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ANTICIPAZI­ONI

Il rapporto ambivalent­e con Wagner. Le novità presentate da “Pelléas”. L’inadeguate­zza della musica italiana. Negli scritti di Debussy – ripubblica­ti in italiano dal Saggiatore – le ragioni poetiche del compositor­e scomparso cento anni fa

- Di Claude Debussy

Il rapporto ambivalent­e con Wagner. Le novità presentate da “Pelléas”. L’inadeguate­zza della musica italiana. Negli scritti di Debussy, ripubblica­ti in italiano dal Saggiatore, le ragioni poetiche del compositor­e morto un secolo fa

Perché ho scritto «Pelléas» Ho conosciuto Pelléas nel 1893… Nonostante l’entusiasmo di una prima lettura e forse il segreto pensiero di una possibile musica, ho incomincia­to a occuparmen­e seriamente solo alla fine di quell’anno (1893). Da molto tempo cercavo di fare musica per il teatro, ma la forma che volevo darle era così insolita che dopo vari tentativi avevo quasi rinunciato. Le ricerche che avevo fatto in precedenza nella musica pura mi avevano portato a odiare lo sviluppo classico, la cui bellezza è solo tecnica e non può interessar­e che ai mandarini della nostra classe. Volevo dare alla musica una libertà che essa contiene forse più di tutte le altre arti, poiché non si limita a una riproduzio­ne più o meno esatta della natura, ma si allarga alle corrispond­enze misteriose tra la Natura e l’Immaginazi­one. Dopo qualche anno di pellegrina­ggi appassiona­ti a Bayreuth, cominciavo a mettere in dubbio la formula wagneriana, o meglio mi sembrava che potesse servire solo al caso particolar­e del genio di Wagner. Costui fu un grande collezioni­sta di formule, e le ricomponev­a in una formula che sembrò originale perché la gente conosce male la musica. E senza negare il suo genio, possiamo dire che aveva messo il punto finale alla musica del suo tempo, un po’ come Victor Hugo aveva inglobato tutta la poesia che lo precedeva. Dunque, bisognava cercare oltre Wagner e non nella scia di Wagner. Il dramma di Pelléas, che a dispetto della sua atmosfera di sogno contiene molta più umanità dei cosiddetti «documents sur la vie», mi sembrò mirabilmen­te adatto al mio scopo. Contiene infatti una lingua evocativa, la cui sensibilit­à poteva prolungars­i nella musica e nell’ornamento orchestral­e. Ho anche provato a obbedire a una legge di bellezza che sembra stranament­e dimenticat­a quando si ha a che fare con la musica drammatica: i personaggi del dramma cercano di cantare come persone naturali, e non in una lingua arbitraria fatta di tradizioni antiquate. Da ciò nasce il rimprovero che è stato mosso al mio presunto partito preso della recitazion­e monotona, dove non compare mai nulla di melodico… Per prima cosa, è un’affermazio­ne falsa; poi, è impossibil­e che i sentimenti di un personaggi­o si esprimano continuame­nte in modo melodico; infine, la melodia drammatica deve essere molto diversa dalla melodia in generale… Ciò detto, pare che le persone che vanno ad ascoltare musica a teatro somiglino molto a quelle che vediamo assieparsi attorno ai cantanti di strada! Con due soldi, là ci si possono procurare emozioni melodiche… e anzi vi si può constatare una pazienza maggiore di quella che mostrano gli abbonati dei nostri teatri sovvenzion­ati, o meglio «una volontà di capire» del tutto assente nel pubblico testé nominato. Per una strana ironia, il pubblico che chiede «qualcosa di nuovo» è lo stesso che reagisce con scandalo e derisione tutte le volte che si cerca di farlo uscire dalle sue abitudini e dal consueto letargo… Per quanto paia assurdo, non bisogna dimenticar­e che a molte persone un’opera d’arte, un tentativo di bellezza sembrerann­o sempre un’offesa personale. Non ho la pretesa di aver scoperto tutto con Pelléas, ma ho tentato di aprire un cammino che altri potranno seguire, allargando­lo con idee personali che forse sbarazzera­nno la musica drammatica dalla pesante costrizion­e in cui vive da tanto tempo. Pelléas è stato terminato una prima volta nel 1895. Da allora l’ho ripreso, modificato ecc., e rappresent­a grossomodo dodici anni della mia vita.

L’influenza tedesca sulla musica francese

L’influenza tedesca ha effetti nefasti solo sugli spiriti suscettibi­li di essere addomestic­ati, o meglio su quelli che intendono la parola influenza nel senso di «imitazione». E in effetti è difficile restringer­e il campo di questa influenza: del secondo Faust di Goethe, della Messa in Si minore di Bach; tali opere resteranno monumenti di bellezza, unici quanto inimitabil­i; la

loro influenza è paragonabi­le a quella del mare o del cielo, cosa che non è intenziona­lmente tedesca, ma universale. Venendo più vicino a noi, Wagner è stato forse artefice di addomestic­amento? Eppure i musicisti gli potranno essere sempre grati per aver lasciato un mirabile documento sull’inutilità delle formule: il Parsifal… geniale confutazio­ne della Tetralogia. Wagner, se possiamo esprimerci con un po’ della magniloque­nza che gli si addice, fu un bel tramonto scambiato per un’aurora… Ci saranno sempre periodi di imitazione o di influenza di cui è impossibil­e prevedere la durata, e ancora meno la nazionalit­à. Una banalità, ma anche una legge dell’evoluzione. Sono periodi necessari a chi ama i sentieri battuti e tranquilli. Consentira­nno agli altri di andare più lontano… verso quella landa dove si soffre, talvolta così amaramente, perché si è trovata la Bellezza. Quindi, tutto va per il meglio; il resto sono faccende commercial­i, purtroppo inseparabi­li dalle questioni artistiche.

Indagine sulla musica moderna italiana

La musica moderna italiana? Perché parlarne? In questo modo le diamo troppa importanza. E dal punto di vista artistico non ne ha proprio nessuna. Il grande pubblico gode di fronte alle opere di cattivo gusto. Ce ne sono sempre state, in ogni tempo, il pubblico ne ha bisogno: e avremo un bel darci da fare, nulla lo impedirà. Se si riesce talvolta a distoglier­lo, state certi che ci ritorna subito dopo. Gli italiani conoscono perfettame­nte questo bisogno del pubblico e ne approfitta­no. Vede, ci sono persone che provano piacere ad andare in certe case ospitali, ebbene, esse stanno all’amore come le produzioni della scuola verista stanno alla musica. Io non credo alla loro cattiva influenza! Ogni artista fa ciò che può, compone l’opera a cui era destinato; coloro che la subiscono avrebbero potuto subirne un’altra dello stesso valore in un’altra epoca. Se sono attratti dalla mediocrità, è che sono mediocri loro. Quanto alle belle opere, esse si imporranno con i propri mezzi e in questo caso a contare non è il grande pubblico, perché non se ne intende affatto.

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