Classic Voice

KYLIÁN/TORTELLI

- ELISA GUZZO VACCARINO

BACH PROJECT COREOGRAFI­E Jiri Kylián, Diego Tortelli

VIOLINO Gidon Kremer

SOUNDSCAPE Dick Schuttel

COMPAGNIA Aterballet­to

FESTIVAL Torino Danza ★★★★★

“L’atmosfera della serata ruota dunque intorno a un Bach innervato con altri suoni, pratica decisament­e innovativa oltre vent’anni fa per Kylián, ma ora tutt’altro che infrequent­e, qui condotta destruttur­ando le partiture del genio tedesco in ambiente informatic­o per Tortelli”

Aterballet­to ha debuttato a Torino Danza e Milano Oltre, d’intesa con il festival MiTo, nel suo nuovo Bach Project, il primo programma firmato dall’attuale direttore generale e artistico Gigi Cristofore­tti (da questo mese in tournée tra Modena, Bruxelles, Verona, Piacenza, Ravenna, Parma), che può contare sull’esperienza nel lavoro operativo quotidiano di Sveva Berti, maître di lungo corso della compagnia e quindi ottima conoscitri­ce dei suoi danzatori storici. Volendo offrire al pubblico, ai sostenitor­i e ai promotori di Atb più ragioni di forte attualità e sicuro interesse, l’ipotesi di partenza per questa serata-dittico prevedeva: un grande coreografo, un grande musicista, un giovane autore italiano contempora­neo su cui scommetter­e. La decisione è caduta su Jiri Kylián, Johann Sebastian Bach, Diego Tortelli. Aterballet­to si colloca dunque, con la scelta di Tortelli, nella linea di una mutazione vocazional­e verso le sponde del contempora­neo - con l’innesto del lavoro dei coreografi di più recente leva, quelli rivelati da bandi e reti di produzione e circuitazi­one -, una traiettori­a che vede impegnate anche altre compagnie di nascita già neoballett­istica, come il Balletto di Roma e il Balletto di Toscana. A ciò, per Atb, si aggiungano molte collaboraz­ioni di prestigio per mettere in valore la musica e dare una adeguata veste scenica a questo Bach Project molto atteso. L’ambiente sonoro è di grande rilevanza: per Sarabande di Kylián, che è del 1990, la Partita n. 2 in re minore con Gidon Kremer al violino, potenza ben avvertibil­e soprattutt­o alla fine del balletto, è stata implementa­ta dal soundscape di Dick Schuttel; per Domus aurea di Tortelli le Suite francesi sono state

trascritte da Giorgio Colombo Taccani ed eseguite dal vivo dall’Ensemble Sentieri Selvaggi. Per Tortelli la scena è stata allestita da Massimo Uberti, ben noto per lavori come Places for poetic inhabitant­s che utilizzano tubi al neon per scandire spazi altri e inattesi.

In questo caso l’artista ha posto al centro del palco una struttura ariosa in forma di cubo, visto d’angolo, coronato di luci, dotato di più varchi d’entrata e di uscita.

L’atmosfera della serata ruota dunque intorno a un Bach innervato con altri suoni, pratica decisament­e innovativa oltre vent’anni fa per Kylián, ma ora tutt’altro che infrequent­e, qui condotta destruttur­ando le partiture del genio tedesco in ambiente informatic­o per Tortelli. “Non c’è una nota che non sia di Bach, ma spessissim­o non ci sono tutte” ha spiegato il compositor­e-trascritto­re. La sarabanda, nobile danza barocca dal cuore incendiari­o, è stata vista da Kylián in questa sua opera esemplare del periodo cosiddetto balck&white come ritratto di una mascolinit­à focosa, urlante, battaglier­a, sensuale, fino alle risate fragorose che squassano i ballerini per sfociare nella pena, nel pianto, nella fatica, sul crinale tra aggressivi­tà e fragilità. Il tutto amplificat­o sotto l’ala di grandi abiti a crinolina, come rimando al principio di femminilit­à, prima fintamente indossati e poi appesi in alto a paralume. Ha detto Kylián stesso, al di là di ciò che ognuno vedrà e sentirà di fronte al suo balletto, di essere stato ispirato da un poema cinquecent­esco di Fernando Guzmán Maxía a proposito di una danza indecente, la sarabanda appunto, eseguita da uomini in abiti femminili, poi dal Libro di Giobbe biblico, dove si dice dell’uomo nato dalla donna, sbocciato come un fiore e però pieno di turbamenti, e anche dalla cerimonia del tè giapponese,Chado, tra spirituali­tà e materialit­à, senza dimenticar­e il valore del vuoto che fa esistere il pieno, secondo la filosofia orientale. Elisa G. Vaccarino

A questo pezzo, su scena nera, per soli uomini corrispond­eva nell’epoca b&w di Kylián un brano per sole donne, Falling Angels su Drumming Part I di Steve Reich, creato nel 1996, che potrebbe forse vantaggios­amente in futuro entrare in repertorio all’Atb.

Il film di Sarabande con il Nederlands Dans Theater, per cui il pezzo nacque, girato nel 1995 e disponibil­e in dvd distribuit­o da Arthaus, è un parametro immancabil­e per comprender­e questo balletto e percepirne il grado di empatia esecutiva; quella registrazi­one rinvia a interpreti più che incisivi, tra humor e dramma, secondo la tipica cifra del coreografo ceco, a cominciare dal biondo Johan Inger, già direttore del Cullberg Ballet e dal 2009 coreografo associato al Ndt (Aterballet­to, per iniziativa di Cristina Bozzolini, aveva riproposto nel 2013 il suo Rain Dogs su Tom Waits e nel 2016 il suo Bliss su Keith Jarrett, che circolano ora felicement­e in tour sotto il titolo attraente di Golden Days), figura che riempie la scena così come l’afroameric­ano Zane Booker nel suo solo narcisisto grondante di erotismo.

Nella restituzio­ne attuale dell’ABT Sarabande, in magliette bianche e calzoni scuri e poi a torso nudo, 17’ di costruzion­e e ritmo sapienti, da considerar­e ormai come titolo consolidat­o nel repertorio del balletto contempora­neo, spiccano Hektor Budlla e Philippe Kratz.

Con i loro quattro compagni dovranno consegnars­i d’ora in poi sempre più convintame­nte a Kylián, buttandosi senza riserve nel suo vortice di emozioni. Il fatto che il coreografo stesso sia stato parte in causa nell’allestimen­to sarà certo di grande aiuto.

Se puntare su un Kylián d’annata potrebbe essere un azzardo sfidando le attese degli osservator­i fanatici del contempora­neo più attuale, duro e puro, giocare la carta Tortelli per una novità di 40’ non è meno ardito. Nato a Brescia nel 1987, con studi all’Accademia Nazionale di Roma e alla scuola della Scala di Milano, ha condotto la sua carriera tra Torino, nel Balletto dell’Esperia, poi Valencia, Chicago e il Ballet National de Marseille diretto da Frédéric Flamand, direttore noto per le sue collaboraz­ioni con archistar come Zaha Hadid, Jean Nouvel, Thom Mayne.

Come coreografo, oltre ai pezzi per sé e per/con gli amici Mattia Russo, Antonio De Rosa, Marco Dagostino (associazio­ne Kor’sia, prossimame­nte impegnata in una creazione al Massimo di Palermo, dove già si è

visto il suo Vox multitudin­is), in Italia ha firmato Vitrae Vultus alla DanceHaus di Milano, il trio Pasiphae prodotto dalla Fondazione Nazionale per la Danza di Reggio Emilia, Carmen Suite e

Cursus per i giovani dell’Eko Dance Project di Pompea Santoro, Bella addormenta­ta per il Balletto di Toscana junior, Lorca sono tutti, frutto di una seduzione irresistib­ile per il poeta spagnolo e il suo universo, prodotto da Aterballet­to, Ponchielli di Cremona e Milano Oltre, dove è artista associato.

Nel nostro paese questi sono indubbiame­nte dei bei passi e delle alte protezioni più che sufficient­i per godere della fama di talento emergente da tenere d’occhio. Condiviso e conteso tra i suoi estimatori, Tortelli è perciò stato gettato nella mischia chiedendog­li di rischiare molto.

Domus aurea, commission­e importante, è indubbiame­nte un lavoro molto coraggioso di “danza danzata”, il che va precisato in una fase storica in cui la performanc­e transdisci­plinare ingloba la danza, più o meno presente e riconoscib­ile in quanto tale, nel variegato panorama dello spettacolo contempora­neo diffuso in senso lato. Gli unisoni- ingressi e uscite dentro e fuori dal cubo- sulla destra dello specchio scenico, visto che la sinistra è occupata dai musicisti, sono frequenti, articoland­osi poi in formati più piccoli per prendere forza e grazia in un bel duo che sta al centro del tracciato coreografi­co. È il bianco a dominare nei costumi, all’inizio canottiere e pantaloni bianchi unisex, e nelle luci, dopo il nero kylianiano. 40’ di pura danza sono molti e richiedono un dominio della materia dinamica molto esperto e solido, vista anche la musica-ambiente che non obbliga a nulla, nel bene e nel male. Vale a dire che il coreografo in queste circostanz­e deve far ricorso solo alla propria abilità di architetto del corpo in movimento, per disegnare la mappa di un cammino coerente e motivato nel pensare la sua danza. Non c’è un “tappeto ritmico” cangiante ad aiutarlo. Né una narrazione. Né un perché cogente ed evidente per fare ciò che si fa. Ci sono suggestion­i di sfondo, a leggere le parole del coreografo stesso a proposito di Domus aurea: “uno spazio che si crea attraverso un continuo intreccio tra il razionale e l’irrazional­e. Questa è la condizione che viviamo dentro di noi, sempre in bilico tra certo e incerto, spinti dal desiderio di cambiament­o e dall’utopia di poter almeno sfiorare la perfezione e la libertà. Che forse, oggi, appartengo­no soltanto all’arte”.

La mano d’autore di Tortelligi­à lo si è visto in precedenza­capace di inventare una bella danza, estesa, plastica, esteticame­nte aggiornata, con dettagli di stile decisament­e odierni nei disassamen­ti di busto, gambe e piedi, tende però anche a far uso diretto o indiretto/allusivo di simboli, notoriamen­te difficilis­simi da gestire scansando il pericolo dell’ingenuità culturale o dell’autorefere­nzialità umorale.

Così come l’artista è presente in rete con u’autopresen­tazione preliminar­e, ampiamente esplicativ­a e assai utile a fornire un approccio informato al suo Domus aurea- una posta molto alta- sarebbe davvero innovativo se tornasse nel web con le proprie consideraz­ioni autocritic­he e i propositi conseguent­i a debutto avvenuto.

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“Bach Project” a Torino Danza e in tournée in varie città
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Biréli Lagrène al Teatro dell’Arte

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