BYE-BYE BERLIN
Marion Rampal VOCE
Quatuor Manfred
ENSEMBLE
SASSOFONO E CLARINETTO BASSO
Raphaël Imbert
CD Harmonia Mundi 902295
20,20
PREZZO
★★
Canzoni, arie, Lieder di Kurt Weill, Hanns Eisler, Friedrich Hollaender, Alban Berg, Jan Meyerowitz, Arno Billing/ Mischa Spoliansky, e quartetti di Erwin Schulhoff, Paul Hindemith e ancora Weill per respirare l’aria di Berlino nell’ascesa e nella caduta della città che coltivò ogni libertà prima di aver soffocato ogni soffio di vita. Marion Rampal, cantante francese erratica e colta, classe 1980, insieme al conterraneo Quatuor Manfred arricchito dal sassofonista Raphaël Imbert, s’incammina negli anni in cui, a Berlino, tutto era possibile, ogni musica, ogni teatro, ogni azzardo, ogni sperimentazione. E annunciavano migrazioni che avrebbero fatto nascere nuovi mélanges, in altri luoghi e altre lingue, di cui ancora ascoltiamo ancora le conseguenze, nella forma-canzone per esempio. Le tracce sono ben scelte: iniziano con il Kurt Weill berlinese di Mackie Messer e BarbaraSong, il Kurt Weill già in fuga a Parigi di Youkali, pronto alla traversata oltreatlantico che lo porterà a Los Angeles, a scrivere nuovi capitoli della musica di consumo ma alta. Come Brecht del resto, e Meyerowitz, primo direttore dell’ Opera da tre soldi a Parigi e poi autore di colonne sonore, perché il cinema incombeva su tutto, già a Berlino, insieme al jazz. Album acuto e intelligente, questo il problema. Più intelligente che affascinante, perché la voce di Marion Rampal è brillante ma pulita, non ha i colori sporchi della linea che discende da Lotte Lenya, per intenderci, né l’aura fatale e misteriosa che viene da Marlene Dietrich. E gli affondi verso la musica ormai americana di Hollaender (The Ruins of Berlin e Black Market per A Foreign Affair di Billy Wilder, e Falling in Love again, versione inglese
Ich bin von Kopf da L’Angelo Azzurro di von Sternberg), non la trovano molto carica di vibrazioni “nuove” e la mostrano un po’ in sofferenza per non avere la pelle nera. Il Quatuor Manfred, fondato nel 1986 da quattro musicisti di diverse pari del mondo e cultura finale francese, ha grandi qualità di suono e di fraseggio, ed esegue le stazioni di musica pura più con deferente rispetto che “dramma”. A graffiare resta il sax di Imbert, e molte corde di quel mondo tormentato restano ferme.