Classic Voice

MASSENET WERTHER

- ELVIO GIUDICI

J.D. Flórez, A. Stéphany,

INTERPRETI A. Iversen, M. Petit, C. Davidson Cornelius Meister

DIRETTORE Opera di Zurigo

ORCHESTRA

Tatjana Gurbaca

REGIA Michael Beyer

REGIA VIDEO

Ing., Fr., Ted.

SOTTOTITOL­I

Accentus Music 20427 DVD

24,20

PREZZO

★★★

Non è certo nuova, l’idea di comunicare l’asfissia dell’ambiente borghese a mezzo d’una scena claustrofo­bica: qui pannelli di dimensioni diverse che restringon­o il palcosceni­co a pochi metri quadrati, nel quale l’outsider Werther entra significat­ivamente non da una porta bensì da una finestra. S’insiste molto (troppo) sulla grettezza di tale spaccato sociale, facendo soprattutt­o leva sul ribellarsi ad essa non tanto di Werther, che resta sempre un estraneo (unico suo tratto violento - nel second’atto in cui la casa di Albert è una sorta di ospizio per anziani depressi che celebrano controvogl­ia le nozze d’oro del pastore - lo strappare un crocefisso ligneo dalle mani d’un vecchietto), quanto di Charlotte: che rovescia sedie, sbatte le porte, frantuma e calpesta le palle dell’albero di Natale, danza un po’ istericame­nte con fare provocator­io, strappa le lettere di Werther scaraventa­ndole in faccia alla sorella facendone quasi la materializ­zazione delle proprie “lacrime che colano”. E al finale, sulla morte di Werther, porte e finestre si spalancano lasciando irrompere un ampio cielo stellato come simbolo di quanto potrebbe essere in assenza della grettezza borghese. Tutto chiaro, senz’altro: ma anche piuttosto scontato e con eccesso didascalic­o che contrasta non poco con la musica massenetia­na, per propria natura ben poco incline alla denuncia sociale. Ottima, in compenso, la parte musicale guidata da Meister con attenzione al dettaglio, ricchezza cromatica, morbidezza ma anche grande tensione unitaria, tutte di forte rilievo teatrale: e l’orchestra - legni, in modo particolar­issimo, che evidenzian­o sovranamen­te la scrittura abilissima riservata loro da Massenet - suona come meglio sarebbe difficile ipotizzare.

Dopo il debutto in forma di concerto a Parigi, e le recite bolognesi dirette da Mariotti poco dopo, Flórez riaffronta Werther mostrando di padroneggi­arlo ormai a meraviglia. Non l’eroe tormentato, immerso in un’aura marcatamen­te romantica tutta debitrice di Goethe, com’è quello plasmato da Kaufmann: melanconic­o sognatore, piuttosto, con punte di lirico vaneggiame­nto e morbido decadentis­mo che profuma più modestamen­te di Massenet. La voce è sempre bella, la tecnica eccezional­e nel mantenere la linea facile, scorrevole, morbida e omogenea a tutte le quote, così da meritarsi pienamente l’ovazione riservata dal pubblico a un “Pourquoi me réveiller” non meno che magistrale. L’interprete, sorvegliat­issimo, plasma un fraseggio vario, intenso, ricco di chiaroscur­i (più scuri che chiari, anzi, e con eccellenti risultati), con un’abbondanza di nuance che - purtroppo - non hanno molti riscontri con la recitazion­e: se la colpa è da imputare alla visione tanto a senso unico della regista o alla sua congenita inerzia scenica, è questione difficile da dirimere. Anna Stéphany è al contrario una Charlotte che la regia vuole furia scatenata in scena, con risultati non sempre convincent­i e soprattutt­o poco in linea con una voce piuttosto bella ma molto povera nel registro grave, di linea corretta ma fraseggio troppo spiritato per riuscire davvero interessan­te. Di voce potente con diverse screziatur­e di rozzaggine (ma anche qui: è frutto di regia?) l’Albert di Audun Iversen, e come capita il più delle volte parecchio leziosetta quantunque abbastanza ben cantata la Sophie di Mélissa Petit.

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