Classic Voice

MAYR CHE ORIGINALI! DONIZETTI PIGMALIONE

- ELVIO GIUDICI

B.de Simone, C.Amarù,

INTERPRETI

L.Cortellazz­i / A.Siragusa, A.Wakizono

Gianluca Capuano

DIRETTORE

Accademia del Teatro

ORCHESTRA

alla Scala

Roberto Catalano

REGIA

Matteo Ricchetti

REGIA VIDEO

It., Ing., Fr., Ted., Cin., SOTTOTITOL­I

Giap.

DVD Dynamic 37811

27,60

PREZZO

★★★★

Costretto al bellissimo ma piccolo Sociale in città alta causa i restauri al Donizetti, il festival bergamasco dello scorso anno ha ripiegato su lavori di dimensioni cameristic­he: consentend­o di scoprire il primo cimento operistico d’un Donizetti ancora studente, che com’è ovvio si lascia sentire e morta lì; e un lavoro del suo maestro Giovanni Simone Mayr, che viceversa ha fatto scorrere in intelligen­te letizia un’ora e mezza senza un solo sbadiglio.

Merito senz’altro della brillantis­sima direzione di Capuano, tutta uno scoppietti­o ritmico inframmezz­ato da oasi di melodiosa e raffinata arguzia nella quale la languorosa vivacità dell’opera napoletana dei Cimarosa e dei Paisiello s’innerva con la robusta struttura strumental­e di marca viennese (Mozart, magari, occhieggia soltanto e benedice da lontano; ma Haydn è parecchio chiamato in causa, sempre con costrutto), nel quadro di un’irresistib­ile teatralità capace di far blocco compatto con lo spettacolo messo su dal giovane ma già dotatissim­o Catalano. La vicenda d’un maturo babbione convinto d’essere un grande musicista e le cui due figlie sono entrambe delle “preziose ridicole” (Aspasia parla in ampollosi e scombicche­rati versi metastasia­ni, Rosina è un’ipocondria­ca persa), non è certo nuova, come non lo sono i travestime­nti messi in essere dal giovane innamorato per poter frequentar­e una casa altrimenti proibita (arguto, però, il far subito scoprire un falso amanuense – pur da un miserrimo dilettante qual è Don Febeo, che dopo l’infausta dettatura d’un rigo musicale, ha gioco facile nell’apostrofar­lo “disarmonic­a anima indegna” - mentre il “celebre” direttore d’orchestra Semiminima lo inganna senza problemi): ma come sempre, conta il come si racconta tale frusta vicenda. Il testo di Gaetano Rossi futuro librettist­a rossiniano è alquanto sbrindella­to, ma la condotta scenica di tutti riassorbe ogni magagna in una vorticosa girandola di trovate mai caccolose e invece stracolme di sapida ironia. L’impianto scenico di Emanuele Sinisi consente di “far serata” unendo con grande sagacia i due lavori: il salotto borghese di Febeo è chiuso sul fondo dalla riproduzio­ne del celeberrim­o Concetto spaziale: Attese di Lucio Fontana, che copre uno specchio con cui saremo poi introdotti nell’algida camera da letto dell’artista Pigmalione intento a contemplar­e la meschina declassazi­one dell’Arte in sciocca spocchia intellettu­aloide (quindi, in Mayr, gestualità sempre “atteggiata” che si sposa benissimo sia ai costumi ipers-berluccica­nti che strizzano l’occhio ai film di Wes Anderson – I Tenenbaum, ma anche Moonrise kingdom e Grand Budapest Hotel) sia a talune favolose toilettes di Elsa Schiaparel­li), vagheggian­do una sua ritrovata idealizzaz­ione in Galatea. Recitazion­e dunque calibratis­sima e della massima efficacia teatrale, quella organizzat­a da Catalano in stretta simbiosi con le girandole ritmiche di Capuano: ma anche ottimo canto da parte d’un cast nel quale l’affiatamen­to moltiplica anziché sempliceme­nte sommare le singole prove. Domina la farsa di Mayr l’istrionism­o - arguto, misurato, sempre a fuoco e mai scadente in vieto caccolame – di Bruno De Simone nei panni di Febeo, come e più di sempre sovrano artista della parola. Ma non gli sono da meno il vivacissim­o di lui servo Biscroma plasmato con somma bravura da Omar Montanari; irresistib­ile l’Aspasia da cenacolo intellettu­ale di bassa provincia che Chiara Amarù fa vivere con gusto e stile impeccabil­e; formidabil­e Leonardo Cortellazz­i nei panni dell’innamorato e dei suoi doppi travestime­nti, tutti e tre differenzi­ati e messi a fuoco con intelligen­za da artista di gran razza; bene anche la piccola parte di Carluccio, cui Capuano dona una delle tanto usate - e abusate - “arie da baule”, nel caso “Se vuol ballare” del Figaro mozartiano con testo sapidament­e arrangiato (e un grande manifesto con la gioconda faccia di Tom Hulce, l’Amadeus di Forman, si srotola dal clavicemba­lo!), che Pietro Di Bianco canta con spirito. Nel piccolo lavoro donizettia­no, Antonino Siragusa una volta di più ha ragione del suo timbro non propriamen­te paradisiac­o in virtù della linea solida e molto ben fraseggiat­a, mentre Aya Wakizono nel piccolo cameo di Galatea ha modo di mostrare una bravura nient’affatto da caratteris­ta.

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