Classic Voice

THE NIKITA ART OF MAGALOFF

- LUCA CHIERICI

Nikita Magaloff PIANOFORTE

21 CD Decca 4829126

PREZZO 62.

★★★★★

Dopo la scomparsa di Nikita Magaloff, avvenuta il giorno successivo al Natale del 1992, molte case discografi­che “marginali” iniziarono a pubblicare un buon numero di inediti registrati in occasione dei numerosiss­imi recital tenuti dal pianista in giro per l’Europa, colmando così un vuoto che aveva origini in tempi lontani. Se si sfogliano i cataloghi discografi­ci degli anni Quaranta e Cinquanta, il suo nome viene appena accennato a fianco di quello, più illustre, del suocero Szigeti. E se si andava a trovare Magaloff, o la moglie Irène nella casa di Vevey, si rimaneva a bocca aperta dinanzi a una collezione di fotografie e di dediche da capogiro, per poi accorgersi che le fotografie (e le dediche) più prestigios­e non erano in relazione a Nikita ma al ben più famoso violinista. Chi amava Magaloff, anche per le sue squisite doti umane, aveva in casa i suoi dischi incisi per la Philips e in alcuni casi si era spinto a cercare le più vecchie incisioni Decca che erano oramai introvabil­i. Oggi è proprio l’etichetta Decca che pubblica un volume di 21 dischi che riunisce tutte quelle registrazi­oni (mancano ovviamente quelle pubblicate dalle case più piccole ricordate sopra) e che dunque permette al discofilo di riflettere su un pianista e su una carriera molto particolar­i. Diciamo subito che Magaloff non è pianista da ascoltare preferibil­mente in disco, perché la verve delle incisioni dal vivo rende molto meglio il carattere improvvisa­torio delle sue esecuzioni, che cambiavano di sera in sera, come lui stesso amava sottolinea­re. Non ci sono due registrazi­oni “live” di Magaloff uguali, e in questo perpetuo e se vogliamo molto artigianal­e approccio alla musica risiedeva parte del fascino di un pianismo così lontano dalle abitudini odierne. Ecco, Magaloff era un pianista completame­nte agli antipodi rispetto ai criteri che regolano l’attuale concertism­o: nessun programma imposto e ripetuto durante l’anno solare, nessuna ricerca spasmodica del consenso attraverso i media, nessuna specializz­azione (a parte l’amatissimo Chopin) che confinasse i propri interessi in un settore di nicchia. Fu grazie a Magaloff, soprattutt­o, che prosperaro­no cicli di concerti come quelli del Festiva di Brescia e Bergamo che ai bei tempi poteva permetters­i il lusso di programmar­e programmi tematici precisi, invece di sottostare ai capricci dei pianisti di oggi, che sottopongo­no - prendere o lasciare - un unico programma nel nome dell’assurda pretesa di volersi presentare al pubblico con un progetto “sicuro”, al riparo da imperfezio­ni. Meglio affrontare il rischio di qualche serata non del tutto riuscita, suonando un repertorio sempre molto vario, che riproporre all’infinito le solite pagine inseguendo un’algida perfezione. Sarebbe stato simpatico, dal punto di vista editoriale, curare un poco di più la veste grafica e stampare per ogni disco la riproduzio­ne della copertina originale (come sono belle quelle degli anni Cinquanta e Sessanta!) come fanno spesso altre case discografi­che. Qui è tutto molto spartano e si ha anche l’impression­e che un lavoro più approfondi­to di ricerca avrebbe potuto portare alla scoperta di altre incisioni che sono sfuggite al controllo. Ma teniamo per buono quello che ci viene offerto. Lo Chopin integrale inciso per la Philips alla fine degli anni ’70 occupa ben 14 cd sui 21 di questo box, è molto noto ed è stato ristampato più volte: soprattutt­o in questo caso tornano alla memoria i cicli chopiniani completi che Magaloff proponeva un po’ dappertutt­o e che erano fonte di sempre nuove sorprese. Il suo è uno Chopin elegante, spesso, ma anche profondo e per nulla salottiero quando il carattere del pezzo lo richiede. Mendelssoh­n è rappresent­ato da una serie di incisioni dal vivo (1988, a Montreux) che fissano un interesse ripescato improvvisa­mente negli anni ’80, forse su richiesta proprio del festival di Orizio: anche qui ascoltiamo una interpreta­zione che sta fra l’alto salotto e il recupero di un’antica scuola “di dita” appresa ai tempi delle lezioni con Philipp. Haydn è presente solo con la Sonata n.48 in do, mentre il pianista indulgeva più frequentem­ente nel proporre quella in fa (n.23). Il suo Beethoven andava controcorr­ente rispetto a qualsiasi altra interpreta­zione di quegli anni, ed è qui rappresent­ato dalla “109” (ma aveva in repertorio anche il Chiaro di luna e l’Appassiona­ta). Di Liszt è giustament­e stato riversato il long playing con i sei Studi da Paganini, ma mancano altre cose di successo come la Valse su temi di Lucia e Parisina e la

Rapsodia spagnola. Anche di Schumann sono riversati gli Studi sinfonici e il Carnaval, ma mancano Kreisleria­na, la

Fantasia e diverse altre cose. Un disco bellissimo della Decca (1954) è quello dedicato alle Goyescas e dei francesi troviamo solamente qualche titolo (Children’s Corner, due Impromptus di Fauré, le Valses nobles e Le tombeau de Couperin di Ravel) a fronte di altrettant­e mancanze (Images, L’isle joyeuse, il Tema e variazioni op.73…). Qualche concerto con orchestra (il quinto di Beethoven, il primo di Chopin, il secondo di Ciaikovski­j, il Konzertstü­ck di Weber, la

Fantasia su temi ungheresi di Liszt) illustra una minima parte del vastissimo repertorio che Magaloff aveva sotto le dita e fa quindi pendere le quotazioni editoriali di questo

box verso un numero di stelle che sarebbe minore di quello indicato, vista tutto sommato l’alta qualità di queste registrazi­oni. Registrazi­oni che solo in casi limitati meritano l’attenzione che si riserva agli interpreti che hanno fatto storia, questo è vero, ma che testimonia­no dell’arte sincera, disinteres­sata, nobile di un pianista d’altri tempi che tutti avremmo voluto avere come amico.

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