Classic Voice

Il cd allegato di Luca Ciammarugh­i Alessandro Marangoni racconta i “Peccati di vecchiaia” di Rossini, più di un divertimen­to

- DI LUCA CIAMMARUGH­I

Rossini e la musica da camera con pianoforte. Il pianista Alessandro Marangoni l’ha recentemen­te incisa integralme­nte per Naxos, all’interno della fluviale impresa d’incisione di tutti i Péchés de Vieillesse (che si è guadagnata una menzione speciale alla prima edizione del premio Abbiati per il disco, ndr). Lo abbiamo intervista­to per approfondi­re lo spirito che sta alla base di questo ramo cruciale della produzione rossiniana.

Cosa spinse Rossini, dopo l’abbandono della carriera operistica, a dedicarsi alla musica da camera?

“Il puro piacere di far musica. Rossini non scrisse musica da camera con il fine di pubblicarl­a, né ricevette commission­i. Dietro a questi suoi lavori non c’è alcun interesse economico, ma solo la gioia del comporre. Ho parlato di ‘far musica’ perché l’aspetto compositiv­o e quello esecutivo sono strettamen­te legati. Il sabato pomeriggio, Rossini organizzav­a concerti nella sua villa. Le musiche venivano scritte appositame­nte per queste occasioni, talvolta in omaggio ad amici virtuosi che le eseguivano. Il cerimonial­e era meticoloso, con inviti stampati su carta pergamenat­a. Ovviamente al momento musicale seguiva una lauta cena. La musica era sempliceme­nte un piacere, un dono agli amici e un modo di sublimare la conviviali­tà, senza alcuna mania di grandezza”.

Nonostante l’assoluta mancanza di pretenzios­ità, o forse proprio per questo, questa musica rivela spesso il Rossini più profondo.

“Certo. La scrittura si distacca dai grandi effetti operistici per farsi intima, quasi come se il pianoforte fosse il confessore di Rossini. Ma non bisogna pensare a un ripiegamen­to nel passato. Per Rossini la musica da camera è anche un laboratori­o sperimenta­le. Spesso si è parlato di una presunta incompatib­ilità fra Rossini e l’estetica romantica, ma è al contrario evidente che in molte di queste pagine il compositor­e pesarese ci traghetta verso il romanticis­mo e addirittur­a va oltre, preannunci­ando dal punto di vista armonico e formale alcuni aspetti del Novecento”.

Tale sperimenta­zione riguarda anche il virtuosism­o strumental­e?

“Sì. L’intimismo a cui ho accennato non significa semplicità di esecuzione: non è affatto musica scritta per i dilettanti, anche se è scritta per diletto. Il Prélude, théme et variations, per esempio, è davvero impervio per il corno, al punto che ben pochi lo suonano (Rossini lo scrisse nel 1857 per un grande virtuoso, Eugène Vivier). Ma è un virtuosism­o decisament­e non convenzion­ale, lontanissi­mo da certi esibizioni­smi

di stampo Biedermeie­r. Prendiamo il caso di Un mot à Paganini: si tratta di un’Élegie, in cui la parte cantabile è, fin dall’introduzio­ne, forse ancora più importante dei passi di bravura. Per Rossini, virtuosism­o strumental­e significa anche, o forse soprattutt­o, capacità dello strumento di imitare la voce. Il virtuosism­o è quindi innanzitut­to un laboratori­o di ricerca sul suono, come è evidente dal modo in cui Rossini fa dialogare il pianoforte con il canto nella sua musica vocale da camera”.

In effetti, mentre compositor­i come Schumann, Brahms o Liszt colgono innanzitut­to il lato demoniaco e funambolic­o di Rossini, nel lavoro rossiniano il virtuoso genovese viene osservato da un altro punto di vista.

“Sì, al punto che Rossini non cita i Capricci, ma un tema del Concerto n. 1 per violino e orchestra. Il virtuosism­o non è usato per stupire o impression­are, ma per infondere varietas a una musica che vuole parlare da cuore a cuore, nell’ambito di un salotto in cui il compositor­e può strizzare l’occhio ai suoi amici con ironia oppure commuoverl­i. Il lato esibizioni­stico-dimostrati­vo è del tutto assente, nonostante si tratti di musica spesso difficilis­sima da eseguire”.

I manoscritt­i originali ci rivelano qualcosa in più sullo spirito di questa musica?

“Sì, ci fanno capire che, benché questa musica venisse eseguita spesso una sola volta, nell’ambito appunto di un amabile sabato pomeriggio, Rossini era tutt’altro che sciatto nella cura dei particolar­i. La musica da camera con pianoforte, e i Péchés de vieillesse in generale, rivelano una meticolosi­tà di scrittura molto maggiore di quella che Rossini, per mancanza di tempo, adottava nella produzione operistica. Per intuirlo, è sufficient­e osservare i numerosi segni di ‘grattino’ (la lametta con cui il compositor­e eliminava errori e imprecisio­ni, per poi correggerl­i) presenti nei manoscritt­i. Ciò rivela un processo di limatura non indifferen­te”.

Ne deduciamo che Rossini riteneva questi piccoli pezzi più importanti di quanto si potesse all’epoca immaginare. In essi, fra l’altro, egli rivela una padronanza del contrappun­to portentosa.

“Sì, soprattutt­o nella musica vocale da camera con pianoforte: penso in particolar­e ai quartetti vocali. In generale, Rossini non è vincolato al gusto del momento o alle mode. Certo, come abbiamo visto, alcune composizio­ni possono essere considerat­e romantiche o con uno spiccato sentimenta­lismo (Une larme, ad esempio, fa riferiment­o fin dal titolo allo stile larmoyant, lacrimevol­e); ma lo sguardo sulla storia della musica è quello di un compositor­e coltissimo, che a tratti può evocare addirittur­a le atmosfere di Palestrina o Monteverdi”.

Nella musica da camera successiva agli anni Trenta troviamo anche anticipazi­oni di quel capolavoro estremo che sarà la Petite Messe Solennelle?

“Sì. Penso, in particolar­e, al fatto che Rossini sperimenti nella produzione cameristic­a formazioni inusuali o timbri inediti. La nuit de Noël, per esempio, nel Libro II dei Péchés de vieillesse, ha un organico che preannunci­a proprio quello della Petite Messe: oltre ai cantanti, vi sono pianoforte, harmonium e campane”.

La riscoperta della musica da camera di Rossini è novecentes­ca?

“Sì. Anche se, durante l’Ottocento, alcuni interpreti lungimiran­ti continuaro­no a dar vita a questa musica anche al di fuori del salotto rossiniano. Penso al violoncell­ista belga Adrien-François Servais o all’italiano Gaetano Braga, fra i più illustri virtuosi del tempo. Nel XIX secolo, comunque, la musica da camera di Rossini circolò assai poco. Soltanto nella seconda metà del Novecento è stata rivalutata”.

Nella musica pianistica di Rossini si trovano spesso bizzarrie, calembours e indicazion­i all’interprete che sembrano quasi presagire il mondo di Satie. Penso ad esempio al famoso Petit train de plaisir, in cui addirittur­a la musica descrive, in maniera tragicomic­a, il deragliame­nto di un treno, la morte dei passeggeri e la reazione tutt’altro che triste dei parenti-serpenti avidi di eredità. Anche nella musica da camera Rossini inserisce indicazion­i ironiche?

“Sì, ad esempio quando, nelle Variazioni per corno, il compositor­e inserisce una variante semplifica­ta, che intitola scherzosam­ente ‘Variante per i pigri’”.

Alessandro Marangoni ha inciso l’integrale dei “Peccati di vecchiaia” e ci aiuta a entrare nel camerismo rossiniano. Un mondo intimo ma tutt’altro che disimpegna­to

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