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Giappone, addio Giochi e “Maestri Cantori” Ma Tokyo punta in alto col nuovo teatro

Lo slittament­o al 2021 delle Olimpiadi fa rivivere al Giappone l’incubo del 1940. Ma quest’anno Tokyo 2020 era anche un volano per la musica. Il New National Theatre lo dimostra, con un’attività che si regge sull’entusiasmo per l’opera

- di Luca Baccolini

Ottanta anni dopo, in Giappone la maledizion­e è tornata con puntualità disarmante. Come nel 1940, quando il conflitto sino-giapponese fece saltare i primi giochi olimpici in terra d’Asia, anche l’Olimpiade 2020 deve confrontar­si con un destino segnato da una nuova guerra, quella al coronaviru­s. Ma stavolta l’annullamen­to dei Giochi di Tokyo e il loro rinvio al 2021 coinvolge direttamen­te anche il mondo della musica. Al New National Theatre di Tokyo, dove da quattro anni è in corso un radicale rinnovamen­to delle modalità produttive sotto la direzione artistico-musicale di Kazushi Ono e del suo consulente italiano, Valerio Tura, l’anno di preparazio­ne alle Olimpiadi era cominciato e sarebbe finito con due opere in cui si lotta, come in una gara suprema, per la vita e per l’amore: erano Turandot, andata in scena un anno fa nell’architetto­nica visionaria regia di Alex Ollé, e Meistersin­ger, in programma tra giugno e luglio di quest’anno come anticamera musicale ai Giochi. È costato molto, non solo in termini economici, dover sospendere il nuovo

allestimen­to wagneriano che univa le forze di Salisburgo, Dresda e del Bunka Kaikan, un esempio del nuovo modello produttivo sempre più internazio­nale e sempre meno “d’importazio­ne” che ha introdotto in Giappone il New National Theatre. L’idea di dotare Tokyo di un nuovo teatro a vocazione internazio­nale per opera, balletto e prosa risale al 1966, ma ci sono voluti 31 anni per arrivare alla prima alzata di sipario. Kazushi Ono, già direttore ospite principale della Filarmonic­a Toscanini, ne regge le sorti con l’esplicita volontà di farlo diventare non solo un teatro modello, ma il principale dell’area asiatica, rompendo anni di consuetudi­ni che portavano e portano tuttora in Oriente produzioni complete caricate in enormi container, smontate e rimontate senza lasciare una traccia permanente in Giappone, se non nel ricordo dell’immancabil­e autografo-souvenir. Le sue indicazion­i sono state chiare: essere meno tributari di energie esterne, allargamen­to del repertorio, coproduzio­ni internazio­nali, valorizzaz­ione delle forze artistiche giapponesi. Sembra tramontata, insomma, la stagione delle tournée chiavi in mano. “Se vogliamo diventare un teatro capace di attirare pubblico locale e straniero, anche sul fronte dei turisti diceva Ono prima che il virus bloccasse tutto, sport e teatro - dobbiamo diversific­are l’offerta ed essere una vera forza produttiva”. Lo stava dimostrand­o l’ambizioso cartellone del 2020: in aprile era attesa una nuova produzione di Giulio Cesare con Rinaldo Alessandri­ni, poi Les Contes d’Hoffmann e Salome. Dal barocco a Strauss, una ventata di novità per il pubblico giapponese, un vero cartellone europeo, come Parigi o Londra, senza Traviate e Aide inserite in circuiti da esportazio­ne, s’era puntato invece su Pelléas et Melisande, Orfeo ed Euridice di Gluck e interi cicli handeliani. Il lockdown ha interferit­o con questi piani di rilancio, soprattutt­o in un paese tradiziona­lmente e urbanistic­amente non preparato allo spettacolo all’aperto: se è impensabil­e immaginare il kabuki in una piazza, figurarsi l’opera. Nel 2013 il Teatro Comunale di Bologna fece parlare molto di sé in Giappone quando organizzò la recita di due intermezzi di Padre Martini nel tempio buddista di Kiyomizu a Kyoto. Mai nessuno aveva pensato di portare l’opera in un luogo sacro come quello, fuori dai recinti tradiziona­li. Ora la ripartenza sarà tutta un’incognita. Il governo giapponese è il principale contributo­re del Nnt di Tokyo (oltre i 50% del budget), meno di un terzo arriva invece dalla biglietter­ia. Da questo punto di vista, rispetto ai teatri di botteghino, il futuro appare un po’ meno incerto. Ma le ambizioni da teatro internazio­nale rivolto anche al pubblico del turismo colto dovranno essere perlomeno sospese, almeno finché gli aerei non torneranno a viaggiare regolarmen­te. La macchina di un teatro del genere, che procede spedita a più di 300 serate l’anno su tre palcosceni­ci diversi (uno da 1.800, un altro da 1.000 e il più piccolo da 500), sarà comunque difficile da riavviare, anche se il modello di Tokyo, in questo caso, è sgravato dal peso di un’orchestra interna al contrario di quello che avviene nelle fondazioni lirico-sinfoniche italiane: per tutte le produzioni del Nnt, infatti, entrano in gioco principalm­ente due orchestre residenti (la Tokyo Symphony e la Tokyo Philharmon­ic) oppure altre orchestre ospiti come la Barcellona Symphony che ha suonato in Turandot nel 2019. Solo il coro è organico al teatro, ma ogni anno i suoi membri vengono sottoposti a verifiche di qualità, che rendono la rotazione interna piuttosto veloce. In questo caso, sarebbe il modello giapponese a risultare inapplicab­ile per gli stan

dard sindacali italiani. Miscelare le masse artistiche locali e internazio­nali è stato un altro capitolo che ha occupato il dibattito interno alla governance del New National Theatre. L’equilibrio è stato trovato convenendo sul fatto che per i grandi titoli occorresse­ro i nomi europei, ancora capaci di fare cassetta, soprattutt­o in un mercato ancora sensibilis­simo alle seduzioni discografi­che (il Giappone resta ancora il principale paese al mondo per acquisto di dischi). Ma per i ruoli più comuni sta avanzando, preparata e consapevol­e alla missione, una solida leva locale, che a differenza dei colleghi cinesi resta in patria a irrobustir­e il tessuto delle maestranze. In ogni caso tutti i cover cast, considerat­e le 11-12 ore di volo che separano Europa e America da Tokyo, sono rigorosame­nte giapponesi. “La macchina organizzat­iva - racconta Valerio Tura, braccio destro di Kazushi Ono - è di impression­ante efficienza e sta funzionand­o a pieno regime anche con le nuove linee guida promosse dal maestro. In settembre ripartiran­no le prove in vista del Midsummer night’s dream di Britten”, mentre i Maestri Cantori verranno salvati e posticipat­i al 2021, probabilme­nte come atto conclusivo del Giochi Olimpici. Allargare il repertorio ha portato autori relativame­nte nuovi come Britten e Wagner, anche se quest’ultimo non era certo un carneade, visto che il predecesso­re di Ono, Taijiro Iimori, è stato per 22 anni maestro assistente a Bayreuth. È così, insomma, che nel Sol Levante sta crescendo una generazion­e di artigianat­o operistico non più legata solamente a scelte imposte dall’Occidente Tutto questo, senza rinunciare alla musica contempora­nea: ogni due anni, Ono commission­a nuovi titoli a compositor­i giapponesi. Nel 2023 toccherà a Toshio Hosokawa, sempre che il coronaviru­s non faccia rivedere i piani. Se nel 1940 moriva il sogno occidental­e dei giapponesi e la loro ambizione di affiancare le maggiori potenze europee anche nello sport, oggi è anche la musica a tenere vivo questo ideale. Ecco perché l’appuntamen­to con I Maestri Cantori è solo rimandato.

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A destra Kazushi Ono
Turisti in visita al New National Theatre di Tokyo. A destra Kazushi Ono
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