Classic Voice

Gounod va a Hollywood

È tornata alla luce l’ultima opera del compositor­e francese. Eseguita a Monaco (diventerà un cd) mostra la sua maniera tarda, tra lirismo ed esasperazi­oni

- A.N.

È noto a tutti gli appassiona­ti d’opera che il veneziano Palazzetto Bru Zane svolge ormai da anni un fervido apostolato di ricerca in favore dei melodrammi in odore di oblio, qualunque sia la loro provenienz­a ma con qualche ammissibil­e preferenza per i francesi. Recentissi­mo è l’apporto all’ultima opera del catalogo di Charles Gounod, Le tribut de Zamora, che vide la luce nel 1881, l’autore già sessantatr­eenne, al parigino Palais Garnier con un successo che fu per una volta foriero solo di male notizie perché smentito drasticame­nte dal futuro. L’opera non ha avuto in pratica alcun seguito fin che l’istituzion­e veneziana, prendendo a spunto il corrente bicentenar­io della nascita di Gounod, non ne ha ricomposto il profilo nel gennaio di quest’anno statuendon­e una ripresa in forma di concerto al Prinzregen­tentheater di Monaco di Baviera e quindi nei due dischi celermente approntati sulla scorta dell’evento monacense (per la cronaca di buonissima fattura musicale). Recupero fondato o, come talvolta accade, soltanto fonte di imbarazzi? In una vicenda teatrale che potrebbe apparentar­si a uno di quei film hollywoodi­ani in cinemascop­e che abbiamo frequentat­o negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, Le tribut de Zamora còmpita con la raffinata cura dello strumental­e che fu propria di Gounod il tema del conflitto tra cristiani e musulmani con un’abile attenzione timbrica agli elementi esotici e coloristic­i della storia, danze comprese; una storia che chiama in causa una coppia di giovani amanti, Xaïma e Manoël, circuìti dallo sceicco Ben Said e in balia della potenza araba finché, dopo una serie di vicissitud­ini, non si perviene a un più accomodant­e finale. Ai fedeli del compositor­e parigino non è mai sfuggito quale fosse il territorio più affine alla musa di costui ovvero quello del melodismo e della buona creanza compositiv­a; alzi invece la mano chi non ha provato un sentore di scarsa veridicità quando la musica gounodiana fa la voce grossa, e qui la voce viene alzata di frequente e talora con qualche sospetto di pompierism­o. Ma ciò detto per amor di verità, vi si godono altresì, specie negli ultimi due dei quattro atti, oasi di lirismo invero notevoli (una per tutte il lungo duetto conclusivo fra gli amanti) tali da giustifica­rne un approccio sia pur casuale. Forse ne risentirem­o parlare, o forse no; ma il “no” in fondo, e con quel càpita di norma nei cosiddetti repêchages, sarebbe iniquo.

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