PLAYLIST
Angelo Foletto
Ve lo siete perso. Non vogliamo sapere perché: sicuramente c’erano delle ottime ragioni - magari di poco interesse artistico - nonostante oramai la copertura mediatica immediata sia una ragnatela da cui è difficile cavarsela comunque. Niente Concerto di Capodanno televisivo, niente auguri dalla Sala d’oro del Musikverein. Quindi v’è rimasta una voglia segreta di una coda musicalmente “natalizia”. Ma non la bicentenaria “Stille Nacht”. Per cambiare un-due: un giro di polka, la danza che ha condiviso e invidiato le sorti glamour del valzer, vale l’inizio d’anno. Anche perché, a ben ripassarne le vicende non è che si parli d’una danza dalla storia meno importante. Anzi, nella famiglia Strauss la “giovane” danza di origine polacco-boema (la sua nascita è collocata attorno al 1830, e nel 1835 se ne trovano tracce ufficiali scorrendo il repertorio di alcune bande militari praghesi) entrò con prepotenza. Il catalogo di Johann Strauss figlio è per un terzo (160 su 479) dedicato alla vitaminica danza in 2/4 che divenne subito molto popolare poiché mescolava passi di valzer e galop, inducendo a un gioco di coppia meno formale e (anche fisicamente) stilizzato. Nessuno potrebbe contestare se a imitazione del celebre monumento di Vienna come “padre/ re del valzer”, a Praga Strauss junior fosse stato celebrato con un’analoga statua come “padre/re della polka”. Di certo, l’origine contadina della danza è sottolineata dalla robusta presenza nel repertorio popolare ma anche in quello colto. Un sommario/ immaginario viaggio nella storia della polka non di strada né di paese per forza prende le mosse dal catalogo lussuoso della famiglia viennese. Difatti fin dall’esordio del 31 dicembre 1939 - eh, sì: il primo Neujahrskonzert fu la sera prima - Clemens Krauss inserì nell’elenco dei pezzi la Annen polka, la polka veloce Leichtes Blut e la Pizzicato-Polka di Josef. Leichtes Blut op. 319 fu eseguita per la prima volta dal Johann figlio nel 1867 ma nel frattempo la danza - che natural- mente fu coniugata anche dal concorrente Lanner - stava anche approdando all’“elevazione di grado”, col contributo decisivo degli autori che la danza avevano in casa. E che non la confondevano, come poi è talvolta avvenuto, con la “polacca”, comunque di famiglia. La ritroviamo in vari lavori di Zdenek Fibich, di Antonín Dvorák e di Bedrich Smetana, sia per orchestra sia in organici da camera - ad esempio come terzo tempo di quartetti: cosa che in seguito farà anche Sostakovic e altri autori “slavi” - e l’ascolto è interessante proprio perché questi compositori si pongono il problema di unire il dilettevole all’utile (ovvero la tutela delle radici “autentiche” e popolari della danza stessa). Anche se l’operazione per così dire etnomusicologica è molto antidogmatica e libera. Come ad esempio dimostrano le numerose raccolte pianistiche in tempo di polka di Smetana (che ne fa anche un buon uso teatrale ne La sposa venduta) o la stessa inclusione nelle dvorakiane Danze Slave: nelle quali l’humus proletario e d’uso non è di ostacolo all’interpretazione in chiave borghese. Nell’acquisizione occidentale, francese soprattutto, poi di lì in quella americana che distinguerà il congiungimento con la musica popolare in Sudamerica e quello con jazz negli States (irresistibile esempio europeo colto è il secondo tempo della Jazz suite n. 1 di Sostakovic). Presa come danza pura la polka ammicca in molte altre composizioni francesi da Rossini a Offebanch. La riprendono più volte Stravinskij e Sostakovic, anche nelle colonne sonore degli anni giovanili, ad esempio in Solotoi Wek/L’età dell’oro; entrambi indotti dalla linea melodica malinconica e il profilo ritmico incalzante. Febbrile ma con calma, nella stravinskiana Circus polka scritta per una coreografia del corpo di ballo di elefanti del Circo Barnum.
Non si può finire senza un Casadei filologico: quante volte abbiamo ascoltato, magari ballato, un’autentica polka da balera?
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