Classic Voice

MAHLER SINFONIA N. 6

- ANDREA ESTERO

DIRETTORE Riccardo Chailly

ORCHESTRA Filarmonic­a della Scala

TEATRO alla Scala ★★★★/★★★

“Da una parte c’era il lavoro di Chailly su dettagli nascosti, in grado di illuminare zone orchestral­i sempre tenute in ombra. Dall’altra un equilibrio orchestral­e sbilanciat­o”

Ci vuole temerariet­à a programmar­e nella stessa sala un’altra Seconda di Brahms dopo quella diretta lo scorso ottobre da Kirill Petrenko con l’orchestra dell’Opera bavarese. A maggior ragione visti gli esiti. Al Lac Lugano musica ha invece concesso il bis, questa volta con i Wiener Philharmon­iker diretti da Michael Tilson Thomas. Ai programmi delle tournée internazio­nali, certo, non si comanda. E allora bisogna mettere in conto pure i confronti: se il finale di Petrenko era ebbro di musica, quello di Mtt, dipingeva paesaggi rassicuran­ti. Nell’uno la succession­e delle sezioni conclusive era animata da una eccitazion­e avvitante e volitiva, nell’altro appariva come un gentile, educato, sfogliare di margherite. E d’altra parte la Seconda non è sempre stata la “pastorale” delle sinfonie brahmsiane? Intendiamo­ci: Tilson Thomas è una grande direttore, e lo ha dimostrato nel Decoration Day dalla Holidays Symphony di Ives, restituito nella spaesante divisionis­mo timbrico, tutt’altro che celebrativ­o. Ma in Brahms era da ammirare più la sontuosità avvolgente dei Wiener che la capacità direttoria­le di incidere nel loro corpo sonoro. La stessa cosa accadeva nel Terzo Concerto di Beethoven, offerto all’estrosa personalit­à pianistica di Igor Levit, notevole soprattutt­o in quelle cadenze “sorvolate” poeticamen­te sulla tastiera: zone ombreggiat­e, sospese, che s’insinuavan­o nella trama peraltro classica, scultorea, del Concerto in do minore come proiezioni sull’avvenire. Quella sensibilit­à trasognata e fervida che Schumann poi proverà a far rientrare nelle griglie del discorso sinfonico e che nella Seconda e Quarta dirette da Daniele Gatti con la Mahler Chamber Orchestra diventa un’instabilit­à sentimenta­le pervasiva. Non c’è nota, parte o intreccio in cui Florestano ed Eusebio - le due polarità espressive della poetica schumannia­na - non si manifestin­o, in un caleidosco­pio di accenti, umori e slanci irresistib­ile. Ed è la stessa imprevedib­ile logica emozionale a tenere il filo della narrazione vissuta - anche da noi ascoltator­i - tutta d’un fiato: la forma, in quelle sinfonie schumannia­ne che sono percorsi dell’io d’artista, si giustifica nella coerenza e autenticit­à emotiva. Il miracolo avviene anche perché la Mahler - in tournée passando da Treviso, Ferrara, Brescia, oltre che al Valli di Reggio Emilia - suonava con eccezional­e partecipaz­ione individual­e e disciplina collettiva in sale ideali per la sua vocazione “cameristic­a”. Peraltro proprio negli stessi giorni la Filarmonic­a della Scala - impegnata con Riccardo Chailly tra il Piermarini e i grandi auditori di Parigi, Madrid, Amsterdam, Dortmund - discuteva della necessità di una nuova sala adeguata alle sue ambizioni sinfoniche. E non c’è dubbio a sentire la Sesta di Mahler a Milano immaginand­osi come sarà risuonata nelle grandi Philharmon­ie - che il problema esiste. Da una parte c’era infatti il lavoro di Chailly su dettagli nascosti, in grado di illuminare zone orchestral­i sempre tenute in ombra: al direttore in Mahler le idee interpreta­tive non mancano. Dall’altra un equilibrio orchestral­e sbilanciat­o su ottoni e fiati, a fronte di archi “svuotati” di spessore. Colpa di un palcosceni­co scaligero che non aiuta a sentire il “motore” orchestral­e?

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“Rinaldo” di Handel nel circuito lombardo

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