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PERSONAGGI

- DI MATTIA L. PALMA

Il salotto scaligero di Anna Crespi compie quarant’anni. Da lì sono passati artisti, studiosi, critici, giornalist­i. Poi le iniziative per finanziare la Filarmonic­a e restaurare i bozzetti di Guttuso, Fiume, Savinio

“C’è una chiave per ogni cosa, solo bisogna trovarla. Ma è la parte più divertente”, confessa Anna Crespi, fondatrice degli Amici della Scala, seduta tra una fotografia con dedica di Leonard Bernstein e una di Alvin Ailey nella meraviglio­sa sede in Via dei Giardini a Milano. L’associazio­ne - insignita da Mattarella con una medaglia della Repubblica che oggi rotea in una teca illuminata nel salone di ingresso - è al quarantesi­mo anno di attività, anniversar­io già celebrato a Palazzo Reale con la mostra “Incantesim­i”. Il prossimo novembre uscirà un nuovo volume che racconterà dei fatti e delle persone che hanno accompagna­to gli Amici della Scala in questi quattro decenni di scorta al teatro più importante, discusso, amato e mitizzato al mondo: quello per cui ogni riuscita è un trionfo e ogni défaillanc­e un disastro. “Non a caso”, racconta Anna Crespi, “fu proprio in un momento di difficoltà del Teatro, nel 1978, che decisi di fondare gli Amici della Scala. Allora la Scala era spaccata in due: una parte stava con il sovrintend­ente Badini mentre l’altra, fra cui il loggione e soprattutt­o molti giornalist­i, era con il suo assistente. L’amicizia con Badini mi fece intuire che aveva bisogno di un appoggio. Così fondai gli Amici della Scala

e tra i soci fondatori figurano i nomi di Montanelli, Ottone, Biazzi Vergani, Barbiellin­i”.

In passato era già esistita un’associazio­ne analoga.

“L’aveva creata Toscanini con tutta la società illuminata di allora per ricostruir­e il Teatro dopo i bombardame­nti. Una volta finiti i lavori l’associazio­ne si sciolse. Un giorno Wally, sua figlia, mi disse che l’unica che avrebbe potuto rifondarla ero io. Capii in quell’istante che mi stava assegnando il mio futuro. Ma non ero emozionata: mi sembrava del tutto naturale”.

Che tipo di persona era Wally Toscanini?

“È come se l’avessi sempre conosciuta. È stata una seconda madre per me. Se veniva a sapere che ero stata a una festa ‘sbagliata’ era lei a rimprovera­rmi. Mi diceva: Tu lì non ci vai più”.

Doveva esserci molto affetto tra di voi.

“In vita mia ho avuto tante amicizie speciali, tanti innamorame­nti spirituali. Ad esempio con Leyla Gencer: io non sapevo niente di canto così come lei non capiva niente di quello che facevo, eppure tra di noi c’era un’intuizione reciproca”.

Amicizie che potevano diventare anche un sostegno?

“Penso agli anni Settanta, un decennio orribile per la mia famiglia. Avevamo saputo di essere a rischio rapimento. E io avevo tre bambini. Una sera, dopo uno spettacolo, ero a cena da Savini con Rostropovi­c. Notò subito il mio stato d’animo, era un amico, e mi chiese: Annushka, perché sei così triste? Io gli raccontai la storia e lui subito prese il programma di sala scrivendo che in caso di rapimento di uno dei miei figli avrebbe suonato gratis per tre anni. Domandò anche a sua moglie di firmare. Insistette un po’, ma alla fine firmò anche Galina, specifican­do che gli anni sarebbero stati due”.

Restava il problema di difendere i suoi figli.

“Mio marito si era rivolto alle forze dell’ordine per chiedere aiuto, ma il maresciall­o ci suggerì di armarci, limitandos­i a dire che era meglio un cattivo processo di un buon funerale. Ricordo che prendevo lezioni di karate e che me ne andavo in giro avvolta in un mantello nero, con l’adrenalina dalla mattina alla sera. Ho anche provato a portare i miei figli in Svizzera. Andavo a trovarli nei fine settimana e loro piangevano, piangevano. Alla fine ho capito che scappando non avrei potuto educarli, così li ho riportati a Milano”.

Parliamo della sua infanzia, è allora che è iniziato il suo rapporto con la musica?

“Non tanto il rapporto con la musica quanto quello con l’arte. La mia è stata un’infanzia terribile in un luogo bellissimo: Tremezzo, sul lago di Como. In quinta elementare arrivò una maestra, una bella donna dai capelli rossi. Mi detestava. Non so spiegarmi il motivo ma mi metteva alla berlina davanti a tutti: a volte mi ordinava di slacciarmi il grembiule e mi mandava in fondo alla classe. I miei compagni reagirono con violenza: venivo picchiata, venivo umiliata. Oggi lo chiamano bullismo”.

Come reagì?

“Decisi di essere muta: mi limitavo ad ascoltare senza parlare. Tutti si erano convinti che fossi stupida, come la luna. E lo pensavo anch’io”.

Dov’erano i suoi genitori?

“Mia madre era giovane, aveva altro per la testa. Aveva diciott’anni quando mi ha avuto. Voleva ancora divertirsi”.

Quando è cambiato il suo modo di vedersi?

“Ricordo che ero passata in prima media, come uditrice. Un giorno la maestra di ricamo voleva spiegarmi qualcosa, ma l’ho subito fermata: Non mi spieghi niente perché io sono stupida. Mi disse: Tu stupida, con quegli occhi lì? Ho ritrovato la mia sicurezza e da quel momento è iniziato il mio straripant­e desiderio di cultura. Poco dopo i concerti, all’inizio senza capire granché, ma a un certo punto è cambiato qualcosa: ho cominciato a capire la musica. Non è che me ne intenda, ma quanto la ascol-

Il salotto scaligero di Anna Crespi compie quarant’anni festeggiat­i dalla loro mattatrice nella sede milanese di via dei Giardini. Dove si sono tenuti incontri con artisti, studiosi, critici, giornalist­i. Da Montanelli a Boulez, da Muti a Biazzi Vergani, da Abbado a Chailly. Oltre alle iniziative per finanziare la Filarmonic­a e per il restauro dei bozzetti di Guttuso, Fiume, Savinio che giacevano dimenticat­i all’Ansaldo

to so se è bella o no”.

Mi racconti del suo rapporto con Guido Cantelli.

“Ci siamo amati molto, ma lui un po’ di più: io ero ancora troppo giovane. Avevo ventidue anni, ma allora era come averne sedici oggi. Lui partiva da Como per venire a provare alla Piccola Scala e, a parte l’orchestra, io ero l’unica in teatro ad assistere. Ricordo che saliva sul podio e subito si rivolgeva a me per raccontarm­i tutte le emozioni che aveva provato in automobile: l’alba, le luci, i colori, e intanto l’orchestra aspettava, in silenzio. Poi si girava e cominciava la prova”.

I suoi sapevano?

“In famiglia non avevo il coraggio di parlarne, anche se non era successo niente tra noi: ero una ragazza di provincia che aveva ricevuto un’educazione molto severa. La sera che ci siamo incontrati, eravamo a una cena, mi invitò a ballare anche se nessun altro ballava. E il grammofono continuava a suonare le stesse note perché il figlio di Pizzetti, che era a cena con noi, non la smetteva di rimetterle: gli piaceva solo quel passaggio”.

Poi cos’è successo?

“Prima di partire per l’America mi mandò un biglietto, scrisse che al suo ritorno sarebbe venuto a prendermi, che io lo volessi o meno. Lo stracciai immediatam­ente perché nessuno lo trovasse. Poi ci fu l’incidente aereo, vicino a Parigi. Non è mai tornato”.

Che uomo era?

“Estremamen­te passionale: in tutto ciò che faceva metteva un’energia fuori dal comune. Come Toscanini, dicevano. Forse per questo l’aveva scelto per sostituirl­o. Ma Wally mi confidò che suo padre era geloso della sua giovinezza”.

Torniamo agli Amici della Scala, quali sono state le sue prime iniziative?

“Andai da Badini per dirgli che l’unico modo per salvarsi dal disastro era organizzar­e degli incontri con artisti, studiosi, critici, giornalist­i.”

Che tipo di incontri?

“Incontri per spiegare ogni spettacolo in cartellone, che oggi si chiamano Prima delle Prime. Così abbiamo cominciato. Tutti questi volti leggendari che lei vede nelle fotografie hanno collaborat­o con noi: Boulez, Muti, Abbado, Chailly, ma staccati dalla Scala, come società civile. Il nostro ruolo è sempre stato capire quello di cui la Scala aveva bisogno e muoverci di conseguenz­a, ovviamente senza interferir­e”.

Avete contribuit­o anche a dare vita alla Filarmonic­a.

“Erano in molti allora a fare la guerra a questa seconda orchestra nascente. Non la trovavano necessaria: c’era già quella della Scala. Abbado aveva pensato quasi a tutto, ma mancava la parte finanziari­a. Così ci chiese aiuto e noi per i primi due anni abbiamo trovato i soldi. A quel punto l’orchestra poteva andare da sola”.

Un’altra attività fondamenta­le riguarda i bozzetti e i figurini.

“Abbiamo aumentato il patrimonio della Scala di oltre ventisei milioni di euro, con dieci anni di sforzi perché servivano soldi, soldi, sempre più soldi. Ma anche in quel caso li abbiamo trovati e abbiamo restaurato con l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze opere di Guttuso, Fiume, Savinio che giacevano dimenticat­e all’Ansaldo e persino nei camerini. Pensi che li rubavano, una volta siamo andati a recuperarl­i al confine con la Svizzera”.

Ha sempre avuto l’appoggio dei sovrintend­enti della Scala?

“Siamo passati attraverso quattro sovrintend­enti e non sempre il rapporto ha funzionato. Ma una cosa che ho capito è che avere dei nemici fa bene all’intelligen­za. Forse tutte queste cose stupende che sono riuscita a fare le ho fatte perché, a volte, c’era qualcuno che si opponeva”.

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 ??  ?? Anna Crespi. A sinistra con Claudio Abbado (al centro). A pagina 40, in senso antiorario, con Abbado, Muti e Rostropovi­c
Anna Crespi. A sinistra con Claudio Abbado (al centro). A pagina 40, in senso antiorario, con Abbado, Muti e Rostropovi­c
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