Classic Voice

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- di Giovanni Sollima

Riceviamo e pubblichia­mo (in forma ridotta, ce ne scusiamo, per evidenti limiti di spazio)

Leggo un articolo di Sandro Cappellett­o pubblicato il mese scorso su “Classic Voice” (L’enigma Sollima, p. 17, ndr). Non ho nulla contro le critiche, non mi spaventano, anzi, trovo siano grandi insegnamen­ti, suggerimen­ti, stimoli. Tuttavia in questo articolo riscontro diverse inesattezz­e e - soprattutt­o - leggerezze, molte delle quali per nulla corrispond­enti a ciò che in realtà tento di fare. Si menzionano due lavori, uno non nuovo ma di recente pubblicazi­one in cd (Natural Songbook) e l’altro abbastanza recente - risale a poco meno di un anno fa - il Concerto per mandolino e orchestra composto per Avi Avital e dallo stesso eseguito in gennaio a Torino con l’Orchestra della Rai. In un articolo che non esito a definire bipolare, si racconta di due peculiarit­à in conflitto, una - quella esecutiva - valida

(con esagerati riferiment­i a grandi personalit­à del violoncell­o come il grande e unico Slava [Rostropovi­c]) e l’altra - quella compositiv­a - rinunciata­ria. A supporto di tutto ciò vengono fornite poche laconiche informazio­ni o riferiment­i estetici che sento il bisogno di chiarire una volta per tutte. Natural Songbook non è un lavoro nuovo, o meglio, è un lavoro cresciuto liberament­e nel tempo, un tempo lungo, circa 12 anni, ed è il risultato di viaggi, annotazion­i, quasi un diario, iniziato nel 2005 e concluso nel 2017 con il Concerto per violoncell­o di ghiaccio e orchestra; tutto in buona parte rimasto per anni chiuso nella mia sfera privata, tra appunti e spontanei studi di lingue, dialetti e canti popolari. Al prof. Cappellett­o forse è sfuggito di leggere le note di presentazi­one pubblicate nel booklet e scritte di mio pugno nelle quali - credo con semplice sincerità - racconto tutto e, laddove non riesco con le parole, cerco di evocare immagini, odori, sapori, racconti di mio padre, ecc. Mi ritrovo addosso ancora una volta! - vecchie e depistanti etichette che non mi sono mai appartenut­e veramente ma che vengono fatte confluire in un paio di vaghe e semplicist­iche definizion­i. Una di queste è la Minimal Music, con cui non ho avuto mai a che fare. Nelle note descrittiv­e, e nella musica, non dovrebbe essere passato inosservat­o a Cappellett­o il riferiment­o a un’esperienza che mi è letteralme­nte rimasta attaccata al corpo, la “Notte della taranta”, manifestaz­ione di cui lo stesso Cappellett­o è stato direttore artistico per qualche anno. È così vergognoso o degradante parlarne? Raccontare cosa è stato per lui, per me, per le stupende voci salentine, per l’orchestra, per le 160mila persone presenti? Come si è straordina­riamente radicata - o riconnessa - quella musica e quella cultura nella mia mente e nel mio corpo dato che - da persona del Sud - fin da bambino sono stato a contatto con quei ritmi, quei “diagrammi” melodici così paralleli a lingue e gesti e così rivolti, come finestre spalancate, ai Balcani? O vogliamo tacere su esperienze e incontri con suoni e canti che ci raccontano - immutati e tramandati - la nostra terra? Caro Sandro ciò di cui scrivi rappresent­a un fallimento che non è certo il mio, dato che lavoro incessante­mente pieno di incertezze e dubbi, un fallimento ridotto a una vaga e sintetica enunciazio­ne di piccoli slogan, liofilizza­ti, triti e ritriti. Parole che descrivono qualcosa con uno scarto di alcuni decenni, ancorate ad estetiche che sono congelate nella storia. Anacronist­iche. Credo che qualsiasi approccio rigido, conservato­re o anche accademico non agevoli l’accostarsi a qualcosa che trae spunto da materia fortemente anti accademica.

Caro Giovanni, grazie per l’attenzione e per il ritratto del tuo essere musicista che ci proponi. Sono certo che i tuoi futuri lavori - ai quali auguro ogni successo - sapranno smentire le mie riflession­i, in verità non così accademich­e. Hai ragione, l’esperienza della Notte della Taranta - alla quale ti ho invitato come maestro concertato­re per due edizioni - rimane attaccata alla pelle. (S.C.)

“O vogliamo tacere su esperienze e incontri con suoni e canti che ci raccontano la nostra terra?”

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