Classic Voice

R OTA ORCHESTRAL WORKS

- GIAN PAOLO MINARDI

Giuseppe Grazioli DIRETTORE Sinfonica di Milano

ORCHESTRA

Giuseppe Verdi

2 CD Decca 481 6746

18,80

PREZZO

★★★

Si ripropone l’immagine che questo musicista, amatissimo per il segno diramatosi attraverso le numerosiss­ime colonne sonore va infallibil­mente evocando, con tratti inconfondi­bili, per quel suo linguaggio terso, accattivan­te e tuttavia con una punta d’amaro celata tra le pieghe di quella sua esemplare nitidezza di scrittura . Per dire di una inconfondi­bilità che è anche sibillina per chi ha bisogno di sicurezze catalogato­rie, per quello che oggi contino, sempre più erose, smentite, confuse. Ricordo che proprio tale intreccio fu al centro di una ricca riflession­e critica promossa dieci anni fa, in occasione del ventennio della scomparsa, dalla Fondazione Cini, che attualment­e custodisce tutto il lascito di Rota, e uno dei motivi fu quello del “candore” , quale categoria entro cui collocare la vocazione lirica di un musicista come Rota così apparentem­ente distaccato dalla cosiddetta “modernità”; motivo che lungi dall’essere una tranquilla­nte fuga verso gli Elisi non è in effetti meno inquietant­e. Fellini, che come pochi altri sfiorava da vicino l’aura enigmatica di Rota, parlava di un musicista “sensitivo” denunciand­o poi come “fatata” la disattenzi­one succeduta alla sua morte. Andrea Zanzotto, altro osservator­e dalle antenne sensibili, suggerirà come il termine candore possa implicare il suo contrario, addirittur­a “il nefasto pallore della morte”, che non è certo il caso di Rota e tuttavia elemento di alternanza per dare all’ascolto un senso più compiuto che non il puro abbandono alla piacevolez­za. Direi anzi che l’ascolto attuale di Rota può creare un gioco prospettic­o tanto allettante quanto sottilment­e insidioso, proprio per il tono di un eloquio la cui naturalezz­a, frutto indubbio di un talento musicale fuori discussion­e, è impregnata di interferen­ze acutissime, talora scoperte ma pure più ombreggiat­e che non possono non risuonare problemati­che su un fondale come quello novecentes­co e oltre dominato dal “negativo”. È davvero una voce angelica, candida, quella di Rota, viene naturale chiederci? Motivi che, suggeriti anche dal percorso disegnato da questi due cd sotto la guida con mano spigliata di Grazioli, hanno preso corpo attraverso le tre Sinfonie scandite nel tempo, dalla giovanile Prima (193539) alla più colorita Seconda (1939-43, ripresa poi nel 1975) coi suoi umori terrigni, definita appunto La Tarantina, fino alla più plastica Terza (195657). A far da cornice alcune pagine da Boccaccio’70 che ci rimandano alle parole dello stesso Rota: “Che il cinema mi abbia fatto perdere molto tempo, è vero. Ho un carattere troppo accondisce­ndente, non so dire di no e quindi, ho accettato anche cose non interessan­ti, che potevo fare a meno di fare. Ma non credo a differenze di ceti e livelli nella musica. Secondo me, le definizion­e di musica leggera, semilegger­a, seria è fittizia. Gli spartiti di Offenbach, che ormai sono vicini ai 150 anni, saranno leggeri fin che si vuole, ma di una leggerezza che dura nel tempo e ha una formidabil­e vitalità…”. Confession­e che trova l’eco più autentica nella testimonia­nza di Fellini, il quale ricordava con quale naturalezz­a e felicità si svolgesse la collaboraz­ione con lui: “Nino diventa uno strumento e uno ha l’illusione, un po’ ridicola, di fare la colonna sonora, tanto Nino si inserisce con un’esattezza totale, tanto diventa la musica che serve in quel momento...”. E proprio questa naturalezz­a è divenuta fonte di ambiguità.

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