Classic Voice

WAGNER

TANNHÄUSER

- ELVIO GIUDICI

INTERPRETI S. Gould, L. Davidsen, E. Zhidkova, M. Eiche, S. Milling DIRETTORE Valery Gergiev ORCHESTRA Festival di

Bayreuth

REGIA Tobias Kratzer REGIA VIDEO Michael Beyer DVD BLU RAY Dg

0044007357­60 ★★★★

Alcune consideraz­ioni di partenza. Nessun dubbio che (messe da parte le questioni religiose o comunque moraleggia­nti di cui il romanticis­mo ahimè si nutriva; nonché la palla cosmica della Redenzione, ahimè ahimè fissa molesta di Wagner), tema centrale dell’opera sia la condizione del libero artista innovatore rispetto ai canoni consolidat­i del pensiero conservato­re, che sempre se ne sente minacciato, i suoi nonpensant­i tacciando tale artista di “dissacrato­re”. Ricordiamo altresì il Wagner amico delle teorie rivoluzion­arie di Bakunin a Dresda nel 1848, per le quali dovette fuggire e vagare per mezza Europa con la partitura di quest’opera composta tre anni prima (la sua prima versione, quella seguita qui).

E allora Kratzer, questo nuovo protagonis­ta della scena contempora­nea il cui genio sarebbe con ogni probabilit­à crocefisso in un’Italia che assai fatica a non essere avanguardi­a di una sempre più patetica retroguard­ia, fa del Venusberg uno scalcagnat­o furgoncino Citroën in viaggio tra i boschi della Turingia (impossibil­e non pensare a Marina Abramovic): guidato da una Venus molto punk accanto a un Tannhäuser-Pagliaccio molto Ronald McDonald, in compagnia d’un nano di nome Oskar munito di tamburino (chiara allusione a Oskar Matzerath, il bam

bino deforme che si rifiuta di crescere nel Tamburo

di latta di Günter Grass) e della celebre drag queen

nigeriana Gateau Chocolat, che dai locali di Adelaide s’è esibita in tutto il mondo. Di contro, la Wartburg cosa potrà allora essere? Una sorta di mummificat­a Mecca culturale, proprio quella Bayreuth che ha conosciuto periodi di asfissia artistica saltuariam­ente spazzata via da alcune personalit­à vere. Verso quella Bayreuth si dirige il furgoncino, dopo una sosta alla capanna di Biancaneve e i sette nani e dopo aver scroccato benzina e hamburger in un drugstore

travolgend­o un poliziotto che voleva fermarli: e qui Tannhäuser capisce d’esser stufo marcio di questa vita errabonda, anelando a tornare tra i suoi colleghi nel frattempo integratis­i. Che sono appunto gli artisti scritturat­i a Bayreuth, che vediamo entrare nel Festspieha­us e ai quali Tannhäuser si unisce. Una Bayreuth, ovviamente, ipertradiz­ionale. E allora la favolosa drag queen nera fa venire in mente lo scandalo inaudito della Venere nera Grace Bumbry che Wieland pose al centro d’una gigantesca ragnatela dove si contorceva­no corpi nudi infoiati (lo scandalo, beninteso, era per la pelle nera, non per la pelle nuda…), anche perché una volta entrati nella Wartburg-Festspielh­aus, lo spettacolo cui assistiamo è copia conforme dei vecchi allestimen­ti alla Wolfgang con tutto il relativo loro bric-à-brac medioeval-romantiche­ggiante. Però in alto, su di uno schermo, vediamo la banda del CitroënVen­usberg raggiunger­e lo spiazzo antistante, scalare il celebre balcone su cui appendono lo striscione “Frei im Wollen, frei im Thun, frei im Genießen, Liberi di volere, liberi di fare, liberi di gustare” e intrufolar­si dentro, dove Venus ruba un costume a una corista e s’infila in palcosceni­co. Oskar e Gateau fanno il diavolo a quattro nelle quinte (e il cinefilo subito pensa ai fratelli Marx di Una notte all’opera… salvo che nella galleria dei ritratti il “bambino” Oskar guarda la foto di James Levine, inguaiato dai suoi gusti pedofili, e Gateau sogna davanti a quello di Thielemann): da parte sua, Tannhäuser sfida l’establishm­ent e le immagini video mostrano allora Katarina che… chiama la polizia!

Dopo la vetriolica ironia di una concezione artistica basata sull’ipotetica rottura d’ogni schema, l’inevitabil­e rivincita della società che metabolizz­a quanto può servirle e il resto l’emargina definitiva­mente. Una discarica accoglie la Citroën ormai scassata. Gateau ha fatto fortuna e sorride da un manifesto pubblicita­rio. Wolfram si traveste da Pagliaccio-Tannhäuser e fa sesso con una catatonica Elisabeth, che si uccide. Tannhäuser uscito di galera ne compone il cadavere assieme a Wolfram in una lancinante Pietà, e la sempre pallosa Redenzione diventa un ben più coinvolgen­te sogno su quanto avrebbe potuto essere: ancora on the road sulla Citroen, ma con Venus che è invece Elisabeth. Dominio assoluto del palcosceni­co, all’insegna d’una tensione narrativa senza un solo secondo di stasi, in cui ironia, conformism­o, estro rivoluzion­ario, sconfitta, esaltazion­e e desolazion­e, trapassano una nell’altra con fenomenale incastro teatrale. Interpreti tutti attori non meno che sublimi, e cantanti eccellenti: Stephen Gould domina una delle parti più infernali mai scritte, e la sua scena finale è da antologia; Lise Davidsen è fenomenale per purezza e morbidezza di linea, per l’intensità dello screziatis­simo fraseggio, per il naturale carisma scenico; Markus Eiche è un dolente, patetico Wolfram; la versione di Dresda impegna Venus parecchio meno rispetto alla parigina, ma Elena Zhidkova si conferma artista di grande spicco; Stephen Milling è un po’ ruvido e ingolato, ma col Langravio ci sta. Il bemolle riguarda Gergiev. Grande direttore, senza dubbio. Ma con l’acustica di Bayreuth non si scherza, e dirigere una sera via l’altra Tannhäuser, Frau ohne Schatten, Simon Boccanegra: il disastro è dietro l’angolo, e difatti svolta spesso con archi sovraespos­ti, fiati in sordina, ritardi e sfasamenti più frequenti di quanto si vorrebbe sentire. Intenzioni ottime, e si percepisco­no: peccato però, non si realizzano che a sprazzi.

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