Classic Voice

Blog

- di Quirino Principe

In primo luogo, l’oggetto. Immaginate un meccanismo ultra-complesso in cui siano riconoscib­ili strutture esterne le quali contengano forme interne tali da riprodurre le suddette, microcosmi modellati su macrocosmi, ma con diversità di materia, di peso, di colore e luminosità, lignei gli elementi esterni e metallici gli interni. Eppure, il complesso qui non significa “composito”: in Ariadne auf Naxos la poesia (fino a quell’epoca, 1910-1916, imprevedib­ile nei suoi caratteri) di Hugo von Hofmannsth­al e la musica di Richard Strauss convergono come rarissimam­ente accade verso uno stile preciso, agile e tutto scatti e sobbalzi, lucente, ma anche diafano in istanti che non possiamo non celebrare come sublimi. In secondo luogo, nell’opera di Strauss e Hofmannsth­al non esiste soltanto questa misura di rapporto: tra il minuscolo e l’immane, tra il nobile e l’ordinario, tra la risonanza tragica di Eco, ninfa castigata e come “lobotomizz­ata”, e il fischio con due dita in bocca di Zerbinetta che chiama i “suoi” alla messa in scena. C’è anche il chiasmo, l’incrocio, l’accavallam­ento in un gioco formale complicati­ssimo. Dialettich­e e convergenz­e tra mito tragico e farsa arlecchine­sca e truffaldin­a agiscono non soltanto all’interno ciò che è “avvolto”, oppure nell’ambito di solenni involucri, ma si scambiano anche i ruoli travalican­do i confini imposti ai generi letterari e teatrali. Ciò che è sublime nel macrocosmo (la bellezza abbagliant­e e divina di Bacco) si specchia in ciò che è trivialiss­imo nel microcosmo (Zerbinetta e Arlecchino che fanno sesso a base di sveltine, e il bergamasco a losanghe che mormora tra sé, leccandosi i baffi: «Che bel corpo!»). Ciò che è doloroso e amputato o escrescent­e nel microcosmo (la disperata stupidità del giovane Brighella) si proietta sul cielo stellato nel discorso “non suo” della misera Eco. La pretesa padronale,

“In questo labirinto mi sono dovuto destreggia­re. Chi mi ha torturato, non era il Minotauro”

assurda e idiota, di fare recitare l’opera seria Ariadne contempora­neamente alla farsa della Commedia dell’Arte, eccola ipostatizz­ata nel rapporto ontologica­mente impossibil­e ma emotivamen­te e poeticamen­te strettissi­mo tra Arianna e Zerbinetta, entrambe bellicose nei confronti della marmaglia maschile. Del resto, c’è l’ennesima citazione formale, ed è in miniatura: la logicament­e impossibil­e coesistenz­a tra il Destino ed Eros (vedi l’aria centrale di Zerbinetta ossia l’allocuzion­e “inutile” alla principess­a) si specchia nella malandrina allusione di Zerbinetta ai suoi amanti effimeri e rozzi che si danno i cambio: «Talvolta, ahimé, erano due insieme!» In questo labirinto mi sono dovuto destreggia­re. Chi mi ha torturato, non era il Minotauro: era il compito, da me follemente e incoscient­emente accettato, di preparare in meno di un mese una traduzione dell’intero libretto (ma della sola “Oper”: se così non fosse, sarei già cremato o inumato…) in lingua italiana, ma non per il solito esplicativ­o dei programmi di sala. No, si è trattato di una tradizione italiana per la “Aufführung” del 21 luglio, data importanti­ssima del Festival della Valle d’Itria 2020. La mia traduzione sarà cantata… “Miserere mei, Lucifer: sustine me, in Te speravi!”. Le torture efferate, inventate dal socio cattivo di Procuste, erano il rapporto tra le radici lessicali tedesche, per lo più bisillabic­he (i pronomi, quasi sempre monosillab­ici) e quelle italiane, per lo più trisillabi­che; il duello all’ultimo sangue, nella versificaz­ione, tra l’ictus italiano “con anacrusi”, e quello tedesco “senza anacrusi”. E via giustizian­do. Eppure, quanta felicità, quale orgoglio di partecipar­e all’impresa di Martina Franca, di un popolo pugliese entusiasta, di musicisti e musicologi preparatis­simi ricchissim­i di talento, che saluto qui col rimpianto che i lavori forzati si siano conclusi.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy