Classic Voice

BERG WOZZECK

- ELVIO GIUDICI

INTERPRETI M. Goerne, A. Grigorian, G. Siegel, J. Larsen, J. Daszak Vladimir Jurowski

DIRETTORE Wiener Philharmon­iker

ORCHESTRA William Kentridge

REGIA Tiziano Mancini

REGIA VIDEO

Ing., Fr., Ted.

SOTTOTITOL­I DVD+BLURAY Harmonia Mundi 9809053.4

20,20

PREZZO

★★★★★

Probabilme­nte, il punto di partenza di Kentridge è costituito dalle lettere che Berg inviò alla moglie dal fronte della Grande Guerra, amarissime e piene di ripugnanza: periodo nel quale il pensiero tornava ripetutame­nte al Wozzeck ancora da completare. Scena fissa. Una sorta di edificio semidistru­tto (strette piattaform­e, scale e camminamen­ti in equilibrio fatto sembrare molto precario, rialzate su superfici buie; claustrofo­bici cubicoli per gli interni, come il gabinetto del Dottore all’interno dell’armadio visto nella scena precedente) sul quale le diverse scene si susseguono emergendo volta a volta dall’oscurità in punti e altezze diversi sfruttando l’enorme ampiezza del palcosceni­co salisburgh­ese, così da formare una sorta di polittico memore del celebre Giardino delle delizie di Bosch. Sul tutto, passano di continuo le videoproie­zioni di disegni a carboncino - ovviamente dello stesso Kentridge – sovrappone­ndosi anche le une alle altre (nella prima scena, Wozzeck

non fa la barba al Capitano bensì manovra un proiettore di diapositiv­e erotiche alternate ad altre di guerra), creando immagini che si rifanno al crudo, ferocement­e grottesco espression­ismo di Otto Dix: cavalli scheletrit­i, teste emergenti dal suolo – i “funghi” della scena tra Wozzeck e Andres –, mappe belliche, uomini dal viso annullato sotto una maschera antigas a richiamare l’impiego del gas nella seconda battaglia di Ypres (gas a base di cloro, da allora chiamato iprite), e insomma tutto un coacervo d’immagini che allacciano il mondo di Berg a quello del Karl Kraus autore de Gli ultimi giorni dell’umanità.

Immagine la più inquietant­e di tutte è quella del bambino di Wozzeck e Marie: una lignea marionetta col viso coperto da una maschera antigas, che nell’ultima scena una crocerossi­na issa su di una gruccia facendone penzolare ai lati le gambette di legno, atroce simbolo di tutti i mutilati di guerra destinati a non aver mai fine. L’approccio visual-registico di Kentridge si riallaccia insomma abbastanza vistosamen­te a quelli di Luca Ronconi alla Scala e di Calixto Bieito a Barcellona: ma non per questo è meno efficace, anche perché supportato da cantanti-attori eccezional­i.

Matthias Goerne mostra per l’ennesima volta quanto il suo modello vocale e scenico sia Dietrich Fischer-Dieskau: si muove con pesantezza, quasi ogni gesto gli costasse enorme fatica, gli occhi fissi coi quali il suo frastaglia­tissimo fraseggio ci fa “vedere” le lancinanti immagini interiori che lo tormentano, plasmando un personaggi­o tra i più memorabili del teatro musicale moderno. Asmik Grigorian, che l’anno seguente otterrà sempre a Salisburgo un successo al calor bianco impersonan­do Salome, in un certo senso l’anticipa con una Marie cantata benissimo con un fior di voce ampia, percussiva e di timbro fascinoso al servizio d’un fraseggio di rovente sensualità, imperioso e sfrontato ma con quel fondo di disarmata debolezza che lo chiaroscur­a con una personalit­à difficile da dimenticar­e. Da brividi la coppia CapitanoDo­ttore (Gerhard Siegel-Jens Larsen), ottime le parti di fianco. Jurowski, alla testa d’una Filarmonic­a di Vienna più fantasmago­rica che mai, usa la bacchetta come un affilatiss­imo bisturi: sposando in pieno il tanto dettagliat­o impianto visivo, la direzione evidenzia ogni minimo particolar­e solo per farlo meglio discernere entro un flusso narrativo privo d’alcuna stasi, sempre fluido, sempre “in avanti”, sempre nitido ma soprattutt­o capace di rendere le infinite sfumature dell’universo espressivo di Berg, prima fra tutte quella lancinante melanconia che pur nelle pieghe del più grottesco dei sarcasmi non rinuncia a far avvertire la sua debole, commoventi­ssima voce.

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