STAUD DIE WEIDEN
DIRETTORE Ingo Metzmacher
REGIA Andrea Moses
OPERA Wiener Staatsoper ★★★★
“Un’opera concepita come un viaggio nel cuore tenebroso dell’Europa, un continente che soffre di paura, lacerato dalla violenza, popolato da fantasmi del passato,
dominato da un crescente sfaldamento dei legami sociali”
L’anno operistico si è chiuso a Vienna con la nuova opera di Johannes Maria Staud Die Weiden (i salici). Il libretto di Durs Grünbein attingeva al racconto di Algernon Blackwood The Willows (che il compositore austriaco considera come “una delle più belle storie horror di tutti i tempi”), a Cuore di tenebra di Joseph Conrad, alla Maschera di Innsmouth di Howard Phillips Lovecraft. Storie di viaggi misteriosi, di presenze demoniache, fuse insieme nella vicenda di un viaggio in canoa su un grande fiume (il Danubio) intrapreso da due innamorati, Lea e Peter. Quel paesaggio, all’inizio accogliente e pittoresco, acquistava via via contorni minacciosi, che davano i brividi, per gli strani eventi che incorniciava: un cadavere trasportato dalla corrente, l’incontro con un’altra coppia di giovani, Edgard e Kitty, e lo strano gioco di attrazioni erotiche (e omoerotiche) che si generavano tra loro, il surreale invito a cena della famiglia di Peter, con il suo contorno di rituali borghesi. In mezzo a quelle foreste fluviali ricoperte di salici, Lea aveva delle allucinazioni, i partecipanti a un comizio elettorale razzista si trasformavano in uomini-carpa, creature demoniache con teste di pesce (come gli abitanti di Innsmouth nel romanzo di Lovecraft), Peter veniva legato nudo sulla canoa prima di trasformarsi in pesce, mentre Edgard e Kitty morivano risucchiati dalle onde in una terribile tempesta. In questa tragica avventura (che ricordava anche il film Un tranquillo weekend di paura), Staud è passato dall’animale simbolo dell’antilope, nella sua opera precedente che denunciava gli eccessi del capitalismo, alla carpa, creature ansimante e spaventata, simbolo di ansia, in un’opera concepita come un viaggio nel cuore tenebroso dell’Europa, un continente che soffre di paura, lacerato dalla violenza, popolato da fantasmi del passato, dominato da un crescente sfaldamento dei legami sociali. La musica si dipanava come un grande flusso, con un materiale che riprendeva quello di Stromab, pezzo per orchestra del 2017, come uno studio preparatorio: un materiale che veniva ripreso, sviluppato, sottoposto a continue metamorfosi, creando una densa trama, nebulosa, dipanata con grande senso drammatico da Ingo Metzmacher. Questa trama si mescolava con sinistri sfondi corali, si alternava con squarci ballabili, un po’ dixieland un po’ klezmer (con le stesse formule armoniche e cadenzali usate anche nel party di Die Antilope) suonate da un piccolo ensemble sulla scena, e con citazioni wagneriane nella scena del matrimonio di Edgar e Kitty. La parte elettronica arricchiva il suono orchestrale con respiri ansimanti e sinistri gocciolamenti, e le parti vocali con suoni acquatici che trasformavano il canto in uno strano gargarismo. Ottimo il quartetto dei protagonisti guidato dal mezzosoprano israeliano Rachel Frenkel, una Lea dalla voce calda e luminosa, affiancata dal basso Tomasz Konieczny (Peter), dal tenore Thomas Ebenstein (Edgar), dal soprano Andrea Carroll (Kitty). Nel cast spiccavano anche Katrina Galka e Jeni Houser, nei panni delle due pestifere sorelle di Peter, Fritzi and Frantzi. Alcuni cliché presenti nel libretto venivano amplificati dalla regia di Andrea Moses, che rievocava in maniera un po’ ossessiva, e con una profusione di simboli ebraici, l’Olocausto e i crimini del nazismo, in un’opera che intendeva essere una allegoria dell’Europa di oggi, e il cui progetto nasceva dalla crisi dei rifugiati del 2015. Ottimi invece il gioco di movimenti sulla scena, la recitazione dei personaggi, il palcoscenico girevole che creava una dimensione fluida e instabile, il passaggio della canoa che attraversava la scena sospesa a mezzaria, le masse che si muovevano a ritmo di danza nelle festose scene corali, i video che mostravano i salici lungo il fiume, i panorami della Wachau, le immagini del bosco riflesso e deformato nell’acqua.