BRAHMS/SCHÖNBERG
QUARTETTO CON PIANOFORTE N. 1 OP..25 WEBERN/SCHWARZ LANGSAMER SATZ BACH/WEBERN FUGA (RICERCATA) A 6 VOCI Paavo Järvi DIRETTORE della Radio di Francoforte
ORCHESTRA
CD Naïve 22186 05447
d. d.
PREZZO
★★★★
Un Brahms cameristico orchestrato da Schönberg, un Webern cameristico trascritto per orchestra d’archi da Schwarz e un Bach “speculativo” trascritto da Webern: il contenuto di questo bel disco inciso da Paavo Järvi a capo dell’Orchestra della Radio di Francoforte, sembra formare il programma di un concerto. Di un bel concerto, occorre dire, che è tale non solo per l’ineccepibile impaginazione ma anche e soprattutto per la qualità della musica.
Dei tre lavori quello che colpisce maggiormente è il primo, il Quartetto con pianoforte in sol minore n. 1 op. 25 di Brahms. L’orchestrazione di Schönberg ha infatti un duplice pregio. Da un lato scatena in una forma assai più esplicita quanto Brahms aveva compresso in una forma più severa, come se l’intervento dell’orchestratore, che pure a severità e rigore non era secondo a nessuno, facesse volare estroverso e affettuoso un sentimento pronunciato come a bocca chiusa dall’amatissimo compositore di Amburgo: figurarsi poi in un passo leggero già di suo come il Rondò all’ungherese che costituisce il tempo conclusivo dell’opera. Dall’altro lato, l’orchestrazione del viennese è talmente “brahmsiana” che sembra di ascoltare una Sinfonia di quest’ultimo, il colore della cui orchestrazione arriva così scuro non per una precisa scelta timbrica a monte ma come naturale conseguenza della densità armonica della scrittura brahmsiana. L’ispiratissimo Langsamer Satz di Webern, a sua volta, non perde la tensione lirica che lo caratterizza nella trascrizione per archi di Schwarz, anche se la materia arriva all’ascoltatore come “ammorbidita”, meno pungente e scabra di quanto non fosse l’originale. La celeberrima trascrizione weberniana della Fuga (ricercata) a 6 voci dall’“Offerta musicale” di Bach è brano invece che “webernizza” una materia del resto così universale e astratta da prestarsi a ogni sorta di rielaborazione, e per ogni sorta di organico. Ascoltando il tutto, la qualità esecutiva garantita da Järvi e dalla sua orchestra passa in secondo piano. Non perché non siano esecuzioni di qualità, anzi; semplicemente, perché il direttore estone non sovrappone ulteriori tagli esecutivi a una materia per così dire già “oggettivizzata” nell’opera dei trascrittori/orchestratori. Il suono è bello, profondo, caldo, rotondo ma senza smancerie, il canto è ben profilato e la gamma dinamica è decisamente sfruttata in ampiezza, senza però che vi sia nulla di “romantico” in tale sapiente dosaggio. Del resto Paavo è interprete serio, preparato, attento allo stile. Non ha bisogno di spettacolarizzare nulla.