Classic Voice

Pala OPERA

Oggi i teatri italiani alla prova della riapertura, tra stagioni rivoluzion­ate, programmaz­ioni “liquide” e spazi da reinventar­e. Dalla sala da concerto al palasport

- LUCA BACCOLINI

Estiva, autunnale, provvisori­a o a lungo raggio. La stagione dei teatri italiani è divisa tra il desiderio di ripartire e l’incognita sul futuro. Molti sono i teatri che hanno annunciato già in estate il cartellone dei prossimi mesi, ancor prima di sapere se e quanti spettatori potranno entrare in sala. “Il mio assillo - spiega Alexander Pereira, sovrintend­ente del Maggio Musicale Fiorentino - è quello di risvegliar­e il pubblico. Per questo non posso pensare nemmeno lontanamen­te di programmar­e una stagione di second’ordine con la scusa del Covid. Così non si andrebbe da nessuna parte”. Tra gli slanci di Pereira e l’atteggiame­nto più prudente della Scala, che ha atteso settembre per tornare a ripopolare la sala del Piermarini, lasciando intraveder­e solo la Bohème di repertorio come messinscen­a completa, il mondo della lirica non ha ancora fatto la conta completa dei danni da pandemia. Se il 2020 sarà arginato con la conferma degli importi Fus calcolati sulla media degli ultimi tre anni, con il contenimen­to dei costi di produzione e il recupero dei biglietti della campagna “iononchied­oilrimbors­o”, supportata anche da “Classic Voice”, il futuro è invece un vero salto nel buio. “Il problema degli spettacoli al chiuso c’è eccome - sottolinea Francesco Giambrone, presidente Anfols e sovrintend­ente del Massimo di Palermo -, paura e diffidenza resteranno a lungo anche tra gli abbonati più fedeli; da alcune indagini si capisce come quasi la metà del pubblico faticherà a rientrare a

teatro a queste condizioni. Lo vedo coi miei occhi, senza bisogno di sondaggi: dalla burocrazia dei moduli alla mascherina, per molti tutto questo è un disincenti­vo”. Ecco perché alcuni teatri, come il Comunale di Bologna, hanno già pensato a una soluzione B. Fulvio Macciardi, che guida l’ente lirico bolognese dall’autunno 2017, ha già fatto provare l’orchestra al PalaDozza, una sorta di Madison Square Garden in miniatura, dove fino all’anno scorso giocavano le due squadre di basket della città. Si tratta di un impianto da 5.500 posti in cui potrebbero trovare sistemazio­ne mille spettatori, ovvero 100 in più della capienza massima del Comunale. “In questo modo - spiega Macciardi - potremmo salvare molti spettacoli annullati della stagione 2020 e progettare produzioni più ambiziose negli anni a venire”, a patto di risolvere gli ovvi problemi di acustica. Per ora, l’unico sistema ipotizzabi­le è lo spostament­o dell’enorme camera acustica pagata quattro anni fa dai mecenati farmaceuti­ci dell’ex Alfa Wassermann (ora Alfasigma). Ma l’amplificaz­ione resta un passo inevitabil­e. L’orchestra sarà invece posta al centro del campo, dove un tempo saettavano i campioni del basket, mentre il muro di legno della camera acustica fungerà da fondale; più avanti, quasi a ridosso del pubblico, si muoveranno i cantanti, “finalmente molto vicini agli spettatori - mette in evidenza Macciardi - per offrire una prospettiv­a inedita sugli spettacoli”. Se Bologna può contare su un palcosceni­co alternativ­o (e ci sarebbe pure un “piano C”, con l’ipotesi di una struttura temporanea in zona Fiera), non così fortunati sono altri teatri. A Palermo, per esempio, non esiste un vero palasport. “Andremo avanti col Teatro di Verdura fino a fine settembre” - prosegue Giambrone - e poi ci sposteremo di nuovo al chiuso. Difendo con forza l’idea dell’orchestra in platea: finché l’ac

cesso a teatro sarà così contingent­ato, eliminare le poltrone toglie anche l’immagine sconfortan­te di un teatro semivuoto. Mi auguro che in gennaio si possa tornare alla normalità, superando il limite dei 200 posti al chiuso. Con molta prudenza e ottimismo, stiamo ragionando all’inaugurazi­one della stagione 2021. Il titolo scelto era Onegin e lo confermiam­o. In fondo è un’opera sul distanziam­ento: serviranno solo alcuni accorgimen­ti, che stiamo concordand­o col regista Erath, per capire su quale tipo di allestimen­to puntare”. Elasticità e duttilità saranno le parole d’ordine per l’autunno. “Siamo aziende grandi - ricorda Giambrone -, a differenza di altri settori dello spettacolo noi facciamo lavorare centinaia di persone alla volta. Nessun teatro d’opera potrebbe reggersi sui ricavi della biglietter­ia in condizioni normali, figurarsi in un periodo come questo. Tutti i teatri che fanno un ragionamen­to sulla sostenibil­ità dovrebbero rimanere fermi o chiudere. E invece tutti, con coraggio, hanno deciso di ripartire, ciascuno battezzand­o un proprio percorso, chi in piazza, chi sul tetto del proprio edificio, chi in aree alternativ­e. Speriamo che questo spirito di sacrificio e questa disponibil­ità ad assumersi responsabi­lità vengano ricompensa­ti. Se una cosa ha insegnato questa pandemia, è che i parametri ragionieri­stici di ripartizio­ne delle risorse sono sbagliati. Sbagliato, soprattutt­o, è costruire un sistema competitiv­o basato sui numeri e non sulla produttivi­tà”. Pubblico da recuperare, certo, ma agli artisti chi pensa? Sebastian Schwarz, sovrintend­ente del Regio di Torino, ne ha fatto una questione di principio: “Rispettare i contratti stipulati prima del Covid era una priorità. Riusciremo a recuperare quattro titoli di questa stagione e, dove possibile, richiamere­mo tutti gli artisti che avevamo coinvolto prima del lockdown”. Con l’incognita sui limiti di capienza, anche

Torino sperimente­rà nuovi palcosceni­ci: “Vogliamo far ripartire il Piccolo Regio - l’annuncio di Schwarz -, dove potremo sfruttare con più agio la sala piccola da 380 posti per farci produzioni più leggere e agili, con titoli meno conosciuti, che non hanno il vincolo dei grandi numeri del botteghino”. Che sia finalmente giunto il momento di ampliare il repertorio senza più il timore di non riempire le sali principali? Alexander Pereira, che a Firenze aveva annunciato una politica di rialzo dei prezzi, punta però a far entrare in poco tempo almeno la metà dell’attuale capienza del Maggio, “un teatro già difficile di suo, perché non era stato accettato dai fiorentini, ma che ora ha intrapreso una svolta decisa. Sul pubblico conto di ottenere presto almeno la metà delle sedute. Quanto al distanziam­ento tra musicisti - spiega il numero uno di Firenze - non sono affatto preoccupat­o: non è vero che non si può suonare insieme a un metro di distanza. Bisogna solo fare alcuni adattament­i acustici. Il resto verrà da sé”.

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Platea e palcosceni­co del Teatro Massimo di Palermo sistemati per l’attività concertist­ica
 ??  ?? Sotto: il PalaDozza di Bologna adattato a palcosceni­co autunnale
Sotto: il PalaDozza di Bologna adattato a palcosceni­co autunnale
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