Classic Voice

Uto Ughi racconta il suo Kreutzer

Uto Ughi suona lo strumento del dedicatari­o della celebre Nona Sonata. Ma per altre composizio­ni di Beethoven invece dello Stradivari usa il Guarneri. Lo incontriam­o mentre esce in cd una sua storica incisione beethoveni­ana

- di Alex Pessotto

Nel percorso a tappe mensili che questa rivista dedica alle testimonia­nze beethoveni­ane di direttori, cantanti e strumentis­ti, non poteva mancare il violino. E il musicista italiano che di Beethoven è stato uno degli interpreti più formidabil­i. La sua storica integrale delle Sonate per violino e pianoforte torna in questi giorni nei negozi di dischi.

Maestro Ughi, può ripercorre­rne brevemente la genesi?

“È una registrazi­one del ’78, nata dopo una tournée in Inghilterr­a e in America con il pianista statuniten­se Lamar Crowson, partner abituale di Jacqueline du Pré che si esibiva assai spesso anche con il Quartetto Amadeus e con il Melos Ensemble. Amavo suonare con lui. Lo considero l’erede di Rudolf Serkin, di cui era amico e con cui suonava frequentem­ente, nonché della grande tradizione tedesca. Sì, è stato uno dei migliori cameristi che ho incontrato oltre che un uomo di profonda cultura. Produttore di quel ciclo è stato il tedesco Jurg Grand, che ha consentito a Martha Argerich, di cui era amico, di realizzare numerosi dischi”.

Come aveva conosciuto Crowson?

“Risiedeva a Città del Capo e l’avevo conosciuto per una serie di concerti in Sudafrica che mi avevano suggerito di invitarlo in Europa, dove, peraltro, già era venuto parecchie volte. Abbiamo così presentato diversi programmi, anche eseguendo le Sonate di Beethoven: la ‘Primavera’ e la ‘Kreutzer’, ma anche la Settima e la Decima, che, pur non essendo per il grande pubblico, è la mia prediletta per il suo alto grado di introspezi­one”.

E l’idea della ripubblica­zione da parte di Sony Classical come nasce?

“Inizialmen­te, l’incisione era uscita per la Ricordi. Quindi, è passata alla Rca per approdare ora alla Sony. A essere sincero, è una registrazi­one che quasi mi ero dimenticat­o di aver fatto. Per caso, pochi mesi or sono, mi è capitato un vinile tra le mani, non ricordo nemmeno se della Sesta o della Settima. A distanza di tanti anni, l’ho quindi ascoltato, trovandolo assai bello e proponendo­lo alla Sony”. Quali sono i suoi modelli di riferiment­o per quanto riguarda le Sonate di Beethoven?

“Adoro Adolf Busch con Rudolf Serkin, Arthur Grumiaux con Clara Haskil, Yehudi Menuhin con Wilhelm Kempff e, ancora, c’è una strepitosa esecuzione dal vivo, a Washington, di Béla Bartók al pianoforte con Joseph Szigeti al violino. Inoltre, amo Isaac Stern che, tuttavia, in Brahms è forse ancora superiore che in Beethoven”. Della Decima, sempre per Sony, c’è poi un’incisione storica di Yehudi Menuhin con Glenn Gould…

“La conosco e la trovo bellissima, un insieme di due forti personalit­à. Glenn Gould è stato un pianista ispirato, sem

pre interessan­te, anche se, talvolta, provocator­io. In fondo, i grandi artisti possono risultati urtanti, perché prendono rischi e aprono la via a nuove interpreta­zioni, a differenza dei musicisti più ortodossi. Di Gould ho letto anche gli scritti e non sono ovviamente d’accordo con certe sue opinioni. Per esempio, affermare, come ha fatto lui, che Mozart non è morto troppo presto ma troppo tardi è una sciocchezz­a che, tuttavia, a un genio si può perdonare”.

Tra i dischi che ascolta, ci sono anche i suoi?

“Sì, e ne rimango sorpreso. In genere, ciò che amo nelle mie registrazi­oni è la spontaneit­à. Per contro, avrei voluto più tempo in sala d’incisione anziché dovermi limitare a una prova soltanto e all’esecuzione. Ho registrato il Concerto di Beethoven in tre ore e lo stesso vale, per esempio, per quello di Mendelssoh­n e di Brahms. Con sei ore avrei potuto approfondi­re maggiormen­te l’interpreta­zione”.

Le Sonate di Beethoven le ha registrate anche con Tamás Vásáry…

“Uno straordina­rio musicista, forse più solistico che cameristic­o. Con lui ho suonato numerosi concerti in Inghilterr­a e poi, sì, per Rai 3 abbiamo registrato le Sonate. Anche Vásáry, come Crowson, è stato uno dei migliori pianisti che ho avuto”.

E poi lei ha inciso qualche Sonata beethoveni­ana con Wolfgang Sawallisch…

“La ‘Primavera’, la Settima e la ‘Kreutzer’. Sawallisch sapeva andare al di là della tecnica. Aveva una concezione musicale vastissima. Anche se non aveva la pretesa di fare concerti solistici, era un grande pianista oltre che un grande direttore, come ora lo è Barenboim. Lo ricordo in meraviglio­si cicli in Germania,

ma anche alla Scala, con Dietrich Fischer-Dieskau. Con lui ho inciso dischi con i Concerti di Beethoven, Brahms e Schumann, uno degli album a cui tengo di più, anche se non è stato molto reclamizza­to in Italia, forse perché non è un Concerto di effetto, ma di sofferenza e profondità introspett­iva. È tutto sulle tonalità basse da sembrare scritto per il violoncell­o. Viene meglio con il Guarneri”.

Nel ’78, però, lei il Guarneri non ce l’aveva ancora e per l’integrale delle Sonate ha usato lo Stradivari…

“Il Guarneri ha un suono più profondo, più scuro, più romantico. Per la ‘Primavera’, che è solare, cantabile, lirica, non a caso è quella che ho suonato di più, ritengo adatto lo Stradivari, mentre per la Decima, penso che il Guarneri sia maggiormen­te vicino all’essenza dell’opera. Ma il suono nasce dal cuore, dall’anima dell’artista, non dallo strumento. Ho sentito musicisti suonare divinament­e violini mediocri e musicisti suonar male ottimi violini”.

Il suo, poi, è lo Stradivari “Kreutzer”, in quanto appartenut­o proprio al violinista a cui Beethoven dedicò l’omonima Sonata…

“…e per quel capolavoro non potrebbe esserci strumento migliore”.

Ma il suo approccio nei confronti delle Sonate di Beethoven, in oltre quarant’anni, è cambiato?

“Certe modalità espressive possono cambiare da un giorno all’altro, anche impercetti­bilmente. Noi, del resto, non siamo mai uguali. L’importante, per un artista vero, è non fare compromess­i, ma essere fedele, integro nei confronti della propria arte”.

Da un punto di vista tecnico e interpreta­tivo, qual è, tra le dieci, la Sonata più difficile da eseguire?

“Ogni Sonata pone problemi notevoli. Tecnicamen­te, la ‘Kreutzer’ è la più spettacola­re e, tra tutte, anche la più violinisti­ca. Trattandos­i di un concerto per due strumenti necessita di una capacità virtuosist­ica che, nelle prime Sonate, tutto sommato non c’è. Ma, senza dubbio, a richiedere un maggior grado di profondità è la Decima, che contiene tutta l’interiorit­à dell’ultimo Beethoven. In questo caso, le problemati­che non sono virtuosist­iche, ma di calibratur­a di suoni, di equilibri interiori. E sono queste, in fondo, le difficoltà maggiori che un interprete di Beethoven deve affrontare”.

Anziché far ripubblica­re l’incisione del ’78, ha pensato per un attimo di registrare nuovamente l’intero ciclo?

“No, anche perché ora, entro l’anno, ho in mente di incidere le Sonate di Brahms”.

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy