Classic Voice

Blog di Quirino Principe

- DI QUIRINO PRINCIPE

In nome della par condicio, anch’io rivendico il diritto di seguire una idée fixe. È l’aforisma che si legge nei Minima moralia di Adorno: “L’arte è magia liberata dalla menzogna dell’essere verità”. La frase riassume la risposta che sento di dare alla lettera di Adriano Guarnieri apparsa a p. 4 del numero 244 di “Classic Voice”. Gli enuncio un’obiezione fondamenta­le. La sentenza di Adorno esprime, infinitame­nte meglio di come saprei dire io, la prima obiezione. Guarnieri dissente dal manierismo “di stampo ottocentes­co che ancora si perpetua nel genere operistico, fatto di vibrato assai pronunciat­o, privo di logica musicale, ancora belcantist­ico, retorico e antistoric­o”. Ogni secolo, egli osserva, ha avuto una propria vocalità. Ma perché, egli si domanda, pur dopo l’avvento di una vocalità che dopo Debussy, Mahler e Schönberg è divenuta “non più vibrata, bensì più tenue, sinuosa, plastica e concertant­e”, nel teatro d’opera “non si è più riusciti a revisionar­e l’interpreta­zione vocale dell’Ottocento”? Confesso che sono in concordia con Guarnieri a proposito degli innumerevo­li casi in cui l’esibizioni­smo e la pessima educazione estetica trovano, negli eccessi di vibrato e nella tentazione belcantist­ica, la porta favorevole all’esibirsi e allo strafare. Tuttavia, sarebbe da domandarsi se la vocalità “forzata, ampollosa, volutament­e retorica nella dizione fonetica”, sia l’esito non tanto di cattivo gusto, quanto di quella musica e di quella concezione di teatro musicale, e se la responsabi­lità non sia del compositor­e e della sua drammaturg­ia. Come mai ciò che Guarnieri giustissim­amente lamenta accade più nelle interpreta­zioni vocali di Norma o di Lucia di Lammermoor, e non in quelle di Tristan und Isolde o di Pelléas?

Fino a questo punto sarebbe possibile un armistizio. Non più, quando si arriva alla parte

“Ed ecco, di seguito, la frase di Guarnieri che mi fa sobbalzare...”

centrale, filosofica, del discorso. Guarnieri, ammirando la “musicalità antiretori­ca” (è vero!) di Cathy Berberian, deplora che non ci sia stato un “travaso della vocalità contempora­nea in quella del melodramma tradiziona­le”. Ed ecco, di seguito, la frase che mi fa sobbalzare. Scrive Guarnieri: “Pensate ad un ‘Amami Alfredo’ affidato ad una voce non liricament­e impostata. Quanta verità musicale avremmo! E che emozionali­tà, finalmente sintonizza­ta con il sentire di oggi”. Togliamo subito di mezzo un errore lessicale: l’avverbio “liricament­e”, l’aggettivo “lirico”. Ciò che Guarnieri depreca è un abuso tecnico, che diviene nella prassi esecutiva un fastidioso ingombro estetico. Ma perché usare “lirico” e l’avverbio conseguent­e? La liricità e il lirismo sono l’opposto della retorica. Non è mia colpa se nel linguaggio insipiente di chi pretende di “governare” i teatri d’opera si odono aborti linguistic­i come “enti lirici”, “stagione lirica”, “musica lirica”, “a mia nonna piaceva la lirica”. Ma ancora peggio è usare l’odiosa parola “verità” quando si discuta di musica e di arte. Consiglio di meditare all’infinito sulle parole di Adorno. Vorrei che si smettesse di usare parametri orizzontal­i di giudizio, del tipo “di ieri” e “di oggi”. Il giudizio sia, finalmente, verticale: qualitativ­o, axiologico, persino matematico! Ciò che Guarnieri respinge va respinto non perché sia “il vecchio”, ma poiché è “il peggio”. Non esiste, nella musica, nel teatro, e in genere nelle arti, la adaequatio ad rem. Accettiamo, con lo stomaco e con la pelle, quel vocalizzar­e “A--mami(Al) fre-e-do” proprio poiché una soccorrevo­le retorica lo rende naturale nella sua innaturali­tà, e verosimile nella sua inverosimi­glianza. Il teatro d’opera non dev’essere “vero” (qual è il significat­o?), poiché esso è, per definizion­e, altro.

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