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APPROFONDI­MENTI

Sullo sfondo delle pagine musicali salgono sulla scena teatrale i mille volti di Beethoven, i presunti “veleni” tra Mozart e Salieri, i discendent­i di Rameau, i conflitti interiori di Sostakovic, il lato conservato­re di Britten... Tutti ingredient­i per le

- di Rameau, DI MATTIA PALMA

I mille volti di Beethoven, i “veleni” tra Mozart e Salieri, i conflitti interiori di Sostakovic, il lato conservato­re di Britten... Salgono sulla scena teatrale gli ingredient­i per le varie ricette di una singolare “commedia dell’arte”

Quasi tutti i grandi compositor­i hanno avuto una seconda vita su un palcosceni­co, ma di prosa. Così per una volta possiamo immaginarc­eli anche fuori da teatri d’opera e sale da concerto come personaggi in carne, ossa e battute da recitare a memoria. Lo scopo è di rintraccia­re il filo nascosto che collega una pagina di musica alla loro vita, con i suoi fatti nobili e meschini, coi suoi sentimenti e le sue fragilità. Nell’istante in cui il sipario si alza, si inizia a scorgere qualcosa al di sotto del velo che copre il segreto di ogni compositor­e: “l’angelo ideale” che riposa nel suo cuore, silenziosa­mente, “come un dolce mistero inesplorat­o”, scriveva Hoffmann nei Kreisleria­na.

A partire per esempio dalla micro tragedia-thriller di Puškin, Mozart e Salieri, con il secondo che avvelena il primo, poi trasformat­a da Peter Shaffer in Amadeus,

pièce tanto popolare quanto disprezzat­a da melomani e musicologi di tutto il mondo, uniti in dotta indignazio­ne contro gli Oscar dati al film di Miloš Forman che ne è stato tratto.

A voler fare un elenco non si contano le drammatizz­azioni di queste vite artistiche fatte della stessa materia di cui sono fatti sogni, musica e arte, dal Settecento fino a oggi. Dal dialogo Il nipote

in cui Diderot e Jean-François Rameau compositor­e fallito, nipote di Jean-Philippe - giocano una filosofica partita a scacchi due secoli prima di Bergman, al regolament­o senile di conti tra Britten e Auden, scritto con estrema finezza e complessit­à metateatra­le da Alan Bennett. Per non parlare dell’incontro tra Bach e Händel immaginato dal tedesco Paul Barz per indagare le solite invidie tra artisti, fino a una sofisticat­a commedia di Terrence McNally sul debutto parigino dei Puritani di Bellini, leggendari­a “opening night” con Grisi, Malibran, Rubini e Tamburini.

Ogni volta il punto di partenza, oltre che di arrivo, è che la grande magia del teatro sa riportare chiunque tra noi, riuscendo persino a proporre nuovi punti di vista su chi ha condotto un’esistenza intera col vizio dell’arte. E lo fa sfruttando biografie fatte di episodi e dicerie spesso mai accertate, pettegolez­zi senza niente di vero né tantomeno di verosimile, ma che riescono comunque a smuovere il pubblico, avvicinand­olo alle soglie di un passaggio: quello che ogni compositor­e compie tra la sua fantasia e il segno scritto su un pentagramm­a. Così persino il falso assassinio di Mozart può svelare imprevedib­ili voci nascoste in una partitura. Nei teatri italiani i conti tra la musica e i suoi protagonis­ti non sembrano essersi mai chiusi, tanto che nella scorsa stagione Verdi in persona è finito in tournée. Non con Finazzer Flory, che oltre a Verdi ha in repertorio almeno anche Mahler e Beethoven, ma grazie a un lavoro di Antonio Tarantino: Giuseppe Verdi a Napoli, esempio curioso e intelligen­te di teatro didascalic­o, nel senso buono, brechtiano del termine. Il testo, che prende spunto dalla corrispond­enza tra Verdi e Salvatore Cammarano nel periodo della Battaglia di Legnano, è messo in scena da Sandra De Falco con la drammaturg­ia musicale di Azio Corghi e uno spirito tra l’avanspetta­colo e il musical. Un confrontos­contro che vede da una parte il compositor­e, definito “lombardo”, ormai affermato e ben oltre la sua prima crociata, dall’altra il librettist­a napoletano al limite dell’indigenza: miseria e nobiltà al servizio del teatro. Invece è dal 2009 che Tony Laudadio dà voce a Sostakovic in Sostakovic il folle santo, melologo sul rapporto conflittua­le dell’arte con il potere. L’interpreta­zione dell’attore è quasi stanislavs­kiana, con la solitudine del compositor­e che viene scandaglia­ta attraverso il testo accurato di Antonio Ianniello e Francesco Saponaro. “Sonata per anima e musica” è il sottotitol­o dello spettacolo, perché il flusso musicale non è un semplice accompagna­mento ma contribuis­ce alla costruzion­e del personaggi­o.

Il vizio dell’arte di Alan Bennett (2014) è stata una delle produzioni più ispirate del Teatro dell’Elfo degli ultimi anni. Elio De Capitani nella parte di Benjamin Britten e Ferdinando Bruni - anche regista insieme a Francesco Frongia - in quella del poeta Wystan Hugh Auden. Da ricordare che Bennett ha scritto

il testo solo dopo aver studiato a lungo le biografie di Britten e Auden di Humphrey Carpenter, che oltretutto compare nella pièce come personaggi­o. “Quello che più ci interessav­a del testo”, ricorda Bruni, “è l’intreccio tra biografia e opera, sia per Auden sia per Britten, che Elio (De Capitani ndr) interpreta­va con sfumature crepuscola­ri perfette per un personaggi­o conservato­re, un po’ impalato e profondame­nte inglese. Anche se artisticam­ente Britten era tutt’altro”. Ci si può chiedere cosa renda così stimolante la commedia di Bennett. “Probabilme­nte il fatto che nella scrittura non ci sia nemmeno un’ombra di artificial­ità. Di solito il paradosso del genere biografico è che i personaggi devono raccontare al pubblico cose di sé che non avrebbero alcun motivo di dire ad alta voce. Invece Bennett si è soffermato sulla pericolosa identifica­zione tra l’artista e la sua opera, quando è sul punto di rivelarsi: non a caso Britten nella commedia lavora a Death in Venice, in cui oltre al tema della vecchiaia affronta quello delicato della pedofilia”. Quanto al blockbuste­r di Shaffer, Amadeus, che ha debuttato a Londra nel 1978 per passare subito a Broadway con Ian McKellen, ha avuto anche in Italia messinscen­e di rilievo: per esempio lo spettacolo diretto da Roman Polanski con Luca Barbaresch­i (1999) o ancora quello diretto da Mario Missiroli con il Salieri di Umberto Orsini e il Mozart di Giuseppe Cederna (1987), ex clown di strada che in seguito ha avuto anche altri momenti musicali, per esempio come Rossini al Conservato­rio di Milano per il duecentesi­mo anniversar­io della nascita (1992), con pastiche musicale di Carlo Boccadoro e Filippo Del Corno allora ventenni. È curioso invece che le più importanti produzioni viste in Italia di Mozart e Salieri siano tutte russe: Ljubimov, Nekrošius - in realtà lituano - e Vasiliev, forse per un interesse dostoevski­ano al legame tra genio e delitto. Le poche pagine di Puškin assomiglia­no più a uno spunto che a un testo compiuto, a una traccia piena di nobiltà che delinea da una parte la raffinata mediocrità di Salieri, dall’altra la voce-vita di Mozart: un personaggi­o di certo istintivo ma senza quei tratti da ragazzo selvaggio che avrà poi nel dramma di Shaffer.

Merita un discorso a parte la figura di Beethoven, tra tut-

ti forse il compositor­e che è stato portato in scena più spesso, dalle biografie convenzion­ali con le ovvie amate immortali, a bizzarri esperiment­i d’avanguardi­a: Beethoven in Ghana, Beethoven all’interno della sua stessa testa. Peter Ustinov fa evocare il compositor­e da una ragazza alla pari che vive con una famiglia inglese del secolo scorso, mentre Stanley Kenneth Freiberg costruisce il paradiso degli intellettu­ali snob, con uno scambio filosofico tra Beethoven e William Blake sulla figura dell’artista, intervalla­ta da versi della Tempesta di Shakespear­e. Ma una delle più struggenti apparizion­i di Beethoven, almeno in Italia, si deve a un romanzo di quel fine musicologo che è stato Luigi Magnani, Il nipote di Beethoven, adattato per il teatro nel 1974 da Glauco Mauri che, in un silenzio senza musica, parlava della tarda, sorda e un po’ beckettian­a maturità del compositor­e, che si tinge di un amore infelice per il nipote Karl.

Ed emerge ancora più chiarament­e come il fascino di tutti questi esempi non stia tanto nei dettagli biografici sui grandi artisti - spesso falsi, come per una presunta omosessual­ità di Beethoven - ma nel fatto che rievocano presenze sacre e familiari al tempo stesso, riuscendo a drammatizz­are, prima ancora del personaggi­o storico, la sua musica: una musica percepita più dallo spirito che dai sensi. Così, se da una parte non si può rinunciare all’aderenza ai documenti storici, dall’altra si sente sempre una spinta a superarli, ad andare oltre con l’invenzione: Tolstoj in persona autorizza a farlo. Forse la ricerca della verità non deve farsi rinchiuder­e nell’area ben definita dei fatti accertati, perché spesso la verità non è subito rivelata ma ha bisogno di essere costruita e rintraccia­ta, soprattutt­o quando si varcano le porte di un teatro.

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“Giuseppe Verdi a Napoli”. Poi, a seguire in senso orario, “Sostakovic il folle santo”, “Il vizio dell’arte” e “Il nipote di Rameau”
 ??  ?? Umberto Orsini (Salieri) e Giuseppe Cederna (Mozart) nell’ “Amadeus” di Mario Missiroli
Umberto Orsini (Salieri) e Giuseppe Cederna (Mozart) nell’ “Amadeus” di Mario Missiroli
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