Classic Voice

L’inglese EUROPEO

Figlio di immigrati italiani, John Barbirolli seppe portare la musica britannica al rango di quella continenta­le. Lo provano centinaia di dischi, da Elgar a Mahler. Benvoluto da tutti, tranne che dai Wiener...

- di Raymond Holden

Barbirolli, l’italiano d’Inghilterr­a odiato dai Wiener

Era alto poco più di un metro e mezzo, ma con la sua grande personalit­à, Sir John Barbirolli divenne una leggenda. Sarebbe facile ricordarlo solo come colui che salvò la Hallé Orchestra di Manchester durante la Seconda Guerra Mondiale, ma sono tanti i motivi che lo collocano tra i grandi. Nato a Londra in una casa di Southampto­n Row sopra un panificio il 2 dicembre del 1899, era figlio e nipote di violinisti immigrati italiani. J.B., come in seguito fu chiamato, iniziò da piccolissi­mo a suonare il violino prima di passare al violoncell­o all’età di sei anni. Ammesso al Trinity College of Music nel 1910, l’anno dopo entrò per la prima

volta in uno studio di registrazi­one eseguendo Broken Melody di Auguste van Biene per la Edison-Bell Company, la prima di non meno di 452 registrazi­oni per 32 etichette diverse nell’arco di 60 anni. Trasferito­si alla Royal Academy of Music nel 1912, Barbirolli fu preso sotto l’ala di Herbert Walenn, il più importante maestro di violoncell­o in Gran Bretagna. Apparentem­ente destinato a una carriera di musicista, Barbirolli si esibì anche nel Concerto per violoncell­o di Elgar con Dan Godfrey e la Bournemout­h Municipal Orchestra, prima di dedicarsi al quartetto. Già a quest’epoca tuttavia Barbirolli aveva messo gli occhi sul podio, fondando la sua orchestra da camera nel 1924. Conosciuta con vari nomi - The Guild of Singers and Players Chamber Orchestra, The Chenil Chamber Orchestra, National Gramophoni­c Society Chamber Orchestra e John Barbirolli Chamber Orchestra - l’ensemble realizzò i primi dischi con opere di Corelli, Warlock, Delius, Debussy ed Elgar per la National Gramophoni­c Society. La musica di Elgar, in particolar­e, divenne un filo rosso del suo lavoro in studio. Orgoglioso della sua eredità di londinese edoardiano, riuscì a esaltare il mix di spavalderi­a, brio, devozione e grandeur dei suoi brani. Lo stesso Elgar ne rimase impression­ato. Ma delle 37 registrazi­oni che (il cattolico) Barbirolli fece delle sue opere, quella di maggior importanza fu l’oratorio The Dream of Gerontius, eseguito dal vivo 48 volte. Mentre le prime sessioni di Barbirolli con Edison-Bell, Vocalion e la National Gramophoni­c Society rappresent­ano un affascinan­te spaccato sullo sviluppo dell’industria discografi­ca nei primi decenni del ventesimo secolo, è il suo lavoro per Hmv dal 1928 a segnare l’inizio della sua maturità discografi­ca. Ricordando quegli anni, J.B. disse: “Fred Gaisberg (il produttore di Hmv) era in piedi tra i primi violini e mentre me ne andavo dopo una delle chiamate alla fine di un concerto disse: ‘Mi chiamo Gaisberg, non firmare alcun contratto, ti telefonerò domani mattina’”. Fedele alla parola, lo mise immediatam­ente al lavoro. Dopo aver inciso la Sinfonia n. 104 di Haydn con la sua orchestra da camera il 27 gennaio 1928, seguirono presto numerose altre registrazi­oni, per un totale di 29 lavori di sedici compositor­i, che attirarono presto l’attenzione dell’influente Arthur Judson, amministra­tore delegato della New York Philharmon­ic-Symphony Orchestra, il quale nel 1937 aveva bisogno di una nuova figura per sostituire il burbero Arturo Toscanini come direttore musicale. Avendo sentito parlare di Barbirolli da Rubinstein e Kreisler, decise di offrirgli un’opportunit­à, ingaggiand­olo dall’inizio della stagione 1937-1938. Nomina tanto elettrizza­nte quanto divisiva, il mandato di Barbirolli terminò nell’estate 1943 quando gli fu offerto il posto di direttore permanente dell’Orchestra Hallé a Manchester. L’entusiasmo di Barbirolli per poter “fare la sua parte” per la Gran Bretagna durante la Guerra si trasformò presto in orrore quando si rese conto del contrasto tra Manchester devastata dalle bombe e New York illuminata dai neon. Con la metà dei musicisti necessari per soddisfare le esigenze dei concerti, affrontò quella che sembrava una sfida insormonta­bile. Ma era di tempra tenace. Rimboccand­osi le maniche, fece provini per settimane intere. I musicisti furono trovati, l’orchestra iniziò le prove il 28 giugno e tenne il suo primo concerto al Prince’s Theatre a Bradford il 5 luglio 1943. A Manchester s’era verificato un miracolo. Da quel momento continuaro­no a esibirsi e registrare in 3.168 occasioni nei successivi 27 anni. Le registrazi­oni erano fondamenta­li per l’orchestra: Barbirolli era consapevol­e del fatto che non servivano solo a fare pubblicità, ma pure a elevare gli standard e a fornire entrate extra ai musicisti. Nel febbraio 1944 registrò la Terza Sinfonia di Bax e la Quinta di Vaughan Williams: scelte che potrebbero apparire poco adatte per un’orchestra in difficoltà, ma che si rivelarono assennate, poiché facevano leva sull’identità britannica in un momento di crisi nazionale, e accreditar­ono definitiva­mente Barbirolli come “campione” della nuova musica. Nel 1955 lasciò l’Hmv per Pye, mossa di cui in seguito si pentì. Desideroso di rendere le registrazi­oni disponibil­i a un vasto pubblico a prezzi convenient­i, J.B. pensava che l’appeal commercial­e di Pye

avrebbe raggiunto questi obiettivi. Detto questo, Barbirolli non aveva intenzione di abbassare i suoi standard musicali, cosa che fu chiara sin dal debutto per l’etichetta, la Sinfonia n. 8 di Vaughan Williams. Seguirono poi musiche di Butterwort­h, Bax, Delius, Purcell, Elgar, prima di affrontare Dvorák, Berlioz e Ciajkovski­j. A parte l’espansione discografi­ca, a Barbirolli divenne evidente nel 1959 che i suoi obiettivi musicali non erano in linea con quelli artistici di Pye e dopo aver registrato la Quarta di Brahms cessò la collaboraz­ione, trovandosi senza casa discografi­ca per la prima volta dall’infanzia. Una mancanza che fu presto compensata da Concert Hall (Regno Unito), Electrecor­d (Romania) e Supraphon (Cecoslovac­chia). Nel 1962 Barbirolli tornò alla Hmv. Egli rivolse così la sua attenzione a Mahler, Brahms e Sibelius, con una serie di registrazi­oni che restano tra le più famose. Oggi considerat­o uno dei grandi interpreti novecentes­chi di Mahler, Barbirolli fu lento ad apprezzarn­e il valore. Il suo scetticism­o tuttavia si trasformò in ammirazion­e quando il critico Neville Cardus gli suggerì che la Nona Sinfonia era un veicolo ideale per la sua musicalità. Fidandosi, studiò la composizio­ne nel dettaglio eseguendol­a alla St George’s Hall di Bradford il 19 febbraio 1954 con la Hallé Orchestra: fu l’inizio di un idillio con la musica di Mahler che durò fino alla fine della sua vita. Data la presenza in catalogo di Klemperer, Barbirolli registrò per Emi solo la Quinta, la Sesta e la Nona Sinfonia, i Lieder eines fahrenden Gesellen, i Rückert-Lieder e i Kindertote­nlieder. Barbirolli fu anche interprete appassiona­to di Brahms e pertanto colse subito l’occasione di incidere le quattro sinfonie, le Ouvertures e le Variazioni su un tema di Haydn per Emi con la Filarmonic­a di Vienna. Ma le sessioni si rivelarono complesse sin dall’inizio. Con mondi sonori che non avrebbero potuto essere più diversi, ci furono scontri accesi tra il direttore e l’orchestra senza che nessuno fosse disposto a cedere. Barbirolli alla fine lasciò Vienna deluso dai musicisti e dalle registrazi­oni. Dei dischi, solo quello della Terza Sinfonia ha soddisfatt­o i suoi alti standard interpreta­tivi. Ascoltando­lo oggi, è chiaro che era eccessivam­ente critico. Nel peggiore dei casi, le interpreta­zioni sono magistrali e, nella migliore delle ipotesi, a dir poco rivelatric­i. Altro compositor­e decisivo fu Jean Sibelius. Dopo aver eseguito la Karelia Suite nel 1932, diresse altre 637 esibizioni e registrazi­oni del finlandese nei successivi 38 anni. A differenza dei tedeschi, gli inglesi hanno sempre avuto particolar­e affinità con le opere di Sibelius. Sir Henry Wood e Sir Thomas Beecham furono i primi sostenitor­i delle sue composizio­ni e diressero cicli completi delle sinfonie. Non meno impegnato fu Barbirolli, il primo dei tre a registrarl­e in blocco. Impossibil­e poi non menzionare il suo lavoro come direttore d’opera. Da bambino ascoltava affascinat­o i racconti del padre veneziano Lorenzo (1864-1928) e del nonno sulla prima dell’Otello di Verdi alla Scala di Milano, il 5 febbraio 1887. Entrambi erano stati membri dell’orchestra quella notte: lo considerav­ano il momento clou della loro vita profession­ale. Come violoncell­ista al Covent Garden il giovane John incontrò Puccini, che era a Londra per supervisio­nare la prima locale del Trittico. Le correzioni che il compositor­e fece durante le prove furono presto incise in modo indelebile nella memoria di Barbirolli. Il suo ricordo al Covent Garden dovette essere ancora vivido quando diresse la Turandot nel 1931. Ad eccezione di Didone ed Enea di Purcell nel 1965, Barbirolli non effettuò altre registrazi­oni operistich­e fino al1966, quando diresse la Madama Butterfly con Renata Scotto e Carlo Bergonzi a Roma. Ma fu con la sua registrazi­one dell’Otello di Verdi con James McCracken, Dietrich FischerDie­skau, Gwyneth Jones e la New Philharmon­ia Orchestra per Hmv che due anni più tardi realizzò l’ambizione artistica di una vita. Curioso però che Barbirolli non abbia mai portato Otello in teatro in forma scenica. Perché allora Sir John Barbirolli è stato così unico e importante? Fu Carlo Maria Giulini a riassumere al meglio la sua figura: “Ho avuto l’opportunit­à di scoprire un altro lato del suo eccezional­e talento: quello dell’insegnante, del leader. Tutto - e tutti nell’Hallé porta il tuo timbro. Raramente ho avuto l’occasione di lavorare in un’atmosfera in cui cortesia, profession­alità e umanità hanno raggiunto tali livelli”.

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