CLASSIC VOICE CD
Per troppo tempo lo si è creduto mirabile nei Lieder e meno nella musica strumentale. Al contrario le Sonate sono piccoli capolavori che hanno una fitta interrelazione con la scrittura liederistica. Lo spiega a novant’anni appena compiuti Paul Badura-Skod
Per troppo tempo lo si è creduto mirabile nei Lieder e meno nella musica strumentale. Al contrario le Sonate di Schubert sono piccoli capolavori Lo spiega a novant’anni appena compiuti Paul Badura-Skoda. Che è tornato a inciderle tutte su strumenti d’epoca
Pianista, musicologo e didatta, il viennese Paul Badura-Skoda ha portato nel secondo Novecento e in questi primi due decenni del nuovo millennio la fiaccola di una cultura musicale mitteleuropea che rappresenta un bene inestimabile. Tuttavia, egli non è affatto un inflessibile tradizionalista: la sua vivacità di spirito e l’apertura mentale lo rendono sempre aperto a nuove scoperte. A novant’anni, compiuti lo scorso ottobre, ancora gira il mondo per concerti e masterclass, donando al mondo la sua sensibilità e la sua saggezza. Se pensiamo che è stato allievo di Edwin Fischer alla fine degli anni Quaranta, e che nella stessa epoca ha debuttato come solista con Herbert von Karajan e Wilhelm Furtwängler, ci rendiamo conto di quanta sapienza egli porti con sé. Poiché in questo numero pubblichiamo tre Sonate di Schubert eseguite da Badura-Skoda su pianoforti d’epoca, abbiamo affrontato con lui il tema del sonatismo schubertiano, ancora oggi piuttosto trascurato in Italia nella sua globalità.
Quando è nata la sua passione per Schubert, e in che modo?
“È nata quando ero adolescente, facendo musica da camera: mi sono accostato a Schubert tramite le sue composizioni per violino e pianoforte e il Quintetto ‘La trota’. L’impressione più profonda però mi è venuta da Winterreise, che ho ascoltato per la prima volta nell’esecuzione di una cantante non famosa, ma molto espressiva. La vicenda dell’amante desolato in un paesaggio invernale mi ha scosso fortemente. Nello stesso anno ho studiato per la prima volta nella mia vita gli Impromptus di Schubert con Otto Schulhof, pianista che aveva un bellissimo tocco cantabile. Ancora oggi gli Improvvisi sono una mia pièce de résistance”.
Fino alla seconda metà del Novecento, le Sonate per pianoforte di Schubert sono state poco eseguite. Fra i pionieri, fondamentali sono stati Arthur Schnabel ed Eduard Erdmann. Ma per esempio Edwin Fischer, che è stato suo insegnante, non incise le Sonate, limitandosi a Impromptus e Moments musicaux. Perché le Sonate sono state riscoperte e valorizzate così tardi?
“Dipende da un enorme e folle pregiudizio, ovvero la convinzione che Schubert fosse un mirabile compositore di Lieder meno a proprio agio con la musica strumentale, che si trattasse di sinfonie, quartetti o sonate. Nel centenario dalla nascita di Schubert, George Bernard Shaw scrisse con grande cattiveria che la Sinfonia n. 9 ‘La Grande’ di Schubert sarebbe ‘the most exasperatingly brainless composition ever put on paper’ (‘la composizione più esasperatamente stupida mai messa su carta’). Ricordo inoltre che nei primi libri che venivano pubblicati sulle Sonate di Schubert, raramente si riconosceva l’enorme genio di Schubert e la sua originalità: si diceva ‘qui assomiglia a Weber’, ‘qua a Beethoven’ o ‘là a Haydn’. Un altro pregiudizio consisteva nella convinzione che Schubert fosse meno conciso e più dispersivo di Beethoven: si prendeva il modello beethoveniano come paradigma, senza considerare che Schubert cercava una propria strada, che si è dimostrata persino più avanzata rispetto a quella di Beethoven. Questo pregiudizio oggi è stato sradicato, ma al tempo era dominante”.
In effetti, quando Schumann parla di
himmlische Längea proposito della Sinfonia n. 9 di Schubert, si riferisce a una “divina lunghezza” (al singolare), e non certo a “divine lungaggini”, come talvolta è stato tradotto dando luogo a equivoci. Alcuni pianisti ed
editori, come Harold Bauer, addirittura tagliavano le Sonate di Schubert per eliminarne le parti a loro avviso superflue, che non corrispondevano all’idea più compatta di sonata beethoveniana. Schubert era visto insomma come un Beethoven minore, privo della capacità di sintesi beethoveniana.
“Erano menzogne. Basti pensare che molte sonate di Schubert sono più corte di quelle di Mozart. Ne è un esempio la bellissima Sonata in La maggiore D 664, un modello di economia formale. Inoltre, come lei evidenzia, la definizione schumanniana di “divina lunghezza” è ammirativa. Molti grandi compositori hanno adorato Schubert anche quando la massa lo ignorava: penso a Brahms, che ha fatto l’edizione postuma dei Klavierstücke D 946; oppure a Dvorák, che ha scritto un saggio meraviglioso sulle Sinfonie; oppure a Stravinskij: a un intervistatore che gli chiedeva se la musica di Schubert lo facesse dormire, il compositore russo rispose ‘che importa se, quando mi sveglio, mi sembra di essere in Paradiso?’”.
Quanto è importante conoscere Vienna e lo stile viennese per comprendere e interpretare la musica di Schubert?
“Può essere utile, ma c’è in questa musica un valore universale che trascende il folklore locale. Tuttavia, rispetto a Beethoven, conoscere il ‘dialetto viennese’ (nel senso di ‘idioma’ musicale, non solo la lingua parlata) nel caso di Schubert è più importante. Un po’ come avviene per i valzer di Johann Strauss, ma anche di Richard Strauss (nel Rosenkavalier). Questo ‘dialetto’ si ritrova anche nei valzer di Schubert, e in molti movimenti delle sue sonate. Quando Richard Strauss, ventenne, era un ammiratore di Hans von Bülow, fu da costui presentato a Johannes Brahms, che disse a Strauss, dopo che questi gli mostrò la sua Sinfonia in fa minore: ‘Perché questi periodi irregolari? Provi a guardare i valzer di Schubert: in sedici battute tutto è detto, con una precisione e una chiarezza incredibili’. Richard Strauss, pur prendendo successivamente le distanze da Brahms, terrà sempre in considerazione questo consiglio”.
Come in Brahms, non sempre è facile nelle Sonate di Schubert interpretare le indicazioni di tempo: ad esempio, indicazioni come “Molto moderato” danno luogo a scelte radicalmente diverse. Molti pianisti russi, come Richter, Sofronickij, la Judina o Berman, tendono ad accentuare la lentezza di alcune Sonate, come la D 960. Perché ciò avviene, secondo lei?
“Un motivo è che l’anima russa vuole il grande spazio; un altro è la mancanza di tradizione schubertiana, che porta a malintesi espressivi (ciò è valido a mio avviso anche per Chopin). Una delle mie Sonate predilette, la Sonata in la minore D 845, porta come indicazione Moderato, ma è ‘alla breve’, cioè in tempo tagliato. Schubert reagiva a una certa propensione, anche beethoveniana, ai tempi molto rapidi, e con ‘Moderato’ intendeva certamente ‘non troppo presto’, ma anche
‘non troppo lento’. I russi hanno piegato l’intenzione schubertiana a un’esasperazione. Cionondimeno, in Richter ci sono momenti di somma ispirazione che non possono essere ignorati: penso a un suo recital a Budapest, in cui esegue il finale della Sonata D 958 con uno spirito demoniaco davvero impressionante: è un miracolo. Riguardo ai tempi lenti, io fin da giovane sono stato abituato a cantare Lieder, anche nelle esercitazioni corali al Conservatorio: in tal modo ho compreso attraverso la pratica, prima che attraverso la teoria, che un tempo eccessivamente statico rende impossibile cantare e respirare. Il grande Dietrich Fischer-Dieskau, quando ha suonato con Jörg Demus, ha chiesto al pianista di non suonare troppo lento, poiché persino per lui il fiato era insufficiente in certi Lieder. Tuttavia con questo discorso non voglio sminuire i pianisti russi: spesso, anche se sono lenti, sono immensi”.
Quanto è importante conoscere i Lieder di Schubert per comprendere anche la sua musica pianistica?
“È interessante notare come in molti Lieder di Schubert, ad esempio il primo di Winterreise, l’incipit pianistico sembra dire già tutto ciò che si troverà nel testo (un po’ come succede nel teatro di Wagner). Questo è già un segno dell’interrelazione fra dimensione stru-
mentale e vocale in Schubert. Per me, lavorare con alcuni cantanti è stato cruciale: nei Lieder di Schubert troviamo intuizioni che verranno riprese da Hugo Wolf, Richard Strauss o addirittura Schönberg (penso a Die Stadt nel ciclo postumo Der Schwanengesang). E poi esistono molte corrispondenze fra mondo del Lied e delle Sonate: penso alla Sonata giovanile in cinque movimenti D 459, in Mi maggiore, dove nel primo movimento vi è un motivo che ritroviamo nel Lied D 584 intitolato Elysium, su testo di Friedrich Schiller. Il riferimento paradisiaco evidente fin dal titolo ci dà una chiave di lettura anche per l’esecuzione della Sonata, che non dovrebbe essere troppo mesta”.
Nello sviluppo del primo movimento dell’ultima Sonata, Schubert cita esplicitamente il proprio Lied Der Wanderer D 489, quasi facendoci pensare che anche la Sonata potrebbe evocare il girovagare di un viandante immaginario…
“Sì, già con Edwin Fischer ne parlavamo. Der Wanderer è un Lied cruciale, e già perfetto, benché sia opera di uno Schubert ancora giovanissimo, non ancora ventenne. Schubert veniva da una famiglia emigrata a Vienna dalla Slesia. Gli slesiani hanno una predisposizione particolare alla dimensione mistica. Nonostante il suo carattere molto amichevole tipicamente viennese, Schubert è sempre stato accompagnato dall’idea di essere fremd, straniero: nella poetica del viandante c’è tutta la sua spiritualità tormentata. La citazione nella Sonata D 960 probabilmente
è addirittura incosciente: lo spirito del Wanderer permea la sua musica”.
Il secondo movimento della Sonata D 537 in La minore si apre con un tema che Schubert riutilizzerà nella penultima Sonata D 959. Questa auto-citazione sembra quasi una riflessione sulla giovinezza perduta e ci parla della capacità schubertiana di evocare una dimensione retrospettiva attraverso la musica.
“Sì, è vero. Anche nel Trio dello Scherzo della Sonata in Re maggiore D 850 Schubert evoca un motivo di una delle Sonate giovanili. C’è da dire anche che Schubert non aveva pensato a una pubblicazione delle prime Sonate, a causa della sua forte vena autocritica, che lo rendeva molto severo con se stesso: quindi è possibile che nelle ultime Sonate, che intendeva invece pubblicare, riutilizzi alcuni dei più bei temi delle Sonate non pubblicate”.
Lei ha inciso le Sonate di Schubert sia su strumenti moderni sia su pianoforti storici Graf, dell’epoca del compositore (anni venti dell’Ottocento). Gli obiettivi estetici cambiano?
“La conoscenza degli strumenti autentici mi è servita per capire meglio lo spirito di Schubert e anche per la scelta dei tempi: su un fortepiano, il suono decade due volte più rapidamente rispetto a un moderno Bösendorfer. Tuttavia, credo che la vena profetica di Schubert vada oltre la sua epoca: penso alla Sonata incompiuta in fa minore, in cui ha scritto note sovracute che ancora non esistevano sugli strumenti della sua epoca. Schubert, come Mozart, non aveva bisogno di un pianoforte per scrivere: la sua musica talvolta va oltre lo strumento stesso”.
Meglio eseguire le Sonate di Schubert in grandi auditorium o in sale più raccolte?
“Quasi tutta la musica classica è stata creata per un ambiente più intimo dell’attuale. Tuttavia, come diceva Fischer, l’intimismo non sempre sparisce in una grande sala. Quattro mesi fa ho suonato le ultime Sonate di Beethoven nella Grande Sala del Musikverein, e c’era un silenzio e un raccoglimento del pubblico tale da non darmi mai l’impressione che la sala fosse troppo vasta”.
Josef Kenner disse che in Schubert convivevano due nature, una che lo innalzava verso il cielo e un’altra che lo spingeva nel fango - alludendo al suo amore per i piaceri sensuali. Spiritualità e sensualità sono i due lati di una stessa medaglia?
“Probabilmente alcuni amici di Schubert hanno esagerato nel sottolineare questa scissione. Schubert è certamente molto sensuale, ma anche nei suoi aspetti più popolareschi (evidenti in Lieder come Seligkeit) non è mai banale o volgare. Bisogna ricordarsi quanto importante fosse per Schubert la dedizione alla propria arte: componeva ogni mattina, per sei o sette ore, e dunque possiamo ritenerlo forse il compositore più dedito al proprio lavoro che sia esistito”.
Se non fosse morto così giovane, Schubert sarebbe diventato anche un operista famoso?
“Sicuramente, con buoni libretti e condizioni decenti per lavorare. Ricordiamoci che ha scritto le musiche di scena per Rosamunde in meno di due mesi, superando la rapidità di Donizetti o del giovane Rossini”.
Quali edizioni delle Sonate consiglia a un giovane pianista?
“Senza vergogna posso dire che la mia edizione Henle delle Sonate giovanili e incompiute è un riferimento. In generale, un pianista non dovrebbe limitarsi a una sola edizione: sarebbe opportuno confrontare innanzitutto la Wiener Urtext, che nel complesso è eccellente, e la Henle, ma anche la Abrsm e la Bärenreiter. La Wiener Urtext è migliore della Henle nel riconoscere le terzine annotate da Schubert convenzionalmente come crome col punto. La cosa più importante, naturalmente, sarebbe consultare il manoscritto”.
Lei è un rinomato didatta e tiene ancora oggi molte masterclass. Come si rapportano i giovani pianisti alla musica di Schubert?
“Ancora oggi, nelle masterclass, i giovani portano molto più spesso Beethoven o Chopin che Schubert. Credo che una Sonata di Beethoven, anche in una pessima interpretazione, comunichi qualcosa dello spirito di Beethoven; in Schubert, quando non si capisce il pensiero che sta dietro le note, si rischia invece di rovinare tutto”.