BLITZSTEIN
THE CRADLE WILL ROCK (LA CULLA DONDOLERÀ)
C. Burchett, A.
INTERPRETI
Babcock, G. Costa-Jackson, M. Boehler, J. Hopkins, K. Jameson
John Maugeri
DIRETTORE
The Opera Saratoga
ORCHESTRA
2CD Bridge 9511
35
PREZZO
★★★★★
Fu con questa partitura che Marc Blitzstein (19051964) rivelò negli anni della Depressione il proprio bagaglio tecnico e artistico che lo iscrisse tra i protagonisti della cultura del New Deal rooseveltiano. La culla è quella della libertà, ritenuta all’epoca in consistente pericolo. L’atto unico di cui si compone l’opera - scritta nel 1936 - si articola in dieci scene rappresentative d’altrettanti aspetti della middle class americana e dei suoi sempre più difficili rapporti con la protervia e la corruzione dei cosiddetti poteri forti: in una situazione generale riassunta dall’imperitura oscenità del motto “questa guerra si fa per por fine a tutte le guerre”, e si sa come poi finisce. Orson Welles, appena reduce dal suo chiacchieratissimo e genialissimo Macbeth ambientato nei Caraibi del voodoo, aveva preparato la messinscena, ma all’ultimo minuto il Federal Theater Project, che aveva sponsorizzato lo spettacolo, ritirò il proprio appoggio: imponendo che attori e maestranze scioperassero. Blitzstein e Welles trovarono allora un altro teatro vuoto, e per aggirare l’ostacolo posto dallo sciopero piazzarono i cantanti tra il pubblico in sala: ciascuno s’alzava uno dopo l’altro senza però spostarsi, e con l’accompagnamento del pianoforte montato sul palcoscenico fecero ascoltare le dieci scene dell’opera, accolte da successo trionfale. Tutta la vicenda, inserita nel più vasto contesto della vita teatrale e più in generale artistica dell’epoca, è benissimo descritta nel bel film di Tim Robbins: da noi intitolato Il prezzo della libertà, ma che in originale conserva il titolo del lavoro di Blitzstein. Una carriera quindi difficile fin dall’inizio, la sua. Sia per le ostilità che sempre lo circondarono (fulminante e istruttiva la sintesi data da lui stesso delle tre circostanze contro cui ebbe sempre a confrontarsi: l’essere contemporaneamente ebreo, comunista e omosessuale), ma che non gli impedirono come giustamente ha scritto Aaron Copland - d’essere “il
primo compositore americano a far fiorire un linguaggio musicale da radici americane”. Linguaggio che se troverà il proprio apice in Regina (il suo capolavoro ma anche una delle vette maggiori del teatro musicale moderno), è già straordinariamente personale in questa sua partitura: variatissima, estremamente fascinosa ma soprattutto d’immediata e totale comunicativa teatrale la strumentazione, creatrice di quelle tipiche atmosfere piazzate nell’esatto crocevia tra opera, musical, teatro di parola, che caratterizzano gran parte del teatro musicale americano, terreno tanto fecondo quanto da noi colpevolissimamente ignorato. Ascoltiamo questi due cd: sono suonati e cantati benissimo, e quel quid misterioso e coinvolgente che si chiama “teatro” esplode direi a ogni nota, confermando in Marc Blitzstein una delle voci più interessanti della musica novecentesca (e ancora una volta: che rabbia, ripensare al sussiegoso, scandolezzato rifiuto che i vertici della Scala opposero alla reiterata proposta di tal Leonard Bernstein di mettere in scena Regina da lui giustissimamente indicata quale capolavoro, affidandone la parte protagonista – quella che sullo schermo ha il volto indelebile di Bette Davis… - a Maria Callas).