Uto Ughi racconta il suo Kreutzer
Uto Ughi suona lo strumento del dedicatario della celebre Nona Sonata. Ma per altre composizioni di Beethoven invece dello Stradivari usa il Guarneri. Lo incontriamo mentre esce in cd una sua storica incisione beethoveniana
Nel percorso a tappe mensili che questa rivista dedica alle testimonianze beethoveniane di direttori, cantanti e strumentisti, non poteva mancare il violino. E il musicista italiano che di Beethoven è stato uno degli interpreti più formidabili. La sua storica integrale delle Sonate per violino e pianoforte torna in questi giorni nei negozi di dischi.
Maestro Ughi, può ripercorrerne brevemente la genesi?
“È una registrazione del ’78, nata dopo una tournée in Inghilterra e in America con il pianista statunitense Lamar Crowson, partner abituale di Jacqueline du Pré che si esibiva assai spesso anche con il Quartetto Amadeus e con il Melos Ensemble. Amavo suonare con lui. Lo considero l’erede di Rudolf Serkin, di cui era amico e con cui suonava frequentemente, nonché della grande tradizione tedesca. Sì, è stato uno dei migliori cameristi che ho incontrato oltre che un uomo di profonda cultura. Produttore di quel ciclo è stato il tedesco Jurg Grand, che ha consentito a Martha Argerich, di cui era amico, di realizzare numerosi dischi”.
Come aveva conosciuto Crowson?
“Risiedeva a Città del Capo e l’avevo conosciuto per una serie di concerti in Sudafrica che mi avevano suggerito di invitarlo in Europa, dove, peraltro, già era venuto parecchie volte. Abbiamo così presentato diversi programmi, anche eseguendo le Sonate di Beethoven: la ‘Primavera’ e la ‘Kreutzer’, ma anche la Settima e la Decima, che, pur non essendo per il grande pubblico, è la mia prediletta per il suo alto grado di introspezione”.
E l’idea della ripubblicazione da parte di Sony Classical come nasce?
“Inizialmente, l’incisione era uscita per la Ricordi. Quindi, è passata alla Rca per approdare ora alla Sony. A essere sincero, è una registrazione che quasi mi ero dimenticato di aver fatto. Per caso, pochi mesi or sono, mi è capitato un vinile tra le mani, non ricordo nemmeno se della Sesta o della Settima. A distanza di tanti anni, l’ho quindi ascoltato, trovandolo assai bello e proponendolo alla Sony”. Quali sono i suoi modelli di riferimento per quanto riguarda le Sonate di Beethoven?
“Adoro Adolf Busch con Rudolf Serkin, Arthur Grumiaux con Clara Haskil, Yehudi Menuhin con Wilhelm Kempff e, ancora, c’è una strepitosa esecuzione dal vivo, a Washington, di Béla Bartók al pianoforte con Joseph Szigeti al violino. Inoltre, amo Isaac Stern che, tuttavia, in Brahms è forse ancora superiore che in Beethoven”. Della Decima, sempre per Sony, c’è poi un’incisione storica di Yehudi Menuhin con Glenn Gould…
“La conosco e la trovo bellissima, un insieme di due forti personalità. Glenn Gould è stato un pianista ispirato, sem
pre interessante, anche se, talvolta, provocatorio. In fondo, i grandi artisti possono risultati urtanti, perché prendono rischi e aprono la via a nuove interpretazioni, a differenza dei musicisti più ortodossi. Di Gould ho letto anche gli scritti e non sono ovviamente d’accordo con certe sue opinioni. Per esempio, affermare, come ha fatto lui, che Mozart non è morto troppo presto ma troppo tardi è una sciocchezza che, tuttavia, a un genio si può perdonare”.
Tra i dischi che ascolta, ci sono anche i suoi?
“Sì, e ne rimango sorpreso. In genere, ciò che amo nelle mie registrazioni è la spontaneità. Per contro, avrei voluto più tempo in sala d’incisione anziché dovermi limitare a una prova soltanto e all’esecuzione. Ho registrato il Concerto di Beethoven in tre ore e lo stesso vale, per esempio, per quello di Mendelssohn e di Brahms. Con sei ore avrei potuto approfondire maggiormente l’interpretazione”.
Le Sonate di Beethoven le ha registrate anche con Tamás Vásáry…
“Uno straordinario musicista, forse più solistico che cameristico. Con lui ho suonato numerosi concerti in Inghilterra e poi, sì, per Rai 3 abbiamo registrato le Sonate. Anche Vásáry, come Crowson, è stato uno dei migliori pianisti che ho avuto”.
E poi lei ha inciso qualche Sonata beethoveniana con Wolfgang Sawallisch…
“La ‘Primavera’, la Settima e la ‘Kreutzer’. Sawallisch sapeva andare al di là della tecnica. Aveva una concezione musicale vastissima. Anche se non aveva la pretesa di fare concerti solistici, era un grande pianista oltre che un grande direttore, come ora lo è Barenboim. Lo ricordo in meravigliosi cicli in Germania,
ma anche alla Scala, con Dietrich Fischer-Dieskau. Con lui ho inciso dischi con i Concerti di Beethoven, Brahms e Schumann, uno degli album a cui tengo di più, anche se non è stato molto reclamizzato in Italia, forse perché non è un Concerto di effetto, ma di sofferenza e profondità introspettiva. È tutto sulle tonalità basse da sembrare scritto per il violoncello. Viene meglio con il Guarneri”.
Nel ’78, però, lei il Guarneri non ce l’aveva ancora e per l’integrale delle Sonate ha usato lo Stradivari…
“Il Guarneri ha un suono più profondo, più scuro, più romantico. Per la ‘Primavera’, che è solare, cantabile, lirica, non a caso è quella che ho suonato di più, ritengo adatto lo Stradivari, mentre per la Decima, penso che il Guarneri sia maggiormente vicino all’essenza dell’opera. Ma il suono nasce dal cuore, dall’anima dell’artista, non dallo strumento. Ho sentito musicisti suonare divinamente violini mediocri e musicisti suonar male ottimi violini”.
Il suo, poi, è lo Stradivari “Kreutzer”, in quanto appartenuto proprio al violinista a cui Beethoven dedicò l’omonima Sonata…
“…e per quel capolavoro non potrebbe esserci strumento migliore”.
Ma il suo approccio nei confronti delle Sonate di Beethoven, in oltre quarant’anni, è cambiato?
“Certe modalità espressive possono cambiare da un giorno all’altro, anche impercettibilmente. Noi, del resto, non siamo mai uguali. L’importante, per un artista vero, è non fare compromessi, ma essere fedele, integro nei confronti della propria arte”.
Da un punto di vista tecnico e interpretativo, qual è, tra le dieci, la Sonata più difficile da eseguire?
“Ogni Sonata pone problemi notevoli. Tecnicamente, la ‘Kreutzer’ è la più spettacolare e, tra tutte, anche la più violinistica. Trattandosi di un concerto per due strumenti necessita di una capacità virtuosistica che, nelle prime Sonate, tutto sommato non c’è. Ma, senza dubbio, a richiedere un maggior grado di profondità è la Decima, che contiene tutta l’interiorità dell’ultimo Beethoven. In questo caso, le problematiche non sono virtuosistiche, ma di calibratura di suoni, di equilibri interiori. E sono queste, in fondo, le difficoltà maggiori che un interprete di Beethoven deve affrontare”.
Anziché far ripubblicare l’incisione del ’78, ha pensato per un attimo di registrare nuovamente l’intero ciclo?
“No, anche perché ora, entro l’anno, ho in mente di incidere le Sonate di Brahms”.