TOSTI
THE SONG OF A LIFE VOL. 2 vari INTERPRETI 4 CD Brilliant Classics 95429 15,20 PREZZO ★★★★★
Imponente e importante si configura questa integrale dell’edizione Ricordi dei canti per voce e piano di Francesco Paolo Tosti cui va ad unirsi, per conto della Brilliant Classics, la programmazione discografica in che si concreterà, sembra di capire, l’intero piano editoriale. L’iniziativa è da tener in conto per una duplice ragione: lo spessore dell’impresa commerciale e il rigore scientifico che vi presiede, merito dovendosene riconoscere in modo precipuo all’Istituto Nazionale Tostiano di Ortona e all’ideatore del progetto Francesco Sanvitale, scomparso nel 2015. Per molti anni si è preteso che la musica di Tosti andrebbe relegata in un comparto piacevole quanto inferiore della composizione nazionale; ma inferiore a chi e a cosa? Nella congerie dei nomi che affollarono la platea della musica “seria” italiana del tempo (di fatto gli autori del verismo e affini), quello di Tosti è in qualche modo da rammentare almeno alla pari di altri di costui più baciati dalla notorietà; e nel rango in apparenza superiore del genere operistico dell’epoca, non pochi elementi del canto riconducono alla linea della romanza da camera tostiana spesso senza condividerne la finezza di esposizione e tracciato. Un fenomeno che la confidenza con i quattro dischi oggi in questione propone senza velleità di riscossa ma con qualche non impropria precisazione obiettiva. E intanto con la convinzione che la romanza tostiana è l’unico esemplare di canto cameristico italiano che possa venir inscritto in una casella di vere motivazioni musicologiche, una volta sottratto a quello che fu nel passato il proprio terreno d’impatto sociale, e cioè il salotto. Una premessa va giudicata a tal punto indispensabile da parte di chi scrive: chiunque s’accosti oggi a questi dischi dimentichi subito che la musica di Tosti sia quella che ci tramandarono le incisioni dei grandi cantanti d’opera: belle da ascoltare ma inidonee a captare il fascino da petite chanson che la vena melodica discreta e sagace e il peculiare percorso armonico di Tosti imponevano. Si sa che la fortuna in quanto autore Tosti la trovò soprattutto durante gli anni della permanenza londinese, tra il 1875 e il 1910, allorché egli scrisse la gran parte delle sue romanze maggiori e godette di svariati riconoscimenti, primo fra tutti la cittadinanza britannica, acquisita nel 1906, e il titolo di Sir concessogli due anni più tardi da Edoardo VII. Ma quantunque la poetica musicale di Tosti abbia fruito del privilegio di una qualche maturità compositiva negli anni del soggiorno in Inghilterra, non si può affermare che in essa siano riscontrabili evoluzioni creative di tipo peculiare, fatto salvo l’estremo periodo creativo degli Anni Dieci, qui assente; può solo ammettersi che la maggioranza dei suoi canti va ascritta agli anni londinesi trascorsi alla corte di Vittoria ed Edoardo VII (il quale ultimo mostrò di prediligere comunque ad essi le cocottes dei cafè-concert). La romanza tostiana rivelava insomma una compiutezza già adulta fin dai primi esperimenti; è viceversa da tener come curiosità il fatto che di tali composizioni vi sia così rara presenza in questo secondo volume, quasi tutto inscritto nella casella dell’ignoto, almeno per i non esperti. Se dovessimo enuclearne taluna, ci si fermerebbe a non più che quattro esemplari, vedi Malia, su versi di Pagliara (1887), Marechiare (1886), su versi di Salvatore Di Giacomo, La Serenata (1880), su versi di Cesareo, Per morire (1892), su versi di D’Annunzio. Ma la fonte di delizia di questi cd riposa nell’auscultare la voce e il cuore del musicista abruzzese nelle tante melodie di cui non sapevamo un bel niente. Non tutto è naturalmente di oro zecchino ma la originalità della proposta è un dato di fatto: concisione, raccoglimento, eleganza del connotato melodico spesso discorsivo, dicono tutti a pieno titolo di una padronanza del mestiere musicale e di quello sintattico non facilmente ripetibili. Proviamoci a riassumerne i tratti. Il primo dei referenti è intanto la qualità poetica con cui il musicista si misurò. Si sapeva dell’apporto della poesia dannunziana, a lungo frequentata, ed è vano ripercorrerne qui i titoli, salvo che per aggiungere una chiosa sulle cinque melodie che han titolo Malinconia, composte nel 1887 e presenti in questi quattro dischi anche se non decisive in quanto alla parte musicale. Ma altri autori, taluni dei quali non proprio di seconda scelta, nutrirono la musica tostiana, e basterà citare nomi come quelli di Téophile Gautier, Musset, Hugo, Fogazzaro, Di Giacomo, per intendere. Ma colpisce ancor più che collaboratori meno illustri ebbero a che fare con la lirica del Nostro, e sovente con esiti ragguardevoli. È possibile menzionare, ad esempio, La Viuletta, su versi di Tommaso Bruni, la splendida Deh, ti desta, su testo anonimo, del 1875, Ici bas (1888) su versi di Sully Prudhomme, il duetto vocale Venetian Song (1891) di Stephenson, la spagnolesca Guitar sul testo hughiano.
Non si fa la minima fatica a riconoscere nell’Istituto Nazionale Tostiano di Ortona l’autorità più atta a patrocinare, attraverso la via stretta del recupero critico (l’unica oggi ancor possibile), la diffusione di questo patrimonio di musiche per i più ormai quasi ignote, al fine di trasmetterne in modo
degno i segnali di continuità. Sono quattro dischi di bella fisionomia cui hanno partecipato con consapevolezza della giusta impronta di stile solisti di canto e pianisti, uno o più per disco, in grado di condurre in porto il compito di ridar fiato alla lingua tostiana nella sua formulazione in apparenza semplice e organicamente consapevole. Il primo dei cd, il più conciso dei quattro, chiama in causa il mezzosoprano Monica Bacelli, il tenore, di timbro non specialissimo ma di acconcia fisionomia liberty, Mark Milhofer e Antonio Ballista al piano, in una serie di canti di esigua popolarità (unico titolo celebre Marechiare sul testo di Di Giacomo); mentre nel secondo il soprano Benedetta Torre, il baritono Eugene Villanueva e la pianista Luisa Prayer si confrontano con due altri canti celebri, la famosa Malia (1892), e Luce d’amore, ambedue sui versi di Pagliara. Il terzo cd ha dalla sua la particolarità di offrire solo titoli inconsueti (unica eccezione La Serenata, 1880, mirabilmente cantata da Desirée Rancatore con Marco Scolastra al piano) ma di tratteggiarne lo charme con dovizia d’intenzioni interpretative non banali. E infine il quarto disco che offre, tra gli altri numeri, un bellissimo duetto vocale in forma di barcarola, Venetian Song, cui il mezzosoprano Jurgita Adamonyté, il basso Piotr Lempa e il pianista Marco Moresco dedicano affettuosa compenetrazione. Sul livello esecutivo di tutti costoro non par lecito nutrire sospetti di alcun genere e ciascuno semmai potrà ritagliarsi le proprie preferenze (le mie sono per la Rancatore e la Bacelli, è inutile negarlo). Siamo in presenza di un ideale prototipo di ciò che la romanza di Tosti esige: senza sdolcinature, senza protagonismi ma nel solo nome della musica.