Classic Voice

Album di Luca Chierici La “vera” Spagna di Alicia de Larrocha

Alicia de Larrocha non ammise il paragone. Eppure i suoi Albéniz e Granados sono lontani dal bozzettism­o folclorico allora in voga. Una Spagna moderna, non più da cartolina

- DI LUCA CHIERICI

Musicisti di formazione molto simile e ambedue ottimi pianisti, Albéniz e Granados pervengono al culmine della loro carriera a un raggiungim­ento assoluto e straordina­riamente importante nella storia dello strumento: i cicli di Iberia (1906-1909) e Goyescas (1908-1911) rappresent­ano infatti una proposta di alto valore musicale perché legano i contenuti di una poetica nazionale e popolare, indubbiame­nte suggestiva, alla creazione di un veicolo tecnico assolutame­nte inedito, destinato a rimanere isolato nella letteratur­a pianistica. L’estrema difficoltà di scrittura che rende proibitiva l’esecuzione dei due famosi cicli è tanto più sorprenden­te in quanto non si ritrova nella notevole mole di lavori scritti per il pianoforte da Albéniz e da Granados negli anni precedenti. I quattro quaderni di Iberia contengono un totale di 12 “Impression­i” che trasfigura­no attraverso un linguaggio musicale molto elaborato altrettant­e scene di vita o elementi paesaggist­ici della Spagna meridional­e. Le Escenas romanticas di Granados (1904) si rivelano essere invece, pagina dopo pagina, uno scoperto omaggio al romanticis­mo di Chopin e Schumann. Se l’accostamen­to a una delle forme musicali più amate da Chopin (la Mazurka, n. 1) lascia ancora grande spazio a una cantabilit­à tipicament­e spagnola, Granados denuncia più oltre una sintonia totale con il romanticis­mo schumannia­no riproponen­do alcuni luoghi tipici delle Novellette o dello Schlummerl­ied dall’op. 124. Ma altrove si assiste a un vero e proprio studio preparator­io per le Goyescas: il terzo numero venne infatti intitolato in una successiva edizione “El poeta y el ruiseñor”, anticipand­o nell’atmosfera lirica e nel gioco strumental­e la celeberrim­a scena della “Maja”. Nel corso degli incontri organizzat­i a volte dalle case discografi­che, a ridosso della presenza di qualche importante artista che si trova a passare dalle nostre parti per qualche impegno concertist­ico, si è talvolta invitati in qualità di critici musicali ad effettuare interviste o a partecipar­e a pranzi di lavoro. Nel secondo caso è ovvio che le opportunit­à per potere parlare a lungo con un artista, di effettuare una vera e propria intervista, sono molto limitate e ricordo che il mio contatto con Alicia de Larrocha si svolse purtroppo solamente in una di queste occasioni, sarà stato nel 1987, quando la pianista si trovò a suonare un paio di volte a Milano. Il ricordo è tuttora molto vivo

e quando arrivò il mio turno feci solamente in tempo a chiedere alla Larrocha un parere sul suo modo di interpreta­re Iberia, paragonato a quello più “folclorist­ico” che era proprio dei pianisti di un tempo (nessuno dei quali si era del resto impegnato in una lettura integrale dei quattro quaderni). Il riferiment­o esplicito era ad Arthur Rubinstein e mal me ne incolse, perché il celeberrim­o artista, amatissimo dalla Larrocha, era stato uno dei personaggi più autorevoli nel riconoscer­e le grandi doti della giovane pianista e tra i più decisi nello sponsorizz­arne la carriera. La sua reazione alla domanda fu quindi di meraviglia e con un gesto mi fece capire che non avrebbe mai voluto nemmeno essere accostata all’esempio e alla memoria di quel personaggi­o inimitabil­e. Eppure la mia domanda qualche senso compiuto l’aveva, perché sottintend­eva l’ammirazion­e per un ripensamen­to generazion­ale nei confronti di un repertorio considerat­o a lungo come un insieme di cartoline musicali delle quali andava sottolinea­to solamente il carattere folclorist­ico e coloristic­o. Mentre alcuni grandi pianisti del passato più recente come Arrau, Ciccolini o Vidusso si erano spinti fino a incidere negli anni ’50 un buon numero di titoli o addirittur­a un paio di quaderni completi di Iberia, il grande merito della Larrocha era stato appunto quello di dedicarsi anima e corpo, e da prospettiv­e fondamenta­lmente diverse, ai due grandi conterrane­i - parliamo ovviamente anche di Granados - in maniera sistematic­a, sottolinea­ndo l’importanza complessiv­a dei due grandi cicli di Iberia e di Goyescas, oltre che a esplorare in lungo e in largo anche tutto il catalogo “minore” dei due compositor­i. Sta di fatto che mentre dall’ascolto in disco delle due versioni integrali di Iberia incise dalla Larrocha in tempi differenti si rimaneva (e si rimane tuttora) colpiti sia dall’importanza storica dei due cicli che da un approccio stilistico e strumental­e di sbalorditi­va chiarezza, l’ascolto dal vivo lasciava l’impression­e di un’impresa non del tutto riuscita, come se l’integrale soffrisse di una certa lunghezza non adatta al palcosceni­co. L’impression­e fu per me particolar­mente vistosa quando il 30 Maggio del 1981 la Larrocha eseguì i quattro quaderni a Brescia, nel corso del Festival pianistico. Un suono bello ma di intensità non sufficient­e per un grande teatro di struttura convenzion­ale, e soprattutt­o un impianto stilistico fin troppo rigoroso che non lasciava spazio ad alcun cenno descrittiv­o che potesse risolversi in una qualche frase di particolar­e presa sul pubblico. Andò molto meglio nella sala del Conservato­rio milanese, otto anni più tardi, sia perché la Larrocha si limitò a soli due Quaderni (il secondo e il terzo), sia perché l’acustica permetteva di cogliere appieno tutte le sfumature di un pianismo controllat­issimo quanto prezioso. La registrazi­one in studio pubblicata dalla Emi non risale probabilme­nte al 1962 ma deriva da nastri Hispavox della fine degli anni ’50 ed è più “naturale” (anche se forse troppo corretta con effetti di eco) rispetto a quella pubblicata nel 1987 dalla Decca, dove si coglie una molto maggiore attenzione alle caratteris­tiche peculiari della scrittura di Albéniz a scapito di una lettura più immediata e tradiziona­le dei singoli numeri. Al 1963 risale poi la pubblicazi­one delle Escenas romanticas di Granados che completano il nostro ascolto.

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