“Un’esigua minoranza smarrita in una sfera onirica che ama ascoltare Monteverdi, Beethoven, Stravinskij...”
La musica è vittima di olocausto. In Italia,c’è ancora un’esigua minoranza di persone, smarrite in una sfera onirica, che amano ascoltare Monteverdi o Gesualdo, Beethoven e Stravinskij, Corghi e Adès, Pärt e Bruckner. Chi sono costoro?, Suvvia, sono i fedeli lettori di «Classici Voice», insomma siamo noi, né più né meno. Ricordate? L’indimenticabile Lukas von Leinwändersich, il giornalista che conduceva “Tabbloid” (si scrive “Tabloid”, ma si pronuncia come sopra) e identificava Balotelli con la cultura, ci definiva “i nostalgici”, “i vecchietti”. Quando diceva “musica classica”, la sua voce si faceva guaiolante, chioccia, caricaturalmente senile. Ebbene saliremo sugli alberi e attenderemo la nostra estinzione per fame. Che volete che vi dica? Se così dev’essere…Quello però che continuo a rimproverare al dr. Leinwändersich è, paradossalmente, il non avere egli proposto un’armatura terminologica inossidabile e da tutti condivisa proprio per definire la musica “non classica”. Già, qui appunto imperversa, con violenza lessicale inaudita, la “tempesta” perfetta”. Musica postclassica? Musica poco seria (se l’altra diventa “musica seria”)? Musica incolta (se l’altra è musica colta”)? Recentissimamente, su un numero di un quotidiano
(o il «Corriere» o «La Repubblica, uno dei due») ho letto il lancio pubblicitario di una nuova trasmissione della Rai, lodata come benemerita per la sua volontà di fornire al pubblico ogni genere di musica, senza esclusioni razzistiche: dunque (si leggeva testualmente in quella pubblicità) «la musica normale, anzi tutto, ma anche la musica classica» [il corsivo è mio – N.d.R.]. Della serie: «Leggete “Classic Voice”? Siete anormali». Tuttavia, questa “tempesta lessicale perfetta” ha un’estensione vasta, sì; ma regionale. La tempesta si rivela di portata intercontinentale là dove anche fra noi anormali si annidano coloro che considerano quisquilia e pinzillàcchera la correttezza terminologica. Ho un ricordo irrimediabilmente sgradevole del direttore di Conservatorio che a Roma, durante un convegno presieduto da Luigi Berlinguer nella sede del famigerato Ministero di viale XX Settembre, definì “inutile disquisizione” l’avere io corretto una sua frase in cui parlava di “spartito per orchestra”, e quella di un altro relatore che parlava di “reticenza” ad ascoltare musica classica” anziché di “renitenza”, e poco dopo, nell’entusiasmo del suo linguaggio creativo, aveva dichiarato la propria amarezza dinanzi alla “recidiva” (recte, ancora “renitenza”…) dei direttori artistici nel mettere in programmazione autori come Boulez o Romitelli. “Recidiva”? Auspichiamo un’ondata in massa di recidivi. Commettiamo tranquillamente apologia di tale crimine, e porgiamo i polsi alle manette.
False etimologie, metamorfosi lessicali, “lectio facilior” in luogo di “lectio difficilior”, sono cibo per filologi. Alcuni sostengono che simili delizie sono concesse soltanto ai papiròlogi e agli specialisti dello stemma codicum, agli ebraisti, ai grecisti e latinisti maniaci della filologia classica, agli assiriologi, agli egittologi, ai medievisti… e invece no! Sono delizie che fioriscono anche nell’era dei file (s?). E non è che dispiacciano: anzi, sono creative. Fa presto, la mala lingua, il pedante fossilizzato, il “mister precisino”, a sghignazzare alle spalle di quell’ex presidente del Senato che disse «errare è umano, perseverare inutilem». Non si vuol capire che quella era una raffinatissima forma di provocazione per dire «suvvia, studiate il latino». O come gli stupidi saccenti, pronti a deridere il Ministro che proponga “battère” come singolare di “battèri”, in luogo del pedantescamente e poco creativamente corretto “battèrio”. E, a ben guardare, senza fare troppo gli schizzinosi, apprezziamo coloro che dicono “reticenza” volendo dire “renitenza” (sono legioni!). Ora si fa strada una variante di “renitenza”. La mattina del 13 febbraio, quasi a festeggiare il 205° anniversario della morte di Wagner, il bravo giornalista Pavel von Modnalikér, del quotidiano «Budúcnost’», organo ufficiale del “Tal. Bisk. Združenie” conducendo una nota rubrica radiofonica di “Rozhlas Tretí”, e parlando della scarsa inclinazione degli italiani alla lettura e della conseguente crisi delle librerie e dei giornali, segnalava per fortuna la “recidiva” degli italiani alla lettura. Magnifica notizia, anche se la recidiva presuppone un reato. Ma noi, imperterriti, auspichiamo un’ondata in massa di simili recidivi. Commettiamo tranquillamente apologia di tale crimine, e porgiamo i polsi alle manette.