STILE LIBERO
JÓHANNSSON ENGLABÖRN & VARIATIONS QUARTETTO Eþos String Quartet
Theatre of Voices
ENSEMBLE
Paul Hillier
DIRETTORE
Matthias M.D.
PERCUSSIONI
Hemstock
PIANOFORTE, GLOCKENSPIEL, HARMONIUM, COMPUTER VOICE Jóhann Jóhannsson
MIXER E TRATTAMENTO NASTRI
Francesco Donadello
2 CD Deutsche Grammophon 479 9841
d. d.
PREZZO
★★★
Più che un album di musica elettronica, una trenodia. Jóhann Jóhannsson è l’autore della colonna sonora di La teoria del tutto, film sulla giovinezza di Stephen Hawking, morto quest’anno, con Eddie Redmaye protagonista da Oscar e da Golden Globe nel 2015. Anche il film raccolse una candidatura, ma il regista James Marsh l’aveva già ricevuto, l’Oscar, qualche anno prima, per il suo documentario Man on Wire
(Un uomo tra le torri), in cui ricostruiva la lucida follia di Philippe Petit, l’acrobata che nel 1974 camminò dall’una all’altra delle torri gemelle. Anche Jóhann conquistò un Golden Globe per le sue musiche, e ne avrebbe probabilmente aggiunti altri se il 9 febbraio del 2018 non fosse stato trovato senza vita nella sua casa di Berlino, in circostanze misteriose. Hawking è morto a 76 anni, Jóhannsson ne aveva 28. Era nato a Reykjavik nel 1990 e in Islanda era diventato il pivot di una multipla attività come musicista, anche tecno e pop, organizzatore d’arte, autore di colonne sonore e di musiche di scena. Dall’ultimo filone esce Englabörn: 27 variazioni e rimasterizzazioni del brano-titolo di un lavoro teatrale, di un pezzo per computer e quartetto d’archi (Odi et amo), di un altro per voci su Holy Tuesday di William Blake.
L’album è un complicato intreccio di fili che si dipana da un materiale semplicissimo: un tema di tre note che appare nella sua forma più spoglia al n.3 del secondo disco, sul pianoforte solo. Materia minima, ma anche nobile e strana per scendere dall’Islanda: Odi et amo cita versi di Catullo. Il primo disco presenta le rimasterizzazioni del nastro originale di Jóhannsson (2002), il secondo raccoglie i voli che da quelli hanno spiccato amici vicini e lontani, fra cui Ryuichi Sakamoto e Paul Hillier. Fra quartetto d’archi, pianoforte, sintetizzatori, voci sintetiche e naturali, varietà e discontinuità regnano (e anche ricordi delle vecchie Tubular Bells di Mike Odlfield). Non tutto rifulge. La curiosità è nell’inseguire le farfalle acustico-elettroniche che si alzano dalla semplicità quasi monacale di quelle tre note. Con due picchi di qualità: il canto che il Theatre of Voices di Paul Hillier inventa su Holy Thursday e Odi et Amo. Due perle.