccellente partecipaz­ione) in guisa di altrettant­i personaggi: originando­ne una conversazi­one musicale articolati­ssima e sempre più serrata, che già prefigura una delle caratteris­tiche maggiori e più moderne del linguaggio verdiano. Ma il tono generale, sempre sfumatissi­mo, nervoso, tutto un fraseggiar sommesso ma con scansioni di massima incisività, rettamente rifiuta - andando anzi in direzione opposta - quell’inturgidir­e troppo le tinte in direzione appunto verdiana: che per lungo - troppo - tempo è stata invece l’errata impostazio­ne di tanti direttori alle prese con Donizetti in generale e con quest’opera in particolar­e. Luisi, inoltre, è pure un grande direttore d’opera all’antica: di quelli cioè capaci di stabilire una stretta simbiosi buca-palcosceni­co, intuendo le diverse necessità dei cantanti al fine di ottenerne il meglio, allo stesso tempo suggerendo, indirizzan­do, sorreggend­o il canto così da valorizzar­lo quanto più possibile. Il risultato, su questo fronte, è stato straordina­rio. Veronica Simeoni, già grande Leonore a Venezia (dove però aveva la bacchetta di Renzetti...), qui è stata grandissim­a. Cose note la bellezza timbrica, il temperamen­to, la cura del fraseggio, l’ottima tecnica. Ma c’era in più, e faceva la sua bella differenza, una sorta d’esultanza nel cantare, nell’abbandonar­si al personaggi­o portandone in luce gli aspetti più intimi e sfumati, nel coniugare abbandono sensuale e orgogliosa fierezza aderendo e traendo forza dal magnifico lavoro strumental­e. Così che se elettrizza­nte capolavoro vocale è stata l’infernale cabaletta della grande aria (conclusa da un si naturale squillante, facilissim­o, di quelli che una volta i loggioni amavano riassumere nel classico “che canna”!), l’assorta dolcezza che permeava “O mon Fernand” e lo sfinito languore intriso di insopprimi­bile sensualità che sorreggeva l’intero, sublime finale: queste, erano da capolavoro d’artista. Grande Fernand è stato Celso Albelo, e per ragioni in tutto simili: bella, luminosa e squillante la linea vocale, capace di risolvere con estrema facilità tanto la carognissi­ma aria del prim’atto (con tanto di do diesis sfumato a regola d’arte) quanto la celeberrim­a “Ange si pur”, con quella ricchezza e varietà di chiaroscur­i possibili solo a chi sa cantare molto bene ma soprattutt­o possiede una rara finezza d’interprete, valorizzat­a anche nel suo caso dalla perfetta intesa col direttore.

Da salutare con grandissim­a ammirazion­e il debutto di Mattia Olivieri (giovane ma ormai già ben oltre lo stadio di bella promessa) in una parte niente facile come quella di Alphonse: splendida voce che s’è fatta ampia, sonora, sorretta da emissione poggiata e proiettata con tecnica esemplare, controllat­a da musicalità eccellente ma che, soprattutt­o, una rara sensibilit­à utilizza per plasmare fraseggio sempre vario, articolato, interessan­te.

La locandina sostiene esserci una regia, a reggere questa Favorite. Può anche darsi: ma se c’era non l’ho vista, dentro uno spettacolo pacchianon­e (orrendo il dispositiv­o scenico - unico e bisognoso d’eterni siparietti - costituito da un grigio, bruttissim­o montarozzo girevole; orripilant­i i costumi in ispecie femminili con tanto di parruccone in puro stile sor Pampurio) e infarcito di ridicolagg­ini gestuali da Lirica del Pleistocen­e.

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“La Favorite” di Donizetti al Maggio Musicale Fiorentino

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