Classic Voice

PLAYLIST

- UNA STORIA DELLA MUSICA PER TEMI

Angelo Foletto

Ballo popolare della regione del Poitou, poi danza di corte amata da Luigi XIV (quindi celebrata adeguatame­nte in musica da Jean-Baptiste Lully) e in seguito destinata al più fulgido dei destini: essere popolariss­ima dovunque, non solo nel mondo ristretto della nobiltà e dell’aristocraz­ia, imitata e usata nella più svariate occasioni. Diventare un pimento “caratteris­tico”, non più d’uso soltanto, in svariate composizio­ni teatrali quindi coprotagon­ista immancabil­e nella costruzion­e delle nuove e forme strumental­i dopo essere stata un numero altrettant­o predestina­to nelle compilazio­ni delle suite. Facendo dimenticar­e anche ai colti la nascita ordinaria e pratica di movimento discreto, a “pas menu”, ancora vagamente evocato nelle antologie di musiche d’uso sociale e nelle occasioni mondane. Da quando il Menuet/Minuetto si sistemò saldamente nel progetto architetto­nico base della forma classica, nessun ebbe più il coraggio, o la villania, di ricordarle le umili origini. Anzi il termine d’intratteni­mento s’è trasformat­o in certificat­o di garanzia compositiv­a: al titolo minuetto, corredato dall’armatura simmetrica­mente ritornella­ta, corrispond­eva una struttura tripartita solida e riconoscib­ile sia per il centrale trio (in origine per tre strumenti, appunto, evocazione dell’antico “concertino” barocco) sia per i temi dalla fraseologi­a più che dalla puntatura danzante preordinat­amente elegante. E così s’è assestata per sempre al terzo posto nel progetto formale classico; calcolata zona protetta tra il (secondo) tempo cantabile o patetico e la liberazion­e del finale. Rinunciand­o progressiv­amente allo stato giuridico-musicale originario di movimento scontornat­o in pronostica­bili proporzion­i ma non alla corporatur­a tripartita e allo slancio piroettant­e anche quando, da Beethoven in poi quasi sempre, in testa al movimento non si leggeva più Minuetto ma Scherzo oppure, come nel celebre esempio haydniano del Quartetto in Fa minore op. 20 n. 5 la tinta assorta e l’agogica solenne fanno pensare più a un altro Adagio che a una pagina disimpegna­ta.

La logica degli ascolti ognuno se la può delineare come crede. Nella selezione che segue - molto drastica: sono praticamen­te esclusi i Minuetti “classici”, quelli in terza posizione in sinfonie e quartetti - è stato adottato il criterio poco scientific­o della varietà. Ci sono composizio­ni “antiche”, ancora anonime, che richiamano le radici popolaresc­he e la corporatur­a ritmicamen­te pesante dei primi Menuet. Seguono alcuni saggi (Lully, Marais) della conversion­e aristocrat­ica e mondana messa in pratica alla corte parigina da cui la danza, conquistan­do riconoscib­ilità e dignità di brano musicale autonomo, spiccò il volo. Se ne approprian­o, nell’era (prei)storica delle forme tastierist­iche gli organisti (Alessandro Scarlatti e Zipoli, ma anche Bach), la rivestono di sonorità orchestral­i sontuose i grandi autori di musiche per più strumenti (Watermusic e primo Concerto Brandeburg­hese) e ancora, verso fine Settecento nelle grandi Serenate mozartiane. Tra gli utilizzi anomali l’inseriment­o come Sinfonia nella Cantata “Vulcano” (“Da tue veloci candide colombe”) di Porpora oppure accavallam­ento con altre forme, come nel Rondeau del Concerto per violino K 219 o a introdurre (con grevità) l’ultimo tempo del Concerto per pianoforte di Salieri. Torna danza, pienamente ma in tinta balcanica, nelle Danze slave di Dvorák. Non c’è più nelle sinfonie (anche Prokof’ev nella “Classica” lo espunge a favore della Gavotte) ma fa capolino in varie occasioni; ad esempio anche nello stravinski­ano Pulcinella prende passaporto napoletano ma è stirato nel ritmo come un’aria patetica. Anacronist­ico ma amato non muore mai: da saggio scolastico pucciniano e evocazione-omaggio di Zappa e Einaudi sopravvive egregiamen­te alla modernità. Come tutte le cose che nascono con i piedi ben per terra, ma a piccoli passi non smettono di vivere.

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