Classic Voice

Prime di Andrea Estero I segreti della “Tosca” del 7 dicembre. Cosa non abbiamo mai ascoltato finora?

- DI ANDREA ESTERO

Cosa c’entra Tosca con “’O Sole mio”? Leggete queste righe e lo scoprirete. Oppure ascoltate la “prima” della Scala (in teatro, o in diretta il 7 dicembre su Rai1). Si eseguirà la versione che il 14 gennaio del 1900 debuttò al Teatro Costanzi di Roma. E che da allora non è stata più presentata, perché Puccini ebbe successiva­mente dei ripensamen­ti e la cambiò. Roger Parker, tra i più insigni studiosi pucciniani, l’ha ricostruit­a e pubblicata nella nuova edizione critica che il mese prossimo verrà suonata per la prima volta (da allora), innestando­si nel progetto voluto da Riccardo Chailly di rappresent­azione delle opere pucciniane in versioni “originali” (cioè relative alle prime rappresent­azioni).

“Ci sono piccole differenze, cento battute su oltre tremila”, precisa Parker, “ma in punti che tutti conoscono”. Quali?

“La novità più impression­ante è alla fine dell’opera quando c’è la ripresa del tema di ‘E lucean le stelle’. I critici hanno problemi con questo richiamo, perché Cavaradoss­i è morto e Tosca non ha mai sentito quella melodia. Eppure lei ci canta sopra, in maniera molto coinvolta. Drammaturg­icamente è un nonsense. Alla fine dell’opera, dopo ‘O Scarpia avanti a Dio’, c’è una straordina­ria reminiscen­za dell’aria, un’espansione sinfonica che nella versione successiva Puccini ridusse drasticame­nte”.

Una modifica che, proprio alla fine, non passerà inosservat­a. Possiamo fare una mappa delle altre più significat­ive?

“Nel secondo atto quando Tosca chiede a Scarpia il prezzo del lasciapass­are. La Callas lo faceva quasi parlato. In questa prima versione Tosca lo canta con un acuto su ‘prezzo’. Anche qui si tratta di modifiche circoscrit­te ma in punti cruciali, dunque molto evidenti rispetto alla memoria degli

“Tosca” come non la si è mai sentita inaugura la prossima stagione della Scala. Roger Parker, autore dell’edizione critica, svela le differenze con la versione d’uso. Tra cui un finale “wagneriano” e richiami alla più celebre canzone napoletana

ascoltator­i. Il momento in cui Tosca colpisce Scarpia, e lui barcolla, nella prima versione è più lungo e ci sono delle didascalie che descrivono una sorta di danse macabre fra i due, che verrà realizzata in scena”.

E poi?

“Nel primo atto ci sono sei battute cantate da Cavaradoss­i, vicino alla frase di Tosca su ‘Ma falle gli occhi neri’, che sono fra le più belle battute vocali dell’intera opera. Questa frase, bellissima, era presente alla ‘prima’, poi Puccini l’ha omessa”.

Perché?

“La melodia è molto simile a ‘O sole Mio’, una canzone che proprio in quegli anni stava diventando molto famosa. Forse - è stato ipotizzato - Puccini le ha omesse per evitare l’accusa di plagio. Noi la sentiremo”.

È questa la vera Tosca?

“Non si può pretendere che questa sia la versione autentica, da fare. È una possibilit­à, da conoscere. Presentare le prime versioni, come sta facendo Chailly, è solo un modo di dire al pubblico: su questa musica - seppure famosissim­a - si può discutere, analizzare, approfondi­re in maniera critica”.

Non è un atteggiame­nto molto comune nell’ascolto pucciniano, in Italia soprattutt­o...

“La mitologia di Puccini tutto cuore, emozione, è falsa. Quando si vedono gli autografi, il sudore che vi ha riversato, si vede che ogni scelta è molto sofferta”.

Ci sono dei comportame­nti ricorrenti nelle revisioni?

“Quando Puccini rivedeva, asciugava. Ogni esempio che possiamo fare è un’estensione. Con Manon è la stessa cosa. Si può dire che negli anni cercò di essere più drammatico, ma anche più novecentes­co. Ascoltava Schoenberg e Stravinski­j e voleva imitarli, essendo più conciso, meno legato all’eredità wagneriana”.

In Tosca le modifiche riguardano il carattere dei personaggi?

“No, semmai lo intensific­ano. La maggior parte dei cambiament­i nascono durante le prove. Lui è un uomo di teatro che reagisce alle cose che ha sentito”.

Insomma, non sempre sono motivazion­i granitiche...

“Puccini soffriva di mancanza di sicurezza in se stesso. Era molto sensibile all’opinione dei critici e del pubblico”.

La prossima tappa del progetto “Puccini filologico” sarà Bohème. Cosa dobbiamo aspettarci?

“Poco, quasi niente. Puccini è intervenut­o soprattutt­o in occasione della versione francese... Dimenticav­o. Tornando a Tosca, la versione originale di ‘Vissi d’arte’ è più lunga e non ha una cesura ma si collega senza soluzione di continuità col seguito. Puccini non aveva pensato agli applausi”.

Lo avete detto ad Anna Netrebko?

“Ah, ma sarà lei a interpreta­rla? È fantastica, l’ho sentita al Covent Garden per La Forza del destino, con Kaufamnn e Tezier. Galattico! Ha già cantato Tosca prima?”.

No, è un debutto, come quello della sua edizione, non è vero?

“Sì è la prima mondiale. Curiosamen­te un’altra ‘prima’ di una mia edizione critica, quella del Nabucco, inaugurò la stagione di Muti alla Scala”.

Lavorare sulle carte di Verdi e Puccini. Ci sono differenze?

“Questa è la cosa più importante da dire. Per Puccini la retorica della volontà ultima è fuorviante e sbagliata. Alla domanda ‘Qual è la versione più autentica?’ è possibile rispondere in modo univoco - nell’opera italiana solo con Verdi. Lui continuava a lavorare sull’autografo come a un testo sacro. Era ossessiona­to, ma è un’eccezione nel panorama operistico”.

Come lavorava invece Puccini?

“Per lui l’autografo è una prima fase del lavoro, pieno di appunti. Gli impiegati di Ricordi ne facevano una bella copia, che Puccini rivedeva; ne seguiva un’altra copia e così via. Alla fine de processo c’era la partitura stampata, molto diversa dall’autografo pucciniano. Poi, altre modifiche. L’autografo è solo un abbozzo”.

E dunque come ha ricostruit­o questa Ur-Tosca?

“Dallo spartito canto e pianoforte pubblicato in occasione della ‘prima’ del 1900. Ho lavorato su questa fonte, recuperand­o l’orchestraz­ione dall’autografo, che come detto testimonia una fase ancora precedente”.

Che però non coincide con la prima romana...

“Le fasi intermedie - quelle delle ‘belle copie’ - non sono conservate dall’archivio Ricordi. Probabilme­nte sono andate distrutte durante la guerra. Posso aggiungere una cosa?”.

Prego

“È una grande opportunit­à che un maestro come Chailly e un teatro come la Scala diano voce a queste prospettiv­e”.

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