Strauss uno e due
I concerti per corno, a inizio e fine percorso, sono un omaggio al padre
Nel 1873, un Richard Strauss di nove anni, dedica “al suo caro padre” Franz, famoso solista di corno ammirato da Wagner e da von Bülow, due Studi, cui seguono cinque anni dopo altri omaggi allo strumento paterno: il Lied per soprano e corno obbligato Alphorn, una Introduzione, tema e variazioni, e nel 1883, quando Richard si è fatta la mano con l’orchestra con alcune composizioni, il primo Concerto per corno. Franz, ammalato d’asma, dopo un’esecuzione privata con il figlio al pianoforte, non se la sentì di suonarlo in pubblico. L’opera vive in un’aura romantica e non presenta ancora tratti del tutto originali - l’attacco sembra una citazione dell’Imperatore di Beethoven - per le sue armonie levigate e la struttura classicheggiante che guarda ai Concerti per corno di Mozart, da Strauss suonati spesso con il padre; pure, vitalissimo e fantasioso è l’approccio con il suggestivo ottone, che viene spinto in impervi passaggi, in autentici “gesti sonori”, in sensuali cantabili nei tre brevi movimenti senza soluzione in cui si articola il concerto. È nella vecchiaia che sboccia nuovamente le vena concertistica di Strauss, così a lungo tenuta in silenzio per l’impegno nei poemi sinfonici e nel teatro d’opera: durante la II guerra mondiale, nel ritiro di Garmisch, la remota memoria del padre e forse la suggestione del paesaggio alpino inducono Richard a comporre un secondo Concerto per corno, terminato a Vienna il 28 novembre 1942 ed eseguito nel successivo Festival di Salisburgo. Anche se si apre con una fanfara, come il Concerto giovanile e il famoso poema Till Eulenspiegel, questo lavoro non ne ha più l’ardore e l’esuberanza e respira in un clima dolce e disteso fin dall’Allegro, che gioca piuttosto le carte di un neoclassicismo morbido e composto, senza tensioni né asperità armoniche. Momento magico è il luminoso Adagio (che segue senza soluzione l’Allegro) in cui la memoria di Mozart e dei suoi Concerti per corno suggerisce un senso di infinita nostalgia per un passato irrecuperabile.