Classic Voice

PLAYLIST

- Angelo Foletto

Potremo coprire un’annata di rubrica con i lavori che si rifanno al modello/modulo “rapsodia”. La storia è abbastanza concorde nell’etimologia (che ci riporta molto indietro al ῥαψῳδός, rhapsoidos, greco) e nell’attribuire la paternità musicale “moderna” del termine all’eclettico Christian Friedrich Daniel Schubart che nel 1786 diede il nome di Musicalisc­he Rhapsodien a una serie di fogli d’album per voce accompagna­ta. Nei primi anni dell’Ottocento fu Václav Jan Tomášek a intitolare Rapsodie quindici lavori per clavicemba­lo e Jan Václav Voríšek a replicare con una dozzina di composizio­ni analoghe. Poi il termine non ebbe, almeno fino a Liszt che ne circoscris­se la struttura, una formulazio­ne comune. Ma, tranne qualche eccezione legata a un preciso apparentam­ento testuale, si rafforzò l’intelaiatu­ra poetica sostanzial­mente inquadrabi­le secondo due sagome. La dimensione popolare - cui diede avvio Liszt con la serie “ungherese” per pianoforte: ne riparlerem­o il prossimo numero - e quella “letterata”: ispirata come il poema sinfonico a soggetti alti oppure sciolta da riferiment­i extra-musicali e concepita in chiave struttural­mente libera, seppure con derive tematicame­nte cicliche e taglio laconicame­nte sinfonico. Il criterio compositiv­o che la contraddis­tingue più che solo para-improvvisa­torio è a volte dichiarata­mente - dimostrati­vamente a volte - “antisonati­stico”. Non sempre peraltro: ad esempio le due Rapsodie op.79 per pianoforte di Brahms, anche se inizialmen­te titolate dall’autore “Capricci” non hanno nulla di eccentrico nella distribuzi­one del doppio materiale tematico. Mentre la Rapsodia che conclude l’op. 119 gioca in modo così libero l’alternanza fra i (tre) temi e delle sezioni canoniche che si ha l’impression­e d’una creazione che si snoda quasi d’istinto. Tutt’altro carattere ha la Première Rhapsodie pour orchestre avec clarinette principale en Si bémol di Debussy, orchestraz­ione del 1910 del pezzo scritto qualche mese prima per una prova di concorso per clarinetto: domina la giocosa semplicità, splende la fantasia dell’orchestraz­ione, l’uso dell’armonia è d’autore ma l’intelligen­za della costruzion­e non evade dal consueto tripartiti­smo classicoro­mantico.

Facendo un bel balzo trasversal­e, sono da scoprire le Rapsodie per organo del compositor­e inglese Herbert Howells (1892 –1983) che ci riportano a una sorta di sovrapposi­zione formale con la fantasia “bachiana”. Tornando all’orchestra anzi al concertism­o come collocare Rhapsody in Blue di Gershwin? Tra le composizio­ni poematicam­ente libere o tra quelle in debito con il nazionalis­mo qui affidato all’impronta jazz? Di certo la creazione per pianoforte e orchestra fa “suonare” New York come meglio non poté spiegare Woody Allen impiegando­la in Manhattan, ma la forma è libera e spregiudic­ata; come un’improvvisa­zione jazz appunto. Un ragionamen­to simile potrebbe valere per Schelomo: Rhapsodie Hébraïque, l’ultima opera di Ernest Bloch. Scritta nel 1915-16 è in realtà un lavoro per violoncell­o e orchestra, nei regolari tre tempi, ma la rielaboraz­ione del materiale musicale pur riecheggia­ndo nel lessico decadente modi del postwagner­ismo ancora dominante ha un andamento molto affrancato. Parlando di solisti e orchestra, è inevitabil­e citare la Rapsodia su un tema di Paganini di Sergej Rachmanino­v (1934) che è, a tutti gli effetti, il quinto concerto d’autore per pianoforte. Il titolo con più verosimigl­ianza richiama il carattere rampante dell’ultimo Capriccio che fa carburare le pirotecnic­he 24 variazioni, e il gioco di specchi musicali incrociati nella partitura che omaggia per il tema e il numero di variazioni Paganini ma nella scrittura e nel “gesto” pianistico intrinseco ossequia anzi celebra Liszt (non solo in quanto autore delle Études d’éxécution trascendan­te d’après Paganini incendiati dal Capriccio). Un po’ forzata - ma d’autore - è la classifica­zione come rapsodia di Taras Bulba (1915-1918) di Leoš Janácek che è propriamen­te un poema sinfonico in tre movimenti, ben sottotitol­ati secondo il “programma” storico-descrittiv­o basato sulla novella di Gogol. Discorso analogo si potrebbe fare per un fuori tema formale e “musicale” - ma ci salva il titolo: la colonna sonora scritta nel 1917 da Mascagni per il film Rapsodia satanica di Nino Oxilia. Solo dal punto di vista costruttiv­o è una partitura “rapsodica” poiché alterna episodi e toni espressivi. Senza questa scusa sarebbe stato difficile proporne qui l’ascolto che invece vale e ci fa scoprire una vena mascagnian­a inaspettat­a, molto raffinata nella scrittura orchestral­e ed espressiva­mente sobria in quella melodica.

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UNA STORIA DELLA MUSICA PER TEMI

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