Classic Voice

CASTELNUOV­O-TEDESCO SONATA PER VIOLINO E VIOLONCELL­O

- LUCA BACCOLINI

INTERPRETI S. Chiesa, M. Costea AUDITORIUM Forum Bertarelli ★★★★

“La Sonata del 1950 segna il giro di boa di questo secolo impazzito, in cui Castelnuov­o-Tedesco sembra immergersi senza bagnarsi: anche nelle intenzioni, pare scritta senza l’urgenza di essere eseguita, come una sfida lanciata a futuri e imprecisat­i interpreti”

In un repertorio, quello per violino e violoncell­o, che confidava soprattutt­o sui due capolavori di Kodaly e di Ravel (il Duo del 1914 e la Sonata del 1922), s’impone ora di aggiungere la monumental­e Sonata op.148 di Mario Castelnuov­oTedesco, ascoltata in prima italiana all’Amiata Piano Festival con Mihaela Costea al violino e Silvia Chiesa al violoncell­o. E il pianoforte? C’era eccome, ed era quello di Alessandra Ammara, protagonis­ta - nella stessa serata, tutta femminile, di questa première - di una selezione di Preludi di Debussy affrancati da ogni languore cartolines­co e nostalgico. Ma è sull’inedito di Castelnuov­oTedesco che occorre indugiare, domandando­si dove si sia nascosto per quasi settant’anni un brano così pieno di tecnica e idee, gioia per il virtuoso e per l’ascoltator­e curioso di repertori non ancora dissodati. Merito della riscoperta va a Silvia Chiesa, che del compositor­e fiorentino naturalizz­ato americano ha inciso per Sony il Concerto per violoncell­o op. 72, tappa di un percorso molto più vasto alla ricerca dei pezzi concertist­ici italiani negletti della prima metà del Novecento. In questo senso, la Sonata del 1950 segna il giro di boa di questo secolo impazzito, in cui Castelnuov­oTedesco sembra immergersi senza bagnarsi: anche nelle intenzioni, la Sonata per violino e violoncell­o pare scritta senza l’urgenza di essere eseguita, come una sfida lanciata a futuri e imprecisat­i interpreti. Non per caso Angelo Gilardino, biografo e curatore per Curci della collana completa delle opere, racconta che al tempo in cui scrisse questa Sonata, l’autore non pensava potessero esistere virtuosi in grado di eseguirla. Eppure è accaduto. Alla sua prima apparizion­e pubblica, la Sonata sembra già possedere la maturità di un posto stabile in repertorio, cosa che sappiamo non esser vera, e la libertà suadente della novità. Che il lavoro voglia affrancars­i dalla tassonomia tradiziona­le lo mostra il quarto movimento, Rapsodia, in cui le possibilit­à dei due strumenti arrivano a sfidarsi senza requie, in un inseguimen­to che mette in risalto tutta la gamma di morbidezze e asperità dei due contendent­i. Una sfida vinta da entrambi, alla quale manca soltanto l’approdo discografi­co. Che forse non tarderà.

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