VIVALDI
JUDITHA TRIUMPHANS
SOLISTI M. B. Kielland, M. de Liso, R. Redmond, L. Martín-Cartón, K. Mulders
ENSEMBLES La Capella Reial de Catalunya, Le Concert des Nations
DIRETTORE Jordi Savall 2 Alia Vox AVSA9935 CD ★★★/★★★★
Qualche passo falso in questa ennesima incarnazione discografica del capolavoro oratoriale di Vivaldi, molto al di sopra della sua media produzione operistica per interesse drammatico e ricchezza di colore orchestrale. La registrazione, effettuata dal vivo a Parigi nell’ottobre 2018, risente di una distribuzione vocale zoppicante che vede nel ruolo titolare una Marianne Beate Kielland non in possesso delle necessarie vibrazioni eroiche e profetiche mentre si difende bene nei non rari momenti elegiaci, ma sempre con una sorta di algido distacco.
Marina De Liso (Oloferne) è ben calata nel suo personaggio di barbaro galante, però pecca di chiarezza nella dizione come la maggior parte del cast, eccezion fatta per le due parti minori di Abra (Lucía MartínCartón) e del sacerdote Ozias (Kristin Mulders). Se non capivano il raffinato latino del librettista Cassetti non c’era un coach capace di spiegarglielo in qualche lingua vivente? Anche il soprano scozzese Rachel Redmond (Vagaus), per doti naturali forse la migliore in campo fra le sei soliste, strapazza la sua memorabile aria di furore “Armatae face et anguibus”, brano micidiale su cui per ragioni diverse inciampano malamente illustri colleghe quali Bartoli, Kozená, Galou; meglio Gauvin e Invernizzi, praticamente perfetta la sola Genaux. Di altre (e altri) si tace per cristiana carità o per nostra colpevole dimenticanza. Troppe ne abbiamo ascoltate a cominciare dalla levi
gatissima Elly Ameling nel vinile diretto da Vittorio Negri quasi mezzo secolo fa... Niente male, detto fra noi.
E dire che Savall sembra aver investito in quest’impresa un notevole sforzo di concertazione, specie nelle molte arie obbligate con uno o più strumenti e negl’interventi corali realizzati in versione trasposta (sappiamo che alla Pietà non mancavano i fenomeni vocali al femminile capaci di cantare in chiave reale di tenore e basso, però dove andarli a pescare oggi?). I tempi del maestro catalano sono generalmente ben calibrati con tendenza a una serena gravitas che rifugge dalle isteriche concitazioni turbo-barocche oggi di moda; gli si può anche condonare qualche sporadica caduta di stile, tipo l’aggiunta di percussioni dov’era meglio lasciar tubare in pace i maliosi salmoè, proto-clarinetti impegnati nella scena bacchica “Vivat nectare, non mero”. Di tutto rispetto alcune individualità strumentali fra cui occorre citare almeno Paolo Grazzi al primo oboe, Rolf Lislevand alla tiorba, chitarra e mandolino, Guido Morini all’organo e il quartetto di “viole all’inglese” di cui fa parte lo stesso Savall. Lettura più che dignitosa ma non imperdibile; si spera in un futuro bis meno legato a contingenze di programmazione concertistica.