Recensioni Cd & Dvd, Libri
INTERPRETI I. D’Arcangelo M.J. Siri, S. Piazzola, F. Sartori DIRETTORE Michele Mariotti ORCHESTRA Comunale di
Bologna REGIA Daniele Abbado REGIA VIDEO Arnalda Canali DVD C-Major 74808 ★★★★
Questa serata bolognese di tre anni fa, per somma fortuna registrata dalla Rai (e con un’ottima regia video, che fa talora illudere esista uno spettacolo), conferma in Mariotti - quantunque non ce ne fosse ormai bisogno - un direttore verdiano tra i maggiori di oggi, e in particolare del Verdi prima maniera, quello che l’antica e ormai commoventemente obsoleta musicologia soleva liquidare come sequela di opere mancate anziché scorgervi quella ribollente e diversificatissima “officina” non solo musicale ma, assai di più, teatrale a mezzo della quale Verdi traghetta il melodramma ottocentesco verso il moderno teatro musicale.
Nessuna concessione alle macignose barricate di quel Verdi stoltamente definito ruspante anziché più semplicemente incompreso; e neppure agli spampanamenti cincischiati che mettono in vetrina alcune lucenti finezze strumentali trascurando di evidenziarne il senso - senso teatrale, mi ripeto ma insisto volentieri - per cui sono concepite. Al loro posto, una concertazione calibratissima non solo fa discernere nitidamente l’articolazione dei molteplici piani strutturali: l’elastica, mutevolissima pulsione dinamica unita a filo doppio con la morbidezza d’un suono la cui energia deriva non già dai decibel ma dall’eccezionale compattezza (un “qualcosa” molto toscaniniana nonché abbadiana, mi vien fatto di dire), nel rendere rapinosi certi attacchi cabalettistici e nel conferire ali possenti a certe aperture melodiche inconfondibilmente verdiane, assicura loro un non so che di aulico, di alta enfasi oratoria tragica sempre sull’altra faccia della luna rispetto alla monotona retorica effettistica che Verdi invece lo banalizza squallidamente. Con orchestra così prodiga di sottilissimi rubati, così infallibile nel diversificare i da capo, così ricca di chiaroscuri: questa ricchezza melodica respira, si fa linguaggio espressivo nel quale convivono varietà di particolari ed equilibrio generale, conferendo carattere il più idoneo ai diversi snodi della vicenda, dei quali si gradua la progressione sempre avvitando e mai rilasciando l’arco narrativo, con acume teatrale raro, accentuato dalla capacità eccezionale di far cantare lo strumentale sostenendo il canto.
La linea vocale di Ildebrando D’Arcangelo è come sempre magnifica. Colore timbrico, morbidezza, omogeneità sono da fuoriclasse, così come la scolpitura della parola è sempre quella dell’eccezionale interprete mozartiano che ben si conosce e che in Verdi trova terreno ideale: originandone quell’accento nobilmente imperioso con cui interprete e direttore, in perfetta simbiosi, plasmano intenzionalmente un Attila conquistatore mancato dell’Italia e per ciò stesso
capace di provocare rimpianto non ci sia riuscito, tanto piccine Verdi ha descritto le italiche figure che gli si oppongono (e che certo non erano sparite, ai suoi tempi. Figuriamoci adesso). Aggiungiamoci pure la figura, che spontaneamente sprigiona quel carisma scenico cui tuttavia occorrerebbe dar qualcosa in più da fare, anziché limitarsi a farlo passeggiare: lui caracolla benissimo e per fortuna ha una naturale asciuttezza gestuale che evita la mano sul cuore e il braccio in avanti all’acuto, ma ove ci fosse una regia la ricchezza di fraseggio risalterebbe non poco di più. Simone Piazzola è un Ezio tortuosamente politico, cupo tessitore nell’ombra, Grande Inquisitore ante litteram: canta “Dagli immortali vertici” tutto a fior di labbro, e basta questo a definire l’autorità d’un direttore capace non d’imporre ma di convincere. Maria
José Siri ha tutte le note di Odabella, che sarebbe già tanto: ma sa anche dar loro significato espressivo, il che è ancor più raro. Fabio Sartori ha quello che i loggioni amavano definire “voce generosa”: stavolta, poi, sotto le note c’è anche qualcosa. La regia di Daniele Abbado non è una brutta regia. Non è una regia, punto. E più che mai mi ribello alla frase sommamente scema del “regia che non dà fastidio alla musica”. Con Verdi, una non-regia non dà fastidio alla musica solo se è musica diretta alla viva il parroco. Diretta invece così, non solo dà oltremodo fastidio: ne tarpa a ogni momento ali che verdianamente s’aprono in tutto un altro contesto.