Utopia BAROCCA
Il San Cassiano di Venezia aprì nel 1637 e fu chiuso da Napoleone nel 1807. Il musicologo Paul Atkin sta cercando 100 milioni per ricostruirlo. “Diventerà il Globe dell’opera”
Le cronache hanno già definito Paul Atkin il Fitzcarraldo del nostro tempo. Ma l’idea di costruire un teatro a Venezia è persino più azzardata di un teatro d’opera in Amazzonia, quanto meno dal punto di vista burocratico. Anche se, a dire il vero, il teatro che ha in mente questo determinatissimo inglese, che riunisce in sé qualità apparentemente incompatibili di imprenditore e musicologo, non è affatto nuovo. Anzi, è il primo teatro d’opera pubblico della storia: il leggendario San Cassiano, aperto nel Carnevale 1637 con la perduta Andromeda, musica di Francesco Mannelli e libretto di Benedetto Ferrari, e chiuso da un’ordinanza napoleonica nel 1807 per essere demolito pochi anni dopo, nel 1812. Dal 2014 Atkin ha interrotto la sua attività per fondare il Teatro San Cassiano Group, il cui lancio vero e proprio è stato fatto lo scorso primo ottobre a Londra, con Ann Hallenberg che ha cantato arie
di Monteverdi, Vivaldi e Handel, accompagnata da Andrea Marcon - musicista e direttore artistico del progetto - davanti a un nutrito gruppo di investitori e, mimetizzato tra loro, niente meno che Ian Bostridge. D’altronde non stupisce tanta curiosità: i fasti del San Cassiano coincidono con i primi fasti dell’opera. È a partire dalla sua apertura che i teatri si diffondono a macchia d’olio. Solo in Laguna, in quegli anni si ricordano almeno il Teatro dei Santi Giovanni e Paolo, dove si è sentita per la prima volta L’incoronazione di Poppea di Monteverdi, o il San Moisè, che brillerà anche nell’Ottocento di gloria rossiniana, o ancora il Novissimo. Tutti vecchi teatri da commedia, riconvertiti dalle famiglie patrizie veneziane per ospitare opere a pagamento, nuovo genere alla moda che ruba rapidamente spazio ai comici dell’arte. Quanto al San Cassiano, dopo L’Andromeda la compagnia Mannelli-Ferrari si sposta, e subentra la compagnia costituitasi attorno a Francesco Cavalli, allievo di Monteverdi, che proprio su questo palcoscenico diventa il compositore più importante dell’epoca. Insomma, è grazie al San Cassiano che l’opera inizia la sua trasformazione da prodotto di lusso per aristocratici a merce, nel senso buono del termine: prendono forma stagioni, professioni, convenienze e inconvenienze teatrali che rendono per la prima volta l’opera un genere ben definito. “È per questo che il San Cassiano è il teatro più importante del mondo commenta Atkin, con entusiasmo palpabile - anche se oggi il grande pubblico non lo ricorda più. Invece per me, che mi occupo d’opera, è diventato un’ossessione”. Quando ha iniziato a pensare di ricostruirlo? “Nel 1999, ispirato da un Giulio Cesare di Mark Rylance visto al Globe: a scuola avevo studiato con attenzione il testo di Shakespeare, eppure ogni volta che assistevo a un’edizione moderna non capivo niente. Invece lì, con Rylance, tutto era finalmente chiaro, non solo perché la storia si capiva, ma perché emergeva il sottotesto, anche grazie all’atmosfera di quel luogo. Da quel momento ho iniziato a pensare che la stessa operazione del Globe (riaperto nel 1997, poco distante dalla sede originale, ndr) potesse valere anche per il San Cassiano”. In effetti teatri del Seicento o del Settecento capaci di allestire un’opera barocca, con tutte le macchine di scena, le scenografie, gli effetti speciali e l’ambiente acustico corretto, non esistono proprio. “E questo non è giusto sostiene Atkin -, in primo luogo per Venezia, che è la culla dell’opera barocca”. Perciò, dopo aver ricostruito il San Cassiano, l’idea è di realizzarci solo esecuzioni storicamente consapevoli, o “Hip” (acronimo di historically informed performance). “Il teatro sarà messo a disposizione dei più grandi musicisti del mondo, perché diventi un prestigioso centro permanente per l’opera barocca, attirando viaggiatori di qualità, in una città che
è devastata dal turismo di giornata. Un luogo dove sperimentare su quel repertorio, anche ritornando ai codici dell’epoca. Ad esempio sappiamo che con i costumi di allora non si potevano nemmeno alzare le braccia: per noi oggi è impensabile, abituati come siamo ai movimenti dei registi oggi. Invece la filologia dovrebbe estendersi anche a tutti questi aspetti”. Ma com’era la struttura del San Cassiano? “Per rispondere dobbiamo fare un percorso a ritroso - spiega Stefano Patuzzi, direttore di ricerca del Teatro San Cassiano Group - perché non esistono illustrazioni del teatro del 1637, solo documenti d’archivio. C’è però un dato tardo importantissimo: si tratta delle misure di Francesco Bognolo, artefice della nuova versione del San Cassiano del 1763. E possiamo risalire fino al 1670, anno in cui il teatro viene totalmente ricostruito: in quell’occasione Chassebras de Cramailles, viaggiatore francese corrispondente del ‘Mercure Galant’, ci dice che il San Cassiano ha 153 palchi, numero confermato da un documento notarile del 1657 e, verosimilmente, corrispondente al numero originario di palchi”. A partire da questi dati Jon Greenfield, l’architetto del Globe a cui è stato affidato il progetto, ha realizzato delle ricostruzioni grafiche del San Cassiano. Riassumendo: 18 metri di lunghezza, 26 di larghezza massima, 153 palchi, con il palco centrale largo 120 centimetri e gli altri che vanno dai 95 ai 104, sei file in platea, per una capienza totale di 405 persone. Costo totale dell’operazione? “Circa 100 milioni di euro in dieci anni - dice Atkin -, tutti investiti a Venezia”. Dove sorgerà il teatro? “Il sito preciso non è stato ancora stabilito, ma ci sono alcune opzioni che potrebbero andare bene, compreso forse il luogo in cui sorgeva originariamente. In ogni caso il dialogo con l’ufficio tecnico del Comune è positivo: è importante che Venezia sposi il progetto perché si possa realizzare”. Con i dovuti scongiuri, è probabile che ce la farà.