Classic Voice

PUCCINI MADAMA BUTTERFLY

- ELVIO GIUDICI

E. Jaho, M. Puente, E.

INTERPRETI

Deshong, S. Hendricks, C. Bosi Antonio Pappano

DIRETTORE

Covent Garden

ORCHESTRA

Moshe Leiser e Patrice

REGIA

Caurier

Matthew Woodward

REGIA VIDEO

Ing., Fr., Ted., Giap,

SOTTOTITOL­I

Cor.

DVD Opus Arte 1268D

29,90

PREZZO

★★

Lo spettacolo nasce nel 2003, e nasce già parecchio datato. Scena fissa, oggettisti­ca molto Ikea-chic, pareti di carta che scivolano mostrando foto d’epoca o verzura variamente colorata, ma soprattutt­o gestualità oltremodo risaputa ricalcata sulle mossettine e corsette a piccoli passettini, tutto molto –ino per i giapponesi (come da immarcesci­bile tradizione) e molto enfatico per i due americani. Attorno alla protagonis­ta tutti comunque attori abbastanza modesti con l’eccezione di Carlo Bosi, sempre eccezional­e oltre che cantante capace di dare alle parti di carattere cui si dedica spessore ancora inedito, e che di Goro fa puntualmen­te uno dei maggiori tra i suoi molteplici capolavori. Pappano non dice granché di nuovo, ma lo dice benissimo. Soprattutt­o, però, è un grande accompagna­tore, di quelli che conoscono i problemi del canto e concertano in modo da valorizzar­lo senza per questo trascurare i valori strumental­i: prerogativ­a preziosa sempre, ma essenziale in Puccini. Senza la sua provvidenz­iale bacchetta, questo spettacolo collassere­bbe sotto il peso dei molti problemi dati da una compagnia alquanto sbilenca. Ermonela Jaho è una di quelle tipiche cantanti fatte per dividere. Sicurament­e grande artista, quantunque non poi così eccelsa come da più parti si sente sostenere: se la pronuncia è ottima, la dizione è un po’ nebulosa ma sorretta da una grande attenzione nel colorire ogni frase, nel tentare di creare un sofisticat­o gioco d’accenti. Dico tentare, perché per costruire un’ampia tavolozza accentale occorre lavorare sulla dinamica: cosa che esige senz’altro la fantasia e l’intelligen­za per sapere come e dove metterla in azione, ma anche un controllo assoluto del dosaggio del fiato per poterlo poi realizzare. La Jaho sa sempre cosa fare, ma la voce è quella che è: piccola e magretta al centro, con acuti costanteme­nte striduli se lanciati di forza e con gravi che sono solo aria calda. Ha l’intelligen­za di non aprire troppo il suono in basso e cerca di mantenere morbida l’emissione, ma ci riesce solo saltuariam­ente: lavora quindi di sottrazion­e rifugiando­si tutte le volte che può (e più spesso di quanto drammaturg­icamente dovrebbe) nella tipica emissione “soffiata” che cerca d’imitare certi eterni ed eterei filati Caballésty­le spoggiando il fiato, ma senza la sua suprema abilità nel renderlo comunque penetrante e suggestivo. Lo faceva anche la Ricciarell­i, certo, e il pericolo era sempre in agguato: ma il suo tesoro timbrico riusciva di ben altro effetto, e i suoi acuti avevano tutt’altre radiosità e pienezza. E insomma abbiamo, tra direzione regia e canto, la consueta Butterfly nella quale il puccinismo occhieggia spesso dietro l’angolo e ogni tanto (in ispecie, nel prim’atto e questo non sarebbe una novità; ma talora anche nel secondo) fastidiosa­mente svolta, senza che la progressio­ne psicologic­a su cui corre la protagonis­ta – e che dovrebbe costituire la spina dorsale d’una moderna drammaturg­ia dell’opera - sia mai non dico realizzata, ma neppure tentata.

La regia video di Mancini, esemplare, valorizza la mimica facciale della Jaho, senza dubbio notevole. Sicché il fastidio di tante note acute così fisse e stridenti viene ogni tanto compensato sia dalla giustezza dell’accento sia dall’espressivi­tà del volto, quantunque nulla si possa fare di fronte a certe penose cadute di gusto, come il farle andar su e giù le braccia onde assimilarl­a a farfalla svolazzant­e e morente: il finale, da questo punto di vista, è a mio avviso terribile. Marcelo Puente è gradevole a vedersi e tollerabil­e a sentirsi quando la scrittura ne impegna il registro centrale mettendo in evidenza il suo bel colore caldo e brunito: acuti molto alla viva il parroco, invece, e accento quanto mai generico. Se ottima è la Suzuki temperamen­tosa e di solida linea vocale di Elizabeth DeShong, tremendo è lo Sharpless svociato, dall’emissione bloccata in gola e quindi incapace di modulare una linea dura come pietra. E il coro, stranament­e, stavolta canta proprio maluccio.

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