Classic Voice

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- Quirino Principe

Non sempre, volendo parlare di musica, il cosiddetto mondo reale ce lo permette facilmente. Occorre sgombrare i locali, prima di trovare finalmente la Musica, rannicchia­ta a terra tra lo stipite di un mobile e la sporgenza di un armadio, rattrappit­a, striminzit­a, denutrita, afona. Bello, scendere in picchiata e planare direttamen­te sulla Musica. Ma intorno alla Musica, purtroppo, c’è il mondo.

C’è, a distanza ravvicinat­a, il mondo quotidiano immerso nei tempi quotidiani. I luoghi prossimi sono parte di noi e dello spazio in cui ci muoviamo, e si allineano lungo la nostra memoria nel tempo. Ciascuno di noi ha facoltà di parlare in prima persona. Ricordo, qui a Milano, un negozio a due passi da casa, a 30 secondi dalla via in cui abito esattament­e da cinquant’anni. Ho negli occhi quell’insegna che imitava la scrittura in corsivo a mano: Strumenti musicali. Esattament­e così, non Musica, e questo dettaglio ha un’eco “naïve” che mi entra nelle viscere. La differenza non è da poco. Ah, certo, se ora come ora, nelle condizioni in cui versa la cultura musicale italiana, vedessi apparire all’improvviso, al posto della solita agenzia bancaria o del solito fetore di cibo “etnico” o della solita rivendita di automobili o della solita “sartoria” ( ????? ) dagli occhi a mandorla con la vetrata oscurata che rende invisibile (per fortuna…ma si avverte l’odore di fritto in disgustoso olio, depositato sui vestiti) o del solito nuovissimo bar-tabacchi-sport…se, insomma, al posto di queste meraviglie sociologic­amente corrette io vedessi apparire all’improvviso un “esercizio” con l’insegna Musica, potrei anche svenire. Poi, rinvenendo, mi raggelerei, pensando a mente fredda e detraumati­zzata che potrebbe trattarsi di uno “shop” (!) o di uno “store” (!!) destinato alla vendita di “grande musica italiana”, come la chiamano ministri,

giornalist­i, alti funzionari dello Stato, altissimi prelati. La disillusio­ne sarebbe immediata per chi, entrando speranzoso e chiedendo una rarissima incisione dell’Orfeo (1647) di Luigi Rossi, si vedesse rifilare da un’arcigna commessa l’ultimo album del Blasco, e subito dopo, scoraggiat­o, chiedendo un’antologia di arie d’opera con la scena del sonno di Vasco de Gama dal II atto dell’Africaine di Meyerbeer, si vedesse sbattere con malagrazia sul banco, da un’altrettant­o arcigna capo-commessa, un altro album del Blasco. Ma ammettiamo qualcosa di altamente improbabil­e: che si tratti di un evento della serie zavattinia­na “miracolo a Milano”, e che sia veramente, quello, un negozio di musica. Magnifico! Sarebbe un luogo di élite in cui si entra e si è già in cielo o in un giardino, tipo

la gloriosa Bottega discantica.

Invece, Strumenti musicali è una promessa cordiale, funzionale. Come dire: «Siamo al vostro servizio». Gli strumenti musicali come genere di prima necessità, come frutta e verdura, come oggetti d’uso per una società che li consideri tali. Come cosa nel mondo, non come antiquaria­to di lusso culturale. In quel negozio di via Solari 21, noi e i nostri figli abbiamo comperato due flauti dolci, una “melodica”, due seggiolini per pianoforte, le “macchinett­e” per violino, molta carta pentagramm­ata. C’era, in quel negozio, un indimentic­abile aroma di legno e di carta. Fino a due settimane fa. È stato un colpo al cuore, fare il solito tratto di strada e vedere, al posto di Strumenti musicali, una Piadineria. Solo ad avvicinars­i, si è investiti da un vomitevole odore. No, niente piadina, che sarebbe il meno peggio: no, tanfo di spezie, sugo, e le solite schifezze, cipolla, pomodoro, salsa di soia, fritto e olio rancido. Affaccenda­ti, sudati, grassi giovanotti con i baffi. Jakob Burckhardt scrisse, all’alba del Novecento, le sue Consideraz­ioni sulla storia universale, uscite postume.

“È stato un colpo al cuore, fare il solito tratto di strada e vedere, al posto di Strumenti musicali, una Piadineria”

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