MONTEVERDI VESPRI DELL’ASSUNTA
INTERPRETI Solisti della Cappella
Marciana
DIRETTORE Marco Gemmani
CHIESA Basilica dei Frari ★★
“È tempo di interrogarsi sullo stato di salute delle Cappelle musicali che operano nei nostri principali luoghi di culto, eredi di una tradizione oggi raramente riconoscibile”
Il 19 maggio 1518 la grande pala dell’ Assunta del Tiziano viene collocata dove ancora oggi si trova: alta sul Presbiterio, dietro l’Altar maggiore della veneziana Chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari. Il 15 agosto del 1640, festa dell’assunzione di Maria, è eseguito qui il cosiddetto Vespro dell’Assunta di Claudio Monteverdi. “Pareva che s’aprissero le cateratte dell’harmonia celeste et ella diluviasse da i chori angelici”, racconta un testimone del tempo. L’occasione celebrativa appare dunque imperdibile e già un’ora prima dell’inizio una folla molto composita, di veneziani e turisti, di devoti, appassionati e curiosi, attende che il portale della Chiesa si apra. Ascoltare Monteverdi nel luogo dove la sua musica è risuonata e dove il Maestro è sepolto rimane emozione impareggiabile. I Solisti della Cappella Marciana - 14 cantori, 2 violini, 1 tiorba, 1 organo, diretti da Marco Gemmani prendono posto alla sommità del Coro dei Frati collocato al centro della navata mediana e dominato da due organi settecenteschi. Tutto è pronto per ascoltare quel Vespro, del quale non possediamo un’edizione di riferimento e che viene qui ricostruito, con inevitabile arbitrarietà, scegliendo tra le musiche pubblicate postume nel 1650 dall’editore veneziano Alessandro Vincenti. L’acustica della vastissima Chiesa è sfuggente, dispersiva; i Cantori, riuniti lì in alto, sembrano aver sottovalutato il rischio. Le loro voci sono sovrastate dalla potenza dell’organo, mentre violini e tiorba si percepiscono a fatica. Intervallati da brevi episodi di Canto Patriarchino, diffuso un tempo tra i Patriarcati cristiani di Aquileia, Grado e Venezia, si susseguono, tra altri numeri del Vespro, Laetatus sum, Nisi Dominus, Lauda Jerusalem a 5 voci, Sancta Maria succurre per 2 soprani, fino al conclusivo Magnificat a 8 voci e 2 violini. Ma diventa difficile distinguere un episodio dal precedente e dal successivo: il passo è concitato, le limpide entrate richieste dalla polifonia ai diversi registri vocali rimangono indistinte, mentre i solisti stentano ad emergere e le differenze di dinamica e fraseggio sono penalizzate da una dizione confusa (“pareva che diluviasse da i chori angelici”). Il pubblico inizia a smarrirsi, l’effetto di inebriante suggestione che si raggiunge quando le voci si rincorrono e si fondono nello spazio rimane un desiderio insoddisfatto. Al di là della circostanza non felice, è tempo di interrogarsi sullo stato di salute delle Cappelle musicali che operano nei nostri principali luoghi di culto, eredi di una tradizione oggi raramente riconoscibile.