Chiamata alle arti
L’Art Bonus, sistema inventato dai governi di centrosinistra per favorire il finanziamento privato della cultura, sta funzionando. Più alla Scala che nei musei, più a Nord che a Sud
La chiamata alle arti sta funzionando? A distanza di alcuni anni dall’entrata in vigore e dopo la sua progressiva estensione, che giudizio si può dare sull’efficacia dell’art bonus?
Alla fine del 2018, quasi 10mila mecenati hanno utilizzato questo strumento di natura fiscale che concede un credito d’imposta del 65% dell’importo donato. In totale, la cifra raccolta per musei, beni culturali e spettacolo dal vivo ha superato i 300milioni di euro. Oltre 1.500 sono stati gli enti che ne hanno beneficiato per circa 1.900 interventi su tutto il territorio nazionale.
Se i numeri assoluti sono senza dubbio importanti, vi sono tuttavia delle criticità da rilevare. Ad esempio, l’eterna questione del divario Nord/ Sud del Paese contraddistingue anche i risultati dell’art bonus, capace di fare affluire tante risorse soprattutto in Lombardia (circa il 40% del totale), Piemonte e Veneto e poche nelle regioni del Meridione. Perché se è vero che poco più della metà dei mecenati sono privati cittadini e diffusi in maniera capillare, il grosso delle risorse viene però movimentato da pochi soggetti, come le fondazioni di origine bancaria, presenti soprattutto al Nord e dotate di grandi patrimoni da investire in cultura: non è un caso che nelle tre regioni prima richiamate risiedano le prime quattro fondazioni per patrimonio. Inoltre, alcune istituzioni culturali si sono attrezzate assai meglio di altre per attrarre risorse, adottando significative strategie di fundraising: i musei pubblici hanno racimolato una cifra che si aggira intorno ai 20milioni di euro, che è l’importo che in media raccoglie ogni anno La Scala.
Lo strumento quindi può funzionare e ha grandi margini di un maggiore utilizzo. Si tratta di un meccanismo semplice, favorito dalla presenza di un sito internet ricco di informazioni. L’art bonus si configura come una forma di intervento pubblico indiretto: produce sì ammanchi nelle casse dello Stato ma ha il pregio di lasciare che siano le due parti - mecenate ed ente beneficiario - a “incontrarsi”, senza ricorrere allo Stato (commissioni, parametri, burocrazia) per decidere chi e quanto premiare. In aggiunta stimola le istituzioni culturali a darsi da fare per cercare le risorse. Considerando che la normativa italiana prevede anche altri strumenti per consentire il coinvolgimento dei privati nello sviluppo del settore culturale (sponsorizzazioni o partnership pubblico-private di vario tipo) sarebbe forse il caso di promuoverli con la stessa attenzione e la stessa copertura mediatica riservate all’art bonus.