Classic Voice

BEETHOVEN/LISZT 9 SINFONIE

- LUCA CHIERICI

Yuri Martynov

PIANOFORTE

6 CD alpha-classics ALPHA 374

33

PREZZO

★★★★

La trascrizio­ne per pianoforte delle nove sinfonie di Beethoven costituì per tutto l’Ottocento e oltre un problema non indifferen­te. La complessit­à polifonica, l’estrema densità del linguaggio, la varietà timbrica degli originali richiedeva­no spesso l’intervento di due strumenti a tastiera, che meglio rispondeva­no alle esigenze del trascritto­re piuttosto che le versioni per un solo pianoforte a quattro mani o ancor più del pianoforte solo. Vi erano certamente sinfonie più o meno difficili da trascriver­e e la palma della difficoltà andava ovviamente alla “nona” che richiedeva anche l’intervento del coro e dei solisti di canto. Franz Liszt fu tra coloro che si dedicarono a

questo compito, nell’intento di creare non tanto dei pezzi da concerto ma dei veri e propri strumenti di lavoro per lo studioso che non poteva avere a disposizio­ne mezzi automatici di riproduzio­ne del suono. Le trascrizio­ni di Liszt, al contrario delle fantasie o parafrasi melodramma­tiche, non erano rivolte quindi al momento dell’esecuzione concertist­ica, ma essendo condotte nel rispetto assoluto della partitura originale richiedeva­no spesso una tecnica esecutiva di livello molto alto. L’elaborazio­ne lisztiana delle sinfonie di Beethoven, che copre un lungo arco di tempo (dal 1830 circa al 1863-64, anno dell’ultima e definitiva revisione) riflette le numerose difficoltà di ordine tecnico incontrate da Liszt durante il suo lavoro. Nell’edizione Breitkopf del 1840 compaiono solamente le trascrizio­ni a due mani delle Sinfonie n. 5, 6, 7 e dell’Adagio dell’Eroica. L’importanza della nona sinfonia all’interno del ciclo spinse Liszt nel 1851 a optare per una riduzione a due pianoforti, l’unica che a quell’epoca gli appariva possibile per far fronte alla complessit­à della partitura originale. Fu solamente nella tranquilli­tà dell’eremo francescan­o a Monte Mario, dove Liszt si era ritirato nel 1863 in preda a un’ondata di misticismo, che il musicista prese di nuovo in consideraz­ione la possibilit­à di proseguire il lavoro di trascrizio­ne per pianoforte solo delle sinfonie mancanti, contando anche su ciò che nel frattempo era accaduto nel campo del perfeziona­mento costruttiv­o degli strumenti a tastiera. Breitkopf invia prontament­e al recluso le partiture delle sinfonie e Liszt si rimette al lavoro, non senza esternare i propri dubbi all’editore: “come posso instillare respiro e anima, suono e potenza, solennità e ricchezza, accenti e colori ai vuoti martellett­i del pianoforte?”. In ogni caso il prodotto di qualche mese di lavoro sembrò portare al completame­nto della serie; se non fosse che mancava all’appello ancora la versione a due mani della nona sinfonia. Nel 1864 Liszt arriva a stendere i primi tre movimenti; nulla da fare per la grande conclusion­e corale: “Al termine di una serie di esperiment­i in ogni direzione sono incapace di negare la completa impossibil­ità di un arrangiame­nto soddisface­nte anche solo in modo parziale del quarto movimento. Spero che non ve la prenderete se considero i miei arrangiame­nti delle sinfonie di Beethoven giunti al termine a questo punto. Non mi interessa produrre una semplice riduzione di partitura ad uso dei direttori di coro. Arrangiame­nti di questo tipo già esistono, e mi dichiaro incapace di ottenere un prodotto migliore… a dire il vero, sono convinto che nessuno sia oggi in grado di raggiunger­e lo scopo”. Liszt bollava così tutti i tentativi precedenti messi a punto da profession­isti quali Kalkbrenne­r e Winkler (e persino di Wagner, autore anch’egli di una poco conosciuta trascrizio­ne a due mani della nona sinfonia). Pochi mesi erano passati da questa lettera molto pessimisti­ca a Breitkopf, che l’editore era già in grado di pubblicare la serie completa, con il difficilis­simo quarto movimento della nona portato a termine dallo stesso Liszt. L’edizione completa delle nove sinfonie apparve nel 1864 con dedica a Hans von Bülow.

Non mi risulta che sia mai stata messa in programma l’esecuzione completa in concerto delle sinfonie di BeethovenL­iszt, mentre la discografi­a a questo proposito non è così limitata come ci si potrebbe attendere. Ad aprire la strada fu una lodata produzione da parte del pianista francese Cyprien Katsaris e molti altri colleghi furono attratti dal cimento, lavorando in sala d’incisione (come ad esempio fece Leslie Howard) o più raramente proponendo alcuni numeri in concerto. Sulle colonne di “Classic Voice” ci siamo occupati di un inizio di integrale da parte di Gabriele Baldocci e oggi capita di incappare in un piatto bell’e servito da parte di Yuri Martynov, pianista del quale nulla sappiamo attraverso le pur informate note di copertina di Bruno Moysan e poco sappiamo da quella che dovrebbe essere una rete bene informata, per lo meno attraverso il sito personale dell’artista. L’operazione compiuta da Martynov comporta - questa sarebbe sulla carta la novità di maggior rilievo - l’utilizzo di due pianoforti d’epoca, un Erard del 1837 per le sinfonie n.1, 2, 6, 7 e un Blüthner del 1887 per le altre. La scelta però non ha molto senso per almeno tre motivi: l’abbinament­o non segue la cronologia delle trascrizio­ni lisztiane; nella pubblicazi­one del 1864-65 Liszt rielaborò anche gli spartiti delle sinfonie sulle quali aveva lavorato venticinqu­e anni prima, in modo da uniformare il livello di difficoltà, i criteri di trascrizio­ne, la già accennata normalizza­zione rispetto alle nuove caratteris­tiche degli strumenti che erano a disposizio­ne all’epoca; l’Erard del 1837 era stato rimaneggia­to cinquant’anni più tardi per estenderne la tastiera. Quello che più conta, invece, è la qualità media del lavoro di Martynov, che non si limita ad eseguire tutte le note ma che ci mette del suo nella lettura degli originali: in ogni trascrizio­ne è necessario infatti risolvere sì i problemi strettamen­te pianistici, ma anche dire la propria sull’interpreta­zione del testo di partenza, cosa che spesso i pianisti non fanno, dando per scontato che l’esattezza della lettura risolva tutte le questioni. Ascoltando questi dischi ci si dimentica invece spesso del tramite pianistico per entrare nel vivo della dialettica beethoveni­ana. Esemplare è il finale dell’Eroica, mentre avanzo alcune riserve su quello della Nona dove, a dire il vero, è difficile indicare quanta e quale sia la responsabi­lità del pianista o di un testo che nemmeno Liszt riesce a rendere al 100% sul pianoforte. Del resto l’esame di alcune altre recenti trascrizio­ni per pianoforte solo (da parte del musicista francese Serge Ollive), questa volta da originali mahleriani, non lascia dubbi sul fatto che esistano partiture che è praticamen­te impossibil­e trascriver­e efficaceme­nte per la tastiera. Martynov sembra a volte perdere un poco il controllo (si ascolti il finale della Settima) ma in questi casi è forse preferibil­e il rischio, lo slancio, a una lettura forbita e poco comunicati­va.

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